V Video

R Recensione

8/10

West Side Story regia di Jerome Robbins

Drammatico
recensione di Leonardo Romano

Tony, un ragazzo americano ex-membro della banda dei Jets, si innamora di Maria, una ragazza portoricana sorella del capo della banda degli Sharks (contrapposti agli americani Jets): Bernardo (amato da Anita). Ma le due fazioni rivali, accecate dall'odio razziale, ostacoleranno l'amore dei due giovani (anche perchè Maria è promessa al connazionale Chino). Il finale sarà tragico: Bernardo verrà ucciso da Tony e quest'ultimo sarà ucciso da Chino.

 

Grandissimo (benchè non immediato) successo a Broadway, questo musical debuttò nel 1957 e venne replicato per 732 sere. Sicuramente un buon successo, ma decisamente meno clamoroso di altri musical coevi capaci di macinare tra le 1500 e le 2000 repliche.

Il motivo va sicuramente ricercato nelle musiche di un poliedrico talento come Leonard Bernstein (compositore, direttore d'orchestra ed estroso divulgatore della grande musica classica presso il pubblico televisivo americano), troppo contemporanee con tutte quelle dissonanze e con quei ritmi indefinibili che travalicavano la banalità del valzerino romantico tipico del musical più canonico (accoppiate alle incalzanti parole di Stephen Sondheim, anch'egli compositore di successo); va ricercato nella vicenda (intelligente variazione sul tema di Romeo e Giulietta, con due bande rivali al posto di Capuleti e Montecchi), assolutamente drammatica, senza lieto fine e con l' “aggravante” di una netta denuncia del razzismo a stelle e strisce, partorita dalla mente vivace di Arthur Laurents; va ricercato anche nelle coreografie quasi acrobatiche, elettrizzanti e degne di un grande balletto contemporaneo (nate dalla fantasia di un grande esteta della danza contemporanea come Jerome Robbins), distanti anni luce dalla misurata ed assolutamente classica eleganza dei tip tap di un Fred Astaire o di un Gene Kelly.

Insomma, tutti elementi che dovevano aver spiazzato un pubblico abituato a qualcosa di un po' meno rivoluzionario ed un po' più rassicurante,ma che alla fine aveva dovuto capitolare di fronte a cotanta, moderna beltà.

L'onere del passaggio dalle acclamate tavole del palcoscenico allo splendore del grande schermo fu assunto dalla United Artist, casa di produzione minore che non poteva proprio contare su una gloriosa tradizione nella realizzazione di musical (cosa invece di cui poteva fregiarsi la MGM con la sua “Freed Unit”).

Eppure il miracolo avvenne, fra lo scetticismo e lo stupore generale,considerati i “difetti” sopra elencati che a tutto potevano dare origine fuorchè ad un film di successo (standosene almeno alla forma mentis del produttore cinematografico medio).

Jerome Robbins fu cooptato di imperio ad occuparsi delle coreografie (e come sarebbe potuto essere altrimenti?) e della regia insieme ad un valente ed affermato regista come Robert Wise (oggi un po' dimenticato, se non addirittura bollato frettolosamente come “artigiano”), con il patto che il primo si sarebbe occupato delle sequenze musicali mentre il secondo di tutte le altre. Però il perfezionismo di Robbins (che gli fece sforare il preventivo di alcune centinaia di migliaia di dollari) gli fu fatale e gli procurò un licenziamento in tronco, benchè almeno il 60% del film fosse stato già realizzato. Il resto fu completato con grande maestria da Wise che, con una correttezza molto insolita per Hollywood, non esitò ad assegnare gran parte del merito del successo al suo collega (e dividendo con lui i meritati Oscar alla regia).

Il merito di questo autentico trionfo ai botteghini di tutto il mondo (l'unico film che riusci a battere, nel 1961, Walt Disney con i suoi inossidabili 101 dalmati) e alla cerimonia degli Oscar (addirittura 10 Oscar, compreso quello per il miglior film: fu il musical più premiato della storia del cinema, arrivando a battere il record di “Gigi”), va condiviso con una serie di ragguardevoli talenti scrupolosamente amalgamati, sia sotto l'aspetto artistico che tecnico.

Più che quelle dei due protagonisti (una Natalie Wood molto bellina ed anche brava - ma un po' troppo perbenino - accoppiata ad un Richard Beymer perennemente buonino, che lo fa sembrare più una sorta di idiota dostoevskjiano, cosa di cui lo stesso Beymer si lamentò'), il film preserva a futura memoria le memorabili prestazioni di George Chakiris (un Bernardo magnetico, animalesco, ma pur sempre elegante, quasi come una pantera. Peccato che nel cinema fu poco più che una meteora) e di Rita Moreno (una Anita folgorante, d' un' ispanica esuberanza, forse mai eguagliata in quel tipo di personaggio che gli americani chiamano “Latin Spitfire”, ovvero ”sputafuoco latino”. Ma la Moreno sa anche far vibrare corde di una più soffusa umanità. E, proprio in virtù della sua bravura, rimarrà prigioniera del ruolo del “Latin Spitfire”), entrambi premiati con un incontestabile premio Oscar.

Il già citato Ernest Lehman scrive una sceneggiatura solida e molto ben articolata e, grazie al suo talento drammaturgico, riesce ad apportare alcune modifiche che riescono a rendere più logica l'unione fra la vicenda e le canzoni (“Gee, officer Krupkee” e “I feel pretty” nel musical teatrale venivano cantate dai Jets e da Maria ad avvenimenti delittuosi già avvenuti e cotanta euforia sarebbe stata fuori luogo. Lehman,invece,le anticipa di molto e rende tutto psicologicamente più plausibile. Talento che gli tornerà utile anche nella scrittura di un altro grande successo come “Tutti insieme appassionatamente”).

Saul Chaplin, supervisore delle musiche coadiuvato dallo stupefacente direttore d'orchestra Adolph Green, tratta lo spartito di Bernstein con religioso rispetto e, per raggiungere il suo standard di perfezione, non esita a sostituire le voci degli attori con quelle di cantanti professionisti: la grandiosa e leggendaria Marni Nixon doppiò con la sua splendida voce da soprano une tremolante ed inadeguata Natalie Wood (che la prese con il senso dell'umorismo di una Medea), restituendoci un ritratto vocale di Maria che noi non possiamo non ritenere paradigmatico; Jim Bryant prestò la sua bella voce a Beymer mentre Betty Wand e Tucker Smith doppiarono Rita Moreno e Russ Tamblyn – Riff (anche se alla Moreno non piacque la poca grinta della Wand in “A boy like that”).

Per quel che riguarda il doppiaggio italiano non si può non rimanere stupefatti dalla notevole bravura di quelle che allora erano delle nuove leve, benchè affermate, destinate ad un futuro radioso: Fiorella Betti dà il suo timbro ingenuo e candido a Natalie Wood senza risultare mai affettata o sforzata; il grande Giuseppe Rinaldi ha forse una voce un po' troppo matura per essere un Tony realmente plausibile, ma presta il suo velluto a Richard Beymer con la bravura di sempre (e non senza la dovuta esuberanza); Pino Locchi è anch'egli suona un po' troppo adulto su Chakiris,ma nessuno avrebbe il coraggio di fare il benchè minimo appunto alla voce del più grande James Bond di sempre; Maria Pia Di Meo solitamente doppiava personaggi angelici che ben si confacevano alla sua voce d'una purezza unica e di fatto sarebbe potuta risultare un po' fuori luogo su una incandescente Rita Moreno ma, in virtù del suo talento, sa essere sguaiata tanto quanto basta. In questo caso (escludendo però Fiorella Betti, perfettamente accoppiata alla Wood), forse siamo di fronte ad un film in cui abbiamo di fronte al leggio voci fin troppo belle per risultare confacenti ai loro personaggi, ma il risultato è comunque davvero notevole e supera di gran lunga l'originale, sotto il profilo recitativo. Forse pure troppo!...

In più gli appassionati, aguzzando l' orecchio, potranno riconoscere le voci di tre grandissimi doppiatori destinati ad un immensa fortuna nel decennio successivo, al momento confinati in tre particine un po' di contorno (l'agente Krupkee, Riff ed A-rab): Glauco Onorato, Cesare Barbetti e niente meno che Ferruccio Amendola. 

Quello che forse può lasciare un po' perplesso lo spettatore odierno è forse l'effetto straniante che ha la commistione a volte un po' stridente fra le vere strade di New York e gli artefatti interni (il caso più emblematico è la scena di “Maria”, che spinge al parossismo questo difetto) o l'aspetto cromatico del film, che negli Anni Sessanta era la norma, ma che ai nostri occhi risulta eccessivamente carico: i volti olivastri dei personaggi portoricani sembrano quasi bistrati da un fondotinta alla Nutella, qualsiasi costume sembra sempre troppo sgargiante e bello per appartenere a dei semplici “borgatari” e quei rossi sembrano davvero troppo...rossi, ma sarebbe decisamente ingeneroso non riconoscere la grandezza – seppur nei succitati limiti – della fotografia splendida di Daniel L. Fapp, dei notevoli costumi di Iren Sharaff e delle scenografie di Victor A. Gangelin e Boris Leven (tutti meritatamente premiati con l'Oscar). Di questi fotogrammi “a forti tinte” deve essersi sicuramente ricordata Roberta Torre nel girare il suo film culto, “Tano da morire”, con i suoi blu elettrici e con i suoi rossi talmente intensi da ferire quasi gli occhi (non a caso il suo musical successivo si intitolerà “Sud Side Stori”, irriverente ma affettuoso omaggio alla storia d'amore fra Tony e Maria).

Quello però che ha reso indimenticabile questo film non è tanto la forma (non credo che ci sia bisogno di ricordare la colonna sonora musicalmente folgorante. Bernstein, sotto l'egida della Deutsche Grammophon e con un cast “all opera stars” non saprà fare di meglio. Anzi, compirà un barbaro massacro della sua opera con dei cantanti totalmente inadeguati o fuori parte, se si esclude un baldanzoso Josè Carreras), bensì la sostanza.

Mutuando la vicenda di base da Shakespeare (credo che sia superfluo ripetere la solita litania sull'immortale universalità delle storie da lui narrate), Laurents e non ultimo Lehman, facendo leva su un tema scottante e difficile come l'intolleranza razziale, hanno toccato una corda ancora tremendamente attuale e che purtroppo credo non invecchierà mai (ciò che viene mostrato nel film potrebbero essere trasposto senza alcun problema in Italia nel 2010, senza che nessuno possa far mente locale che questo musical sia stato scritto più di 50 anni fa).

“Somewhere”, con i suoi versi profondamente toccanti capaci di infondere un' intima speranza in un mondo migliore, è forse la punta di diamante del messaggio che sta alla base di questo film.

Dopo “West Side Story” il musical non fu più lo stesso: non potè più adagiarsi sui romantici allori di vicende frivole e banali e di duetti piagnucolosi con tanto di parole sdolcinate: simili commedie musicali continuarono a proliferare anche senza grosse difficoltà, ma non sempre accolti con favore dal pubblico e regolarmente massacrati dalla critica (e comunque rimirati come abnormi pezzi da museo)..

Ma il merito di questo parziale ma irreversibile svecchiamento del teatro musicale va proprio al film, che ebbe un successo planetario ed una penetrazione talmente capillare in tutto il mondo civilizzato che è entrato a far parte del nostro immaginario al pari di Topolino: lo abbiamo sempre visto e non ne possiamo prescindere.

Il timore di Robbns e Wise era quello di non saper rendere il brio e la vivacità dell'originale teatrale.

Invece i due danno un tale estro, esprimono una tale vivacità con la loro mobile macchina da presa e con le loro ispirate riprese dei balletti - così attuali, scattanti e piene di fuoco - che lo spettatore medio (categoria a cui io mi vanto di appartenere) non può non rimanere deluso dall' impietoso raffronto fra il film ed un qualsiasi allestimento teatrale (anche il più fantasioso e pimpante).

Quindi,non si può non lodare la forza dirompente di un film che, praticamente a 50 anni di distanza dalla sua fortunatissima uscita, mantiene lo status di “classico”, ovvero di opera d'arte incapace di invecchiare.

Non male per un film che, secondo il buon senso (o senso comune, gramscianamente inteso?) delle aquile hollywoodiane si sarebbe dovuto rivelare un fiasco quasi sicuro!

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo film. Fallo tu per primo!

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

dalvans (ha votato 4 questo film) alle 12:27 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Banale

Stucchevole