E' Nata una Stella regia di George Cukor
MusicalEsther Blodgett, cantante di un complessino jazz, viene scoperta dall’attore Norman Maine. L’ascesa della carriera di lei, diventata ora Vicky Lester, coincide con il declino di quella di lui, che deciderà di porre fine alla sua vita per non essere un ostacolo al successo della moglie.
Rifacimento del film del 1937 (un altro remake uscì nel 1976 con protagonista Barbra Streisand), È nata una stella del 1954 è la prima opera musicale e a colori di George Cukor, il quale prese spunto dal suo precedente A che prezzo Hollywood (1932), e rimane uno dei più grandi successi di Judy Garland, la quale aveva già interpretato la parte principale in una versione radiofonica. La storia, riscritta da Moss Hart ma comunque aderente alla trama base, racconta l’avvio di una carriera trionfante per Esther Blodgett (Judy Garland), in arte Vicky Lester, scoperta da una delle stelle più fulgide del firmamento di Hollywood, nonostante qualche problema di alcol, Norman Maine (James Mason). Sentendola cantare in un club, l’attore riconosce in lei il talento vero, le organizza un provino e la conduce verso una nuova vita da diva. La notorietà, i riflettori, le limousine e tutto ciò che fa di Esther una celebrità coincidono di pari passo con il declino della carriera di Norman, diventato intanto suo marito, il quale si abbandona al bere, perde ogni speranza e, alla fine, compie la celebre passeggiata tra le onde del mare, per non gravare le spalle della moglie di un insopportabile fardello.
È nata una stella non rivela di fatto nuove sfaccettature del talento di Judy Garland, bensì le offre la possibilità di concentrarle tutte in una singola parte: di grande effetto la scena in cui canta “The man that got away” di notte, da sola nel night club, solo per se stessa. È il suo miglior numero musicale, una canzone altamente significativa e con un testo appassionato resa nel modo migliore, con abbandono ma senza esagerare.
Il film funziona meglio nella prima metà, quando il pubblico scopre le doti di attrice di Esther e la vede al lavoro nella “fabbrica dei sogni” di Hollywood; in particolar modo, la scena iniziale allo Shrine Auditorium esprime l’eccitazione e la frenesia di una prima, una serata mondana affollata di celebrità, di masse dei fan e di barriere della polizia. Il punto debole della pellicola è probabilmente l’eccessiva drammatizzazione di alcune scene rispetto all’originale e la struggente crisi interiore di Norman determinata dal fatto che un fattorino lo chiami “Mister Lester”: il personaggio di James Mason, seppur tendente all’alcolismo, dimostra fin dall’inizio di avere un carattere forte che gli avrebbe permesso non solo di ridere di quell’equivoco, ma anche di resistere e di sopravvivere. Ad ogni modo, la Garland e Mason sono superbi nei rispettivi ruoli e la loro efficacia nelle scene a due è il vero punto di forza del film. L’interpretazione di Judy Garland, ritornata sulle scene dopo quattro anni di assenza (in seguito all’insuccesso de L’allegra fattoria del 1950), sembra proprio estemporanea: l’attrice riesce a far sembrare nuove le sue canzoni, convincendo il pubblico che stia improvvisando, e l’entusiasmo con cui balla e canta è contagioso. La diva ricevette la candidatura all’Oscar del 1955 come Migliore Attrice Protagonista (vinto poi da Grace Kelly per La ragazza di campagna) e si aggiudicò il Golden Globe insieme al suo co-protagonista. James Mason tocca livelli di emotività altissimi, riesce ad essere un forte ed intenso partner per la Garland e il loro rapporto sullo schermo è straordinario.
Il film, la cui produzione durò oltre i dieci mesi (anche perché venne utilizzato il nuovo sistema in Cinemascope), subì numerosi tagli (tra i quali il numero “Lose that long face”) ma rimane una delle più affascinanti incursioni nel dietro le quinte di Hollywood e uno dei lavori più impegnativi sia per Judy Garland che per il regista George Cukor, il quale si cimenta in una fusione di musical e melodramma, in una visione disincantata della fama e dello star system. È nella celebre “Born in a trunk”, in cui la protagonista rievoca la sua vita e la sua carriera, che esce fuori tutta la potenza del film: sebbene il successo non venga tutto d’un colpo, a un mito ne sostituisce un altro, morta una stella ne nasce un'altra: è la crudele legge dello show business.
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