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4/10

Il Favoloso Dottor Dolittle regia di Richard Fleischer

Commedia
recensione di Leonardo Romano

Un eccentrico veterinario, il dottor Dolittle, capace di parlare con gli animali, vuole andare in cerca del Gasteropodone Rosa e per avere i soldi necessari per intraprendere il viaggio porta in un circo come attrazione un lama a due teste. Il poveretto viene condannato per l'omicidio di una vecchietta (in realtà una foca, Sophia, a cui il buon dottore ridà la libertà), ma riesce ad evadere grazie all'aiuto dei suoi amici: Matteo,un simpatico irlandese, il piccolo Stubbins e il pappagallo Polinesia (con tanto di clandestino a bordo: la nipote del giudice, Emma Fairfax, innamorata della sua bontà e del suo candore). La ciurma giunge su un'isola di selvaggi (in realtà perfettamente civilizzati), nei pressi della quale riescono a trovare il Gasteropodone. Se gli altri (Emma compresa) son costretti a far ritorno a casa, Dolittle rimane sull'isola progettando di andare a scovare la Falena Lunare. Un giorno, però, sulla spiaggia giunge Sophia. Gli comunica che l'Inghilterra è paralizzata da uno sciopero degli animali a causa dell'assenza del buon Dolittle. Il veterinario potrà far ritorno trionfalmente a casa a bordo della Falena Lunare.

Dopo l’inatteso exploit di Tutti insieme appassionatamente (decisamente costoso), il vegliardo Zanuck, forse galvanizzato dall’aver azzeccato questo terno al lotto, si lanciò in una serie di imprese decisamente arrischiate che portarono la Fox sull’ orlo del fallimento: mise mano alcuni film dispendiosissimi, ma che furono tonfi clamorosi (talvolta dando alla luce musical che già in quegli anni parevano ridicoli pezzi da museo).

È il caso di questo Il favoloso dottor Dolittle (appaiato ad un ancor più disastroso Un giorno…di prima mattina), che unisce oltre al danno la beffa.

Di chi la colpa di questo disastro artistico e commerciale?

Intanto del pubblico che stava cambiando gusto e che, avvicinandosi sempre di più al ’68, era sempre meno disposto a pagare un biglietto per assistere a spettacoli musicali vacui e ottimisti, mentre il mondo, fuori dalle sale, andava tragicamente avanti con la guerra nel Vietnam, l’omicidio di Bob Kennedy e così via.

Ma, più che colpa degli spettatori, fu della Fox che, mettendo insieme anche ottimi, buoni e discreti talenti, filma una fiaba musicale soporifera, che – difetto atroce per un musical – non ha una canzone memorabile nemmeno a pagarla oro.

La colpa principale, però, va attribuita a Lesile Bricusse (nei cui confronti Rex Harrison era non a torto diffidente), che partorisce una sceneggiatura che ha del ridicolo: un collage (quasi un patchwork) raffazzonato di risibili e ridicole avventurette tenute insieme con lo sputo.

Peggio ancora, Bricusse mette insieme parole e musica (come paroliere, però, darà prova di valore a fianco di Henry Mancini, eccelso compositore, in Victor / Victoria) per una serie di canzoncine che procedono lievi e leggere come un ippopotamo (forse, però, ce ne sono un paio discrete), in cui sembra che qualcuno abbia estratto le note a casaccio dal sacchetto della tombola. Le ben 6 nomination che il film si aggiudicò furono oggetto di vivacissime polemiche (considerando il fiasco commerciale e le critiche unanimi nel bocciare questo giocattolone da 18 milioni di dollari), ma ancor più contestata fu la designazione agli Oscar della canzone Talk to the animals.

Mi verrebbe da dire: e vorrei vedere!

Anche il cast non sembra essere al meglio.

Rex Harrison è chiamato in pratica a replicare il suo professor Higgins, ma non essendo sostenuto da cotanto musical, mostra solo una flemma britannica che sembra più sonnolenza (e infatti questo film dai magri incassi stroncherà la sua carriera da protagonista, appena a 3 anni dall’ Oscar per My Fair Lady). Samantha Eggar si trova a inanellare un altro scialbo ruolo nella sua non esaltante carriera cinematografica (inoltre parzialmente doppiata nel canto da Diana Lee), ma non è dopo tutto atroce (forse l’unica che vuol infondere un po’ di brio a un film nato morto). Anthony Newley dovrebbe essere una sorta di irlandese dal cuore d’oro (non esente da una certa balordaggine) dietro ad un’aria da guascone: missione riuscita a metà. Richard Attenborough, il Blossom padrone del circo, tratteggia una figurina simpatica ma nulla più.

Richard Fleischer (regista dagli esordi promettenti), dal canto suo, non sembra poi così eccitato all’ idea di dover confezionare un musical tutt’altro che esaltante: in effetti, l’andamento piuttosto bovino del film è da addebitare anche a lui (benché i fotogrammi siano incorniciati da una bella fotografia e non manchino delle inquadrature d’un certo valore). Gli effetti speciali, considerando che siamo negli anni ’60 e senza aiuto della computer grafica, sono notevoli: almeno quest’ Oscar non è un furto!

La Fox, forse resasi conto che questo musical non avrebbe trascinato le folle al cinema nemmeno a snidarle dalle proprie case con i marines, per aumentarne l’appeal, impose ai distributori di approntarne anche un doppiaggio musicale.

Bisogna dire che questo è uno dei non rari casi, come in quello dell’altro tonfo musicale dell’anno, Camelot, in cui un doppiaggio ben fatto aiuta a rendere sopportabile quello che, in lingua originale, sarebbe un’atroce supplizio (con buona pace dei “puristi”. Infatti il numero di stelle, benevolo più del dovuto, è proprio merito della vecchia e cara CDC).

Nando Gazzolo, col suo timbro di velluto e con la sua ottima intonazione, supera in canto e in recitazione un Rex Harrison non proprio al meglio. Maria Pia Di Meo (deliziosa come sempre) e Tina Centi nel canto (l’imperatrice delle ghost singers, di un talento sovrumano) danno alla Eggar una marcia in più. Il bravo Gianni Marzocchi, che spolvera il suo canto levigato per Anthony Newley, vince il collega su entrambi i fronti (canoro e recitativo).

Due veri e propri gioiellini per gli appassionati di doppiaggio, sono la presenza di James Bond (alias Pino Locchi, bravissimo in uno dei suoi purtroppo rari appuntamenti canori) nel dar voce a Richard Attenborough e di un’allora “matricola” davanti al leggio come Isa Di Marzio, che dà voce al pappagallo Polinesia (la bravissima Di Marzio ci rimarrà nel cuore per le sue caratterizzazioni nei cartoni animati di Tom e Jerry e di Woody Woodpecker – o Picchiarello che dir si voglia -  e per esser stata Louise Jefferson, “Wizzie”, nell’omonima memorabile serie).

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto e la Fox, non avendo forse metabolizzato il fiasco del film (che comunque sembrò trovare i suoi tenaci estimatori fin dal 1967) e sembrando in qualche modo innamorato del soggetto, confezionò nel 1998 un remake, d’ambientazione contemporanea e senza canzoni di Bricusse (per fortuna!), con protagonista un Eddie Murphy petulante come al suo solito. Però il piglio volgarotto e disincantato (stavolta in linea con i tempi) ne decretò un successo tale presso i bambini e gli adulti da infliggerci diversi, inutili sequel.

Comunque il personaggio è entrato nell’immaginario collettivo nonostante questo musical mediocre (forse lo stesso fallimento commerciale del film ne ha alimentato la fama) ed ha dato origine perfino ad una serie di cartoni animati per la tv e ad una riesumazione del musical di Bricusse sui palcoscenici di Londra negli Anni ’90 (col lusso di Julie Andrews nelle “vesti” della voce al pappagallo Polinesia)

Il perfido giudizio del famoso critico Leonard Maltin (“Il film ha un merito: se avete dei bambini turbolenti, li fa andare a letto”. Che comunque è stata una delle tante stroncature e forse non l'ultima), stringi stringi, non dice il falso.

E se,oltre a voler seguire il consiglio di Maltin, voleste imbarcarvi nella visione (fra uno sbadiglio e l’altro. Come se non si fosse capito…), vi consiglio di farlo solo per un motivo eufonico: ascoltare le belle voci che è riuscita a squadernare la CDC dei tempi d’oro.

P.S.: mi scuso già in anticipo per il numero eccessivo di stelle, ma il motivo di tanta benevolenza è solo quello scritto poco più sopra.

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