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6/10

Voglio Essere Amata In Un Letto D Ottone regia di Charles Walters

Musical
recensione di Leonardo Romano

Colorado, inizi del Novecento. La rozza ma vitale Molly si sposa col bel Johnny Brown che, per un colpo di fortuna, riesce a trovare un filone d'oro in una miniera. I due di trasferiscono a Denver e Molly desidera far parte dell'aristocrazia locale (sebbene andando incontro a molte frustrazioni), mentre Johnny sembra non averne minimamente voglia (anzi, sembra non apprezzare per nulla la metamorfosi della moglie in arrampicatrice sociale). Ma il naufragio del Titanic su cui Molly s'è imbarcata farà capire ai due quanto si amano e ritorneranno l'uno a fianco dell'altra.

Mentre nelle sale riapproda e riaffonda quel kolossal-polpettone (o quel colossale polpettone, scegliete voi la decisione che più vi aggrada) che è Titanic, può capitare che sugli schermi televisivi rifaccia capolino questo che è considerato il più famoso musical di Debbie Reynolds (di sicuro negli Stati Uniti, non certo qui in Italia!), The Unsinkable Molly Brown (tradotto dai nostri distributori in modo totalmente idiota più che fantasioso, con un ridicolo Voglio essere amata in un letto d'ottone), in cui la vicenda del transatlantico inaffondabile (proprio come la protagonista Molly: questo il significato di "unsinkable") è solamente accennata verso la fine.

Tratto da un musical andato in scena a Broadway nel 1960 con parole e musica di Meredith Wilson, libretto di Richard Morris, con protagonisti Tammy Grimes (vincitrice del Tony come miglior attrice per un musical), Harve Presnell (che riprenderà il suo ruolo anche per la versione cinematografica) e Jack Harrold, per un totale di 532 repliche (un discreto successo, ma non certo strepitoso), fu subito intercettato da Hollywood, sempre ansiosa di fagocitare commedie teatrali di un certo successo per trasformarle in film di grandissimo successo.

Nel passaggio dal palcoscenico allo schermo, di rado i musical vengono riproposti con rispetto sacrale e The Unsinkable Molly Brown non fece eccezione: sopravvissero solo cinque numeri musicali dei diciassette della versione teatrale, Tammy Grames non fu scritturata (solo Harve Presnell ed il coreografo Peter Gennaro furono precettati d'imperio fra i membri del cast di Broadway), con qualche bega produttiva annessa che andremo adesso a narrare.

La MGM era intenzionata ad affidare il ruolo di Molly Brown a Shirley MacLaine, che non ci pensò due volte a firmare il contratto. Il produttore Hal Wallis, però si mise di traverso, visto che l'attrice era già obbligata a rispettare i vincoli di un altro contratto sottoscritto in precedenza con lui. Alla fine, Shirley MacLaine dovette a malincuore rinunciare, non senza aver prima accusato pubblicamente la Reynolds di averle soffiato la parte accettando un compenso più basso del suo (si vendicherà ulteriormente interpretando un ruolo a lei ispirato nel film Cartoline dall'inferno, tratto da un romanzo semi-autobiografico di Carrie Fisher, figlia della Reynolds: un ritratto davvero poco lusinghiero se addirittura impietoso della "fidanzatina d'America"!). Benchè perfino il regista del film, Charles Walters, volesse Shirley MacLaine come protagonista e cercasse insistentemente di dissuadere la Reynolds dall'accettare la parte, non ci fu nulla da fare: alla fine, Debbie Reynolds venne scriturata per interpretare Molly Bown. I fatti sembrarono comunque darle ragione, considerando che l'Academy la ritenne degna di una nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista (dovette però cedere il passo a Julie Andrews, che quell'anno vinse la statuetta per Mary Poppins).

Questo il dietro le quinte... Ma che dire del film?

Niente di che... Nel senso buono, ma niente di che.

Voglie essere amata in un letto d'ottone non è in sè un musical disprezzabile, però è il classico esempio di vaso di terracotta fra vasi di ferro (un po'come succederà nel 1982 a Annie, musical per bambini che si troverà sciaguratamente a competere con un musical di tutt'altra levatura - Victor Victoria - e con un film per bambini di maggior richiamo popolare - E.T. - con l'inevitabile conseguenza di non poterne non risentire al botteghino): per sua disgrazia, questo colorato musical dovette competere e reggere il confronto con due pietre miliari del genere, My Fair Lady e Mary Poppins. Purtroppo l'energica Molly, se confrontata con la rozza fioraia dei bassifondi di Londra e con la bambinaia canterina più famosa della storia del cinema (e con i relativi spartiti!!), non può che uscirne con le ossa rotte.

A.H. Weiler del New York Times scrive una recensione tiepidina definendo la pellicola "semplicemente una buona commedia musicale e non certo un film ispirato". Continua affermando giustamente che la musica "non è che non si possa non definire orecchiabile", però risulta essere "più gradevole che memorabile", concludendo la sua recensione così: "L'inaffondabile Molly Brown, nella persona di Miss Reynolds (e degli altri interpreti principali), spesso confonde l'energia con la bravura".

Variety gli fa eco con una recensione dai toni non molto dissimili: "In primo luogo, la musica di Wilson è piuttosto scialba. Debbie Reynolds si cala nella parte con verve ed energia a profusione. Talvolta però il suo approccio al personaggio sembra essere più atletico che ispirato".

Francamente, come dar loro torto? Nei 128 minuti di proiezione di questo elefantiaco giocattolone forse anche un po' ippopotamesco (che, almeno nella confezione dai colori sgargianti, vorrebbe rifarsi ai grandi musical dell'età dell'oro della cosiddetta Freed Unit, ovvero a Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi, Gigi, Spettacolo di varietà e così via, ma in realtà sembra esserne più un asfittico ed affannoso guscio vuoto) si ha la sensazione che stia per accadere qualcosa, ma poi di fatto si rimane a mezz'aria perchè non accade niente di sensazionale. Insomma, arriviamo ai titoli di coda chiedendoci un po'stupiti: "Ma non sarebbe dovuto capitare  qualcosa?".

Ovviamente non si può negare che il film non abbia i suoi pregi (la bella fotografia; gli esterni in Colorado filmati da Walters con una certa abilità; una certa finezza nel tratteggiare la solitudine di Molly, ricca sì ma senza amore), però dalla visione di questo musical si ricava come un senso di superficiale vacuità e di inconsistenza di fondo non indifferente. Se avessimo impiegato le nostre due belle orette facendo qualcosa di più utile, noi e il cinema - di comune accordo - ce ne saremmo fatti una ragione.

Di sicuro il soggetto ha degli spunti decisamente interessanti per riflessioni potremmo azzardarci a dire perfino sociali oltre che comiche, però la sceneggiatura di Helen Deutsch è davvero gracilina e non aiuta (nè scongiura) l'andamento un po' bovino del film.

Gli interpreti poi si sforzano di sembrare divertenti e divertiti (e talvolta sembra che lo siano!), però spesso si ha quasi l'impressione che lo siano quasi per sfida o per puntiglio nei confronti del pubblico (come per dire: "Abbiamo un musical mediocre fra le mani? E noi vi facciamo vedere di cosa siam capaci! Cascasse il mondo, vi facciamo divertire a tutti i costi!").

L'apoteosi di quest'approccio, come è stato fatto rilevare dai critici succitati, è proprio Debbie Reynolds, che nel tentativo di sopperire alle pecche di un talento non irresistibile, cerca di far leva sulla più apparente che sostanziale simpatia del suo personaggio, ma, nello sforzo di essere vivace e battagliera, risulta un po' più aggressiva del dovuto per i nostri gusti (forse anche nel tentativo di dimostrare al regista ed ai produttori della MGM di non essere una seconda scelta?). Addirittura in certi passaggi del film è decisamente sgradevole e pure antipatica.

Dal canto suo, Harve Presnell (che nel mondo del cinema sarà una meteora, non tanto perchè difettasse in talento, quanto perchè il musical come genere cinematografico di successo era giunto ormai al capolinea), forse in virtù del rodaggio a teatro, infonde maggiore umanità al suo personaggio e la sua prova ci convince di più rispetto a quella della Reynolds.

Però, di fatto, lo spettatore medio ogni tanto sonnecchia e si annoia, visto che un bel film non dovrebbe esser lastricaro solo di buone intenzioni.

Questo della MGM, ci dà l'impressione di essere uno sforzo produttivo (anche cospicuo) un po' fine a se stesso, di cui non conserviamo un ben preciso ricordo e di cui stringi stringi non riusciamo a capirne l'utilità. All'epoca, questo musical ebbe un buon successo negli Stati Uniti (fu il terzo incasso della stagione), però sulla lunga distanza, a livello planetario, dovette cedere il passo nell'immaginario collettivo a due commedie musicali prodotte nello stesso anno di tutt'altra caratura (My Fair Lady e Mary Poppins) e, benchè continuasse e continui tuttora ad avere negli USA il suo zoccolo duro di estimatori, è finito col tempo nel dimenticatoio (in Italia si può dire senza tema di smentita che ben poche persone ne conoscano perfino il bislacco titolo. Figuriamoci poi se qualcuno l'ha mai visto!...).

Forse lo spettatore (ed il telespettatore) italiano si ridesta dal torpore nel momento in cui sente intonare la ripresa di "I'll Never Say No" e di "I Ain't Down Yet" non da Debbie Reynolds, ma bensì dalla bravissima Tina Centi (versatile ed impeccabile come sempre), quell'anno impegnata a prestare la sua ugola d'oro sia alla rozza fioraia di Lisson Grove che alla bambinaia canterina più famosa della storia del cinema (se la MGM e i distributori avessero deciso di doppiare tutte le canzoni del film e non di optare per la scelta francamente assurda di doppiarne due o tre senza un motivo apparente, forse ci saremmo fatti prender meno dalla sonnolenza ed avremmo mantenuto un po'più alta la nostra soglia di attenzione. Tra l'altro, considerando il pesantissimo accento americano del mai identificato "doppiatore ignoto", c'è da ipotizzare che Harve Presnell si sia preso la briga di doppiare da sè le sue canzoni in italiano. Ipotesi tutt'altro che campata in aria, considerando che già nei primi anni '40 Clarence Nash, doppiatore americano di Paperino, approntò con la sua voce le edizioni di Saludos amigos e de I tre caballeros destinate al mercato estero).

Alla fin fine, senza girarci tanto intorno, il giudizio è lapidario ma senza acredine: senza infamia e senza lode. Proprio come lo spartito di Meredith Wilson!

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