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9/10

Biancaneve E I Sette Nani regia di William Cottrell

Animazione
recensione di Leonardo Romano

La perfida Regina, invidiosa della bellezza della figliastra Biancaneve, vuol farla uccidere da un guardiacaccia che, impietosito, la lascia fuggire. La bella pricipessina trova rifugio presso la casetta dei sette nani, che la adorano fin da subito. Ma la Regina, venuta a conoscenza della fuga, grazie a un incantesimo si trasforma in strega e riesce ad avvelenarla con una mela. Non mancherà il lieto fine, però: i nani uccideranno la strega ed il principe risveglierà Biancaneve con un bacio d'amore.

Se Via col vento (e, prima di questo film, Nascita di una nazione di Griffith) si è imposto come l'archetipo dell'epopea cinematografica, Biancaneve e i sette nani è in assoluto IL FILM D'ANIMAZIONE PER ANTONOMASIA.

Georges Sadoul, in preda a un furore iconoclasta che sconfina quasi in ideologismo, lo liquida così: "Le scene poetiche e sentimentali erano caratterizzate da un cattivo gusto pesante, misto di kitsch e cartoline di Natale; i due personaggi centrali erano scialbi e senza rilievo". Gli controbatte Farinotti, non senza una punta di irrisione: "Erano talmente privi di rilievo che sono diventati un mito continuo".

Forse noi, nel 2012, diamo questo film talmente per scontato (esiste forse un bambino nel mondo civilizzato che non l'abbia visto?) ed è talmente parte del nostro DNA che non riusciamo ad intuirne la portata quasi dirompente che ebbe nel mondo del cinema. Gli animatori della Disney si erano già fatti le ossa, tramite la serie delle Silly Symphony, a fondere con grande abilità musica e colore: il successo de I tre porcellini (1933) fu colossale e forse ne rappresenta l'esempio più compiuto ed artisticamente più felice (oltre ad esser visto come un inno al New Deal roosveltiano. Peccato però che Disney fosse repubblicano e che non avesse opinioni politiche punto progressiste...).

Il grande salto nel buio fu quello di inventarsi di sana pianta un nuovo genere cinematografico: il lungometraggio d'animazione, di cui non esisteva prima d'allora nessuna pietra di paragone. E il risultato fu talmente perfetto nella sua sapiente miscela di pathos, comicità, dramma, azione e canto (capitolo a sè stante, questo, di cui ci occuperemo dopo) che nessun lungometraggio di animazione successivo se ne è di fatto discostato: che lo si facesse intenzionalmente e con serietà come ne Il Principe d'Egitto della Dreamworks o che lo si facesse con grossolani intenti parodistici come nel caso della serie di Shrek, di fatto gli ingredienti son più o meno gli stessi del loro illustre capostipite.

Però il distino loro riservato sarà molto diverso.

Mentre Il Principe di Egitto, kolossal del 1998 che - insieme a Giuseppe il re dei sogni - avrebbe dovuto inaugurare il filone (fortunatamente abortito) del cartone animato  d'argomento biblico non mirato esclusivamente ai bambini (i dichiarati richiami a I dieci comandamenti di De Mille son talmente tanti da sconfinare quasi nel plagio), è già finito nel dimenticatoio e Shrek avrà il triste fato di esser ricordato fra una ventina d'anni con questa frase: "    Aaaaah!... Quel cartone animato dell'orco verde petomane che si fa le candele col cerume!", Biancaneve e i sette nani - con le sue 75 primavere - ci fa illuminare gli occhi solo a sentirne pronunciare il titolo (e sicuramente anche nei nostri figli e nei nostri nipoti avranno la nostra stessa reazione).

Basti pensare che perfino i Gremlins, gli orripilanti e malvagi mostriciattoli creati da Joe Dante, andavano letteralmente in sollucchero di fronte a questo film (ovviamente in Gremlins il richiamo al cinema hollywoodiano classico, così sereno ed ottimista, era tutt'altro che casuale, intriso com'era di quell' ironia iconoclasta che solo un cineasta smaliziato e disincantato degli Anni '80 poteva avere).

Fatto sta che le armi vincenti di questo classico sono tantissime...

La vicenda scorre con una tale fluidità e con una tale piacevolezza che si ha quasi la meravigliosa sensazione che ogni secondo del film sgorghi spontaneamente dallo schermo come se fosse acqua sorgiva (sappiamo invece che Disney, il vero demiurgo di questa impresa rischiosissima - anche da un punto di vista finanziario, col suo milione e mezzo di costo -, seguì da vicino ogni momento della produzione decidendo quali fossero le canzoni, le scene e le gag migliori da inserire).

I personaggi poi sono memorabili!

In primis, i sette nani (che ricevettero dall'Academy addirittura sette Oscar in miniatura): davvero il terno al lotto di questo capolavoro.

Se nella fiaba dei fratelli Grimm appaiono come un gruppo indistinto, Disney gli dà delle caratteristiche fisiche e psicologiche talmente ben definite che è materialmente impossibile confonderne uno con un altro. Chi potrebbe mai affermare che Brontolo è il nanetto perennemente assonnato senza venir guardato come un marziano?

Gli spunti per tutta una serie di finezze che questi sette piccoli grandi attori offrono a Disney sono innumerevoli.

Mi riferisco ad esempio a Cucciolo, privato della parola (scelta in realtà dovuta a motivi assai pratici: non si riusciva a trovare la voce adatta per questo personaggio), che con la sua surreale ed infantile balordaggine si avvicina quasi a vette di poesia degne di Harpo Marx (ancor più stralunato e geniale, se è possbile. Di sicuro più divertente).

Altra carte vincente fu Brontolo, il "burbero benefico" del gruppo. Soprattutto la trovata di creare questo perenne amore-odio (in realtà solo amore) fra lui e Biancaneve aggiunge quella tensione sufficiente che non rende il film troppo piatto nemmeno nelle sue scene più serene e rassicuranti. Il pianto dirotto di Brontolo di fronte al corpo esanime di Biancaneve è forse uno dei punti del film più commoventi in assoluto. Disney temeva che il tutto potesse risultare alquanto grottesco. Poteva esserlo sulla carta, ma il risultato sullo schermo è semplicemente superlativo. Non a caso, alla première, il pubblico presente in sala - composto dalla crème de la creme di Hollywood pronta lì, col fucile spianato, a far da cecchino sulla follia di Disney - non trattenne le lacrime.

Inoltre i nani, con la loro sana ed allegra operosità ("Ehi-oh...Ehi-oh...cantando lavoriam" dice un verso di una delle arci-note canzoni del film), furono visti dal pubblico americano e mondiale come un sano esempio da seguire, un vero epinicio del "New Deal" roosveltiano: avevano raggiunto un tale grado di opulenza con la loro produttività che Dotto poteva permettersi di buttar via una pietra preziosa solo perchè non aveva il giusto suono (senza poi contare che la miniera non è affatto chiusa a chiave, bensì è lasciata alla mercè di chiunque! Ma ai nani non sembra interessare affatto).

Altro punto di forza del film, trascurato colpevolmente da Sadoul (forse per una sorta di miope partito preso), è il lato quasi gotico ed espressionista del film (non a caso il film, nei paesi scandinavi, si beccò il divieto ai minori di 16 anni).

Forse siamo talmente ammaliati dagli animaletti del bosco che aiutano Biancaneve nelle faccende, dal cinguettio degli uccellini, dai trilli di cui è punteggiato il canto della protagonista da non far mente locale alla Regina (modellata, se non addirittura ricalcata, sulla diva algida e perfida per antonomasia di quegli anni, la "mammina cara" Joan Crawford), alla repellente strega, agli inquietanti sotteranei ed alle celle sotterranee del castello in cui vediamo uno scheletro, della trasformazione della Regina in strega (un vero prodigio d'animazione per l'epoca!), ai corvi, agli avvoltoi, ai temporali ed alla cruentissima morte della strega e perfino alla fuga di Biancaneve nel bosco, che invece sono elementi fondamentali di questa pellicola (Disney impose agli animatori di vedere e rivedere il Nosferatu di Murnau e Il gabinetto del dottor Caligari per far capire loro cosa volesse). Il buon papà Walt, profondo conoscitore del mondo dell'infanzia, sapeva benissimo che ai bambini piace tantissimo divertirsi ed essere deliziati, ma anche essere spaventati e inorriditi. Cosa che deve aver tenuto ben presente al momento di realizzare il film.

Insomma non c'è solo zucchero e miele, ma anche del fiele in Biancaneve e i sette nani!

Altro motivo del successo del film sono sicuramente le canzoni, che, nella lor pure apparente semplicità, sono di una perfezione assoluta.

Delle 25 canzoni scritte da Frank Churchill, Leigh Harline e Paul J. Smith solo 8 vennero usate ed alcune divennero non solo memorabili, ma addirittura iconiche (basti pensare alla succitata Ehi-oh!). Mi si obietterà giustamente che Il mio amore un dì verrà non può certo essere paragonata ad una qualsiasi hit di Jerome Kern, di Cole Porter o di George Gershwin. Benissimo! Però potrei a mia volta obiettare che grandi musicisti e cantanti quali Miles Davis o Barbra Streisand hanno lasciato a futura memoria splendide interpretazioni di questa canzone. Perfino dei grandissimi come loro non hanno saputo resistere al fascino delle sue musiche.

Tra l'altro, questo fu il primo film per cui ci si inventò il merchandasing. E pezzo forte di questa gigantesca operazione commerciale fu proprio il disco della colonna sonora, che ebbe un successo clamoroso.

Disney, intuendo le possibilità commerciali di Biancaneve non solo sul mercato statunitense ma addirittura a livello mondiale, volle che venissero approntate dei doppiaggi ad hoc perfino delle canzoni (volle addirittura che venissero tradotte le scritte e le didascalie presenti nel film, di modo che gli spettatori avessero l'illusione che il film fosse stato prodotto nel proprio Paese).

E benchè in Italia il doppiaggio fosse ancora ai suoi primordi (dopo le mediocri e risibili "prove tecniche" dei primi Anni Trenta, a partire dal 1935, con la nascita della CDC, si dette dignità ad una professione che divenne ben presto un'arte), nel 1938, presso gli studi di Cinecittà, si dette vita ad un vero e proprio capolavoro, purtroppo sostituito nel 1972 da un ridoppiaggio forse non orrendo ma terribilmente piatto (furono addotte la risibili scuse di usura tecnica della colonna sonora e di eccessiva libertà rispetto all'originale. Peccato che Disney in persona ne abbia lodato all'epoca la riuscita artistica: a lui ben poco interessava la traduzione letterale quanto piuttosto la resa emotiva sulla platea).

Così, se nella versione del 1938 i doppiatori sembrano rendere i loro personaggi con disinvoltura ed apparentemente senza sforzo, in quella del 1972 si avverte ad ogni piè sospinto il tentativo di risultare spontanei e in parte, ma si ha la sensazione di assistere quasi ad un'artificiosa parodia del doppiaggio di Biancaneve e i sette nani.

Così una sdolcinata e troppo cinguettante Melina Martello (affiancata nel canto da una Gianna Spagnulo dalla voce un po'asprigna) non può certo competere con la spontaneità teneramente infantile di Rosetta Calavetta (mentre le parti cantate vengono affidate al canto levigato ed angelico del più grande soprano di coloratura di quegli anni, Lina Pagliughi. Un vero e proprio colpo gobbo, quello della CDC, assicurarsi una stella della lirica per doppiare un cartone animato!); Bruno Filippini, che canta la parte del Principe nel doppiaggio del '72, è totalmente inadatto per dar voce a un tenore d'impianto operettistico ed è di gran lunga inferiore ad un bravo Giovanni Manurita, più a suo agio qui che nelle sue prove operistiche (senza poi contare che a pronunciare le poche battute di questo personaggio si scontrano Romano Malaspina, comunque bravo doppiatore di tanti cartoni animati giapponesi, e Giulio Panicali, voce di grandi divi romantici degli Anni Trenta e Quaranta quali Frederck March, Tyrone Power e così via); una piattissima Benita Martini ed una Wanda Tettoni troppo gigiona (impegnate rispettivamente a doppiare la Regina e la strega) non reggono il confronto con un'aristocratica e grandiosa Tina Lattanzi (perfetta nella sua glaciale cattiveria) e con una demoniaca Dina Romano; Silvio Spaccesi, Carlo Baccarini e Roberto Bertea (rispettivamente Mammolo, Gongolo e Dotto) non sono altro che dei mestieranti se li paragoniamo ai grandissimi Lauro Gazzolo, Cesare Polacco e Olinto Cristina.

Perfino due particine come quella del guardiacaccia e e dello Specchio Magico, nel doppiaggio del '38, sono tratteggiati in maniera ineccepibile grazie all'arte del grande Mario Besesti e di Aldo Silvani!

Speriamo che qualche anima pia della Walt Disney italiana si decida un bel giorno ad editare questa vera e propria perla... Se non proprio come traccia traccia audio principale, almeno come una delle secondarie o che gli dedichi un apposito dvd nella nostalgica ma aurea collana dei Walt Disney Treasures (anche se, ahimè, credo che la mia rimarrà una pia illusione da cinefilo incallito).

Che dire ancora?

Oltre al colossale successo commerciale del film (con i suoi 8 milioni di dollari divenne il più grande incasso di tutti i tempi fino alla comparsa di Via col vento. Ma sul numero degli spettatori pare che il kolossal di Selznick arrivasse addirittura secondo! Walt Disney fece notare che la platea di Biancaneve era in gran parte composta da bambini, che pagavano 50 centesimi di biglietto rispetto ai 2 dollari e mezzo di Via col vento, quindi gli spettatori del suo film devono essere addirittura stati il quintuplo di quelli dell'epopea ambientata durante la Guerra di Secessione!), questo grandissimo film ha ottenuto anche prestigiosi riconoscimenti: un Oscar speciale nel 1939 come film novità (consegnato a Disney dalla allora 11enne Shirley Temple), il Grande Trofeo d'Arte della Biennale di Venezia (arrivando addirittura a battere Olympia di Leni Riefenstahl) ed il Premio Speciale del New York Film Critics Circle Award. Bisogna poi aggiungere al bottino di premi anche le lodi di Charlie Chaplin e l'elogio forse ancor più prestigioso di "Sua Maestà" Ejzenstein, che lo definì "il più grande film mai realizzato". Beh, di fronte all'approvazione di così tanti "mostri", non posso far altro che accodarmi...

Si può accusare - anche non a torto! - questo cartone animato di essere caramelloso, eccessivamente sentimentale, sdolcinato, ingenuo, di essere kitsch con la sua grafica melensa, però è una parte talmente importante della nostra cultura (non solo popolare) e della nostra vita che non si può fare a meno di inchinarsi di fronte a un'opera cinematografica così compatta, ancora capace - dopo ben 75 anni! - di emozionare intere generazioni di spettatori e di guadagnarsi nuovi fedeli adepti.

Questo, il grande segreto di un classico: resistere al passare del tempo senza denotare il benchè minimo segno di usura e mantenere intatta tutta la sua forza primigenia.

E Biancaneve e i sette nani infatti è un classico nel vero senso della parola: splendido oggi come lo fu al suo primo apparire, nel lontano 1937.

Da vedere e rivedere. Con o senza i bambini accanto

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alejo90 (ha votato 9 questo film) alle 11:36 del 25 aprile 2012 ha scritto:

Totalmente d'accordo; capolavoro del cinema ancor prima che capolavoro dell'animazione!