Il Curioso Caso Di Benjamin Button regia di David Fincher
FantasyIl destino di Benjamin Button è strano. Nasce vecchio, un giorno qualsiasi alla fine della Grande Guerra. Viene dato per spacciato dai dottori ma, di giorno in giorno, ringiovanisce sempre di più in una surreale esistenza al contrario. Inconterà l'amore ma riuscirà a viverlo appieno solo per un breve periodo quando la sua vita si incrocerà, a metà 'strada', con quella di Daisy. Cate Blanchett e Brad Pitt diretti dal regista di Fight Club, David Fincher.
Mark Twain era certo che l’uomo avrebbe potuto vivere più felice nascendo vecchio e morendo giovane, così da passare gli anni “migliori” (lo Zero nazionale non sarebbe molto d’accordo) della sua vita con l’esperienza di tutta un’esistenza alle spalle. Twain ispirò con questa sua frase un altro scrittore, Francis Scott Fitzgerald che a sua volta illuminò l’onirico talento di David Fincher, regista delle atmosfere piovosamente dark/notturne, nichilista metropolitano per indole. Il raccontino (per durata non per contenuto) di Fitzgerald viene dilatato in versione/visione più-che-extralarge con la complicità di Eric Roth, sceneggiatore di Forrest Gump (ogni confronto con il film di Zemeckis è ahimè improponibile, anche se tra le due storie le somiglianze ci sono), per farci capire che alla fine la tragedia umana è comunque inevitabile, anche se lo scorrere della vita venisse completamente capovolto.
Attraverso la storia del suo protagonista, Fincher racconta una parte della storia americana, dalla Grande Guerra fino all’uragano Kathrina che nel 2005 devastò New Orleans, città dove Benjamin Button nasce e muore. Fantastiche immagini storico-biografiche che descrivono con forza a tratti epica i tanti rivolgimenti del novecento. Nel giorno della fine della prima guerra mondiale, sotto il “segno” di un orologio che d’improvviso inizia a girare al contrario, Benjamin nasce, neonato con il corpo e gli acciacchi di un novantenne. La pronosticata morte però non arriva, anzi: il piccolo-vecchio ringiovanisce di giorno in giorno accudito da chi non si è fatto problemi di fronte al suo aspetto, a differenza del vero padre.
La sua vita è straniante, per sé e gli altri; si trova in un mondo per lui/noi completamente rovesciato dove non trova una propria dimensione di vita o meglio ne vive una parallela, uno scorrere del tempo alternativo, unico e difficile perché rende Benjamin diverso. Neanche l’amore (im)possibile è semplice: primo, unico e lungo tutta una vita, sarà fatto di un solo vero incontro con la sua lei, a metà delle loro vite, brevi momenti di vita “normale” prima che il ringiovanimento lo renda sempre più bambino. Ci sono tutti gli ingredienti per una favola. Però Fincher, nel suo essere visivamente spettacolare, non coinvolge, non emoziona. Il perfetto esercizio formale e di stile, alla lunga stanca perché non si instaura quell’empatica necessaria per immedesimarsi nel personaggio. Scherzando si potrebbe dire che può risultare difficile appassionarsi alle vicende di uno che nasce vecchio e con un sacco di problemi ma poi crescendo diventa Brad Pitt!
L’immenso spettacolo visivo, soprattutto nelle scene buie/notture (vero marchio di fabbrica del regista del Colorado) ma non emotivo, pecca proprio nel suo voler essere strabiliante a vedersi, dimenticando che in una storia di questo tipo le emozioni sono fondamentali. Cate Blanchett ci ha ormai abituato ad interpretazioni di altissimo livello; ma non sfigura nemmeno Brad Pitt la cui prova attoriale risente però dei limiti di questa pellicola. Due necessarie menzioni: agli effetti speciali, soprattutto quelli che hanno permesso di innestare i lineamenti dell’attore in corpi/facce altrui per rappresentare i vari stadi della crescita inversa; al grandissimo talento del giovane direttore della fotografia di origini italiane, Claudio Miranda, che ha contribuito in modo eccelso alla bellezza visiva di ogni inquadratura.
“Per quello che vale non è mai troppo tardi, o nel mio caso troppo presto, per essere quello che vuoi essere...non c’è limite di tempo, comincia quando vuoi”: non credo ci sia frase migliore per chiudere.
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