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8/10

Garage regia di Leonard Abrahamson

Drammatico
recensione di Davide Speranza

La vita del benzinaio Josie scorre monotona in un piccolo paese d’Irlanda, ma un imprevisto darà vita ad una serie di eventi a catena. Un ragazzino di quindici anni e la sua banda cambierà per sempre l’esistenza di Josie il matto.

Cosa sarebbe gran parte della letteratura e del cinema senza quei personaggi grigi, cupi, miseri, perdenti e sognatori che vengono indicati universalmente come “antieroi”? Probabilmente avremmo perso grandi libri di narrativa, come ad esempio i racconti di Anton Cechov o Guy de Maupassant o ancora, più recenti, le opere di Raymond Carver e Charles Bukowsky, e per il cinema non avremmo mai avuto Charlot, i molteplici e nevrotici Woody Allen, Forrest Gump, i film di Todd Solondz e Alan Parker, non avremmo quella maschera di gomma di Bill Murray.

L’antieroe è il vero motore che muove le storie, le fa vibrare, le rende meno artificiali e celluloidi e più sincere, vicine al nostro vissuto, alla realtà che ci circonda. E se di antieroi si deve parlare, beh, allora giuro che uno sfigato, stupido e “peterpanescamente” disadattato come il protagonista di questo film non l’ho mai visto. Il suo nome è Josie e fa il benzinaio. Non è un tipo sveglio, anzi a dirla tutta probabilmente gli manca un venerdì (alla Forrest Gump, ma non troppo).

In paese lo deridono e non lo trattano come un loro pari. Eppure Josie, uomo di mezza età, grassoccio e lavoratore infaticabile, ride, se la spassa nel suo Dy’s Garage, la stazione di servizio dove lavora. Non ha pretese il nostro uomo, è un solitario, ha come amico un cavallo che mangia mele e sogna di poter un giorno avvicinare la bella del paese. Una vita perfetta nella grigia Irlanda del nuovo millennio, una vita perfetta di un perfetto idiota, una vita perfetta di un perfetto buono, uno che non farebbe male ad una mosca, ma che dico ad una mosca, ad un microbo! Ma si sa, questi sceneggiatori sono proprio perfidi e il destino terribile che aspetta Josie non tarderà a crollargli sulla sua confusa testa.

L’amicizia con un ragazzino di quindici anni e un film pornografico regalatogli da un amico camionista deformeranno l’esistenza del povero benzinaio come la lente rotta di un cannocchiale. La cosa strana di questo film è la scrittura. Si ride, anzi sarebbe meglio dire che si sorride, e ci si commuove. Grande poesia, delicatezza. Un acquerello del plumbeo e statico mondo irlandese, ma ancor più della società di oggi, così cattiva, cinica e ributtante, da gettare fango e letame anche sulle anime più pure. Una società basata (incredibile a dirsi) sull’incomunicabilità.

La storia è lenta, soprattutto all’inizio. Il linguaggio ricalca un evidente realismo che aggiunge maggiore drammaticità al racconto. A dominare sono le pause, i silenzi assordanti, le smorfie del grande protagonista, l’attore Pat Shortt. Per chi avesse visto Lost in translation mi capirà quando parlo di lentezza. Nel cast anche la bravissima Anne-Marie Duff, la ricorderete nello straziante film Magdalene (se non lo avete visto, ve lo consiglio).

Il regista è Lenny Abrahamson e il film fu inserito al festival del cinema di Torino nel 2007 e, udite udite, vinse (a buona ragione), ricevendo riconoscimenti anche al Toronto Film Festival, a Cannes e a Londra. Solo dopo due anni, dunque, questo piccolo gioiello è uscito nelle sale italiane (in poche sale a dirla tutta) e ne siamo piacevolmente contenti.

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