V Video

R Recensione

6/10

Oliver regia di Carol Reed

Musicale
recensione di Leonardo Romano

Inghilterra, XIX secolo. L'orfanello Oliver Twist fugge dal suo orfanotrofio e va a Londra, dove incontra un ladruncolo di nome Dogder che lo porta dal suo padrone, il crudele Fagin, il quale gli insegna a diventare un ladro. Oliver, però, verrà arrestato e condotto a casa del buon signor Brownlow che lo adotta come figlio. Dopo poco verrà riacciuffato dalla sua banda e reintegrato nel gruppo. In seguito un tale Sikes ucciderà Nancy perché tenta di nuovo di far evadere il ragazzino e rapisce Oliver, ma nel tentativo di scappare sopra un tetto finisce impiccato. Nel frattempo Fagin viene catturato e condannato all'impiccagione ed Oliver, dopo averlo visitato, torna a casa con il suo nuovo genitore: Brownlow.

Affermare che Hollywood sia il baluardo della conservazione è un po' come scoprire l'acqua calda. Quindi la designazione ai premi Oscar in qualità di miglior film del 1968 – l'anno che sconvolse il mondo (tanto più gli Stati Uniti che ebbe il suo bel da fare col campus di Berkeley) – di un musical per famiglie come “Oliver!” non ci deve stupire più di tanto: l'istinto di autoconservazione della Mecca del cinema portò l'Academy e gli studios a far finta di non aver mai sentito parlare della contestazione giovanile. Che Hollywood lo volesse o no, il mondo stava irrimediabilmente cambiando ed un genere tendenzialmente zuccheroso e convenzionale come il musical non seppe adattarsi ad una nuova era all'insegna di “sesso, droga e rock 'n' roll”. L'unica reazione da parte della Mecca del Cinema fu comunque quella di continuare a propinare ostinatamente al pubblico trame giulebbose e canzoni smielate, con il patetico risultato di dare alla luce prodottini dozzinali e più che dimenticabili (nonché sonoramente bocciati al botteghino. Ritornando ad “Oliver!”, avergli assegnato l'Oscar come miglior film mi pare davvero troppa grazia. Non che sia un film orrendo, però si ha l'impressione di assistere a un eccessivo spreco di risorse e di denaro (che, detto fra noi, neanche si nota più del dovuto) per un'esperienza cinematografica non particolarmente memorabile: è un film che a sprazzi risulta pure piacevole, anche se di fatto non denota particolare estro- il che deve aver congiurato, soprattutto qui in Italia (paese notoriamente allergico al musical), a renderlo praticamente sconosciuto, se non nella cerchia dei veri patiti del genere. E poi diciamocelo in tutta franchezza... Vi pare che Carol Reed, il grande regista de “Il terzo uomo”, sia la persona più indicata a giostrarsi in modo convincente con un orfanello canterino e una masnada di furfanti londinesi impegnati in galop ed evoluzioni coreografiche anch'esse decisamente poco memorabili? Ad esser ancora più severi, potremmo definire “Oliver!” un film all'insegna del così così: canzoni orecchiabili ma non indimenticabili, regia corretta e nulla più, interpretazioni adeguate ma non particolarmente ispirate (anche se Ron Moody, nei panni di Fagin, abbia una mefistofelica ancorchè grottesca efficacia nel tratteggiare l'archetipo del malvagio usuraio ebreo imbroglione. Ovviamente nel film, col ricordo dei campi di sterminio nazisti alle spalle, si glissa opportunamente sull'appartenenza religiosa del personaggio). Si assiste a questo spettacolone senza poi conservarne un'impronta indelebile. Questa educorata versione cinematografica di un successo di Broadway (che, a sua volta, stemperava già in partenza il romanzo di Dickens) procede in modo forse un po' sonnolento fino alla fine. Alcuni critici però, anche particolarmente severi (come Pauline Kael, adusa a stroncare a priori qualsiasi successo uscito dai grandi studios hollywoodiani), lo lodarono ritenendolo addirittura superiore alla versione teatrale originale. Mah... De gustibus. Comunque, per sfruttarne il possibile successo commerciale presso le platee degli altri Paesi (anche in virtù dell'Oscar conquistato come miglior film), la Columbia decise di approntarne un doppiaggio musicale. Cosa che regolarmente avvenne anche in Italia. Benchè Kezich e Morando Morandini lo liquidino come “belato sanremese”, il risultato è invece tutt'altro che disprezzabile. Merito ovviamente della professionalità e del talento dei doppiatori (in primis, la sempre brava Tina Centi, talmente camaleontica da nasalizzare il suo canto levigato pur di suonare maggiormente simile a quello di Shani Wallis). La scelta di doppiare più o meno condivisibile, ma il risultato è comunque pregevole. Forse i bambini di oggi si alzerebbero dal divano e se ne andrebbero dopo appena un quarto d'ora dall'inizio della proiezione, mentre forse i loro nonni lo potrebbero guardare appisolandosi placidamente. Non a caso, di fronte a un film d'altri tempi.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo film. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.