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7/10

La Versione Di Barney regia di Richard J. Lewis

Commedia
recensione di Alessandro M. Naboni

Dall'omonimo best-seller del canadese Mordecai Richler, la più-o-meno inventata autobiografia di Barney Panofsky, ricco produttore di origine ebrea. La storia dei suoi tre matrimoni, di un unico vero amore, di sigari Montecristo e whiskey, di una grande amicizia finita in un mistero, ma soprattutto di un uomo che non sa trovare la serenità dentro di se e rovina quanto di buono riese a costruire. Barney (si) racconta la sua vita quasi per volerla fissare sulla carta prima che tutto gli scivoli lentamente via dalla testa..

Nel 2010 Barney Panofsky ha 66 anni ed è un produttore televisivo di successo. Ultimamente non si ricorda mai dove ha parcheggiato l’auto, quale posata usare per il dolce e nemmeno di aver portato la bara del suo grande amico Leo al funerale dell’anno prima.

Alzheimer. Però possiamo saltare questa parte, tutti sappiamo come andrà a finire.

Nel 1997 il canadese Mordecai Richler scrisse ‘The Barney’s Version’s” , la più-o-meno inventata autobiografia con cui il ricco ebreo Panofsky cercava di sconfessare l’accusa dell’omicidio del suo grande amico Bernard Boogie Moscovitch mossagli da un detective della polizia nonché pessimo sscrittore. Barney espone la sua versione dei fatti, raccontando quello che accadde prima e dopo quel tragico giorno: un provvidenziale/strampalato tradimento, alcool, la pistola delle (seconde) nozze regalatagli dal padre, un pontile sul lago, un canadair.

Pura invenzione narrativa? Richler non l’ammise mai, ma tra sigari Montecristo e whiskey single malt Macallan, le analogie con la sua storia personale son tante per essere solo coincidenze: autobiografica-finta-autobiografia.

Ma non è questo il punto fondamentale. È il dantesco amor che move il sole e l'altre stelle: la vita di Barney è scandita da tre storie d’amore (e relativi matrimoni), le uniche relazioni in grado di condizionare nel bene e nel male ogni cosa che lo riguardi. La giovane pittrice Clara, tragicamente hippie fino alla (sua) fine. Amore troppo libero per essere vero. La seconda signora P., ricca ereditiera oca con tanto di master, che fa da gustoso (per poco) e odioso (per troppo) intermezzo, salvo essere sostituita già durante il banchetto nuziale da Miriam. L’amore più grande, forte-troppo-forte, da rincorrere in stazione prima che sparisca per sempre, da cercare con testardaggine quando vuole scappare, da corteggiare spudoratamente e infine da vivere.

Ma la condanna di Barney è di non riuscire a trovare serenità, una certa calma interiore. Non è cattivo, perché sa regalare agli altri la felicità che sembra non avere, sia essa sotto forma di finti articoli della stampa bulgara o soldi a fondo perduto per un romanzo che non troverà mai fine. Proprio non riesce a togliersi di dosso quell’inquietudine costante che lo porta continuamente ad auto-destabilizzarsi, a rompere controvoglia equilibri perfetti. Commette l’errore più grande della sua vita, l’unico che rimpiangerà sempre: distruggere, per una sbandata, quanto di più grande e compiuto sia mai riuscito a fare. Dopo c’è solo tanto whiskey, sigari, ricordi, rabbia, insulti telefonici, i figli Michael e Kate.

Una solitudine che l’Alzheimer incombente rende ancora più surreale e triste. (Im)meritato limbo senza fine, eccessivo contrappasso in alternati flashback.

Non è un film completamente sincero, non è perfetto. A tratti forzati passaggi emotivo-narrativi con un protagonista edulcorato rispetto all’impetuosamente yiddish Barney del libro. Manca forse il coraggio di osare di più, di forzare la mano sulle orme delle parole scritte di Richler, in una direzione più Coen. Funziona, se non si è letto il romanzo, nonostante la consolatoria panchina finale. Izzy Panofsky, l’irriverente padre con la faccia di Dustin Hoffman, si carica sulle spalle tutto il lato di forte critica sociale che Richler aveva modellato sul personaggio di Barney. Questione di prospettive registiche. Poi due parole, se ancora ci fosse bisogno di conferme: Paul Giamatti. Bravissimo. Non è l’uomo giusto nel film giusto, ma riesce a dare credibilità e forza a un personaggio cucito su altra faccia/corpo.

I’m your man di Leonard Cohen in colonna sonora è la perfetta sintesi di una vita.

Mazel tov.

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Voto degli utenti: 6,4/10 in media su 7 voti.

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AndreaBrunelli (ha votato 8 questo film) alle 23:33 del 24 gennaio 2011 ha scritto:

Grande prova del cast, su tutti Giamatti ma anche la Pike è convincente e brava. Hoffman di nuovo sui suoi livelli dopo parecchi film da dimenticare...

Non avendo letto il libro non posso fare il paragone col film, però mi pare doveroso sottolineare il trailer davvero ingannevole. Ormai ci considerano un pubblico di pecoroni, dedito solo a film con ammiccamenti sessuali, cinepanettoni e commedie...

alexmn, autore, (ha votato 7 questo film) alle 23:00 del 27 gennaio 2011 ha scritto:

il cast salva decisamente un film che rischiava seriamente di cadere nell'indifferenza. so che è meglio non fare confronti con il libro, ma qui si perdono alcuni elementi che sarebbero stati fortemente cinematografici. in mano ai Coen, anche solo a livello di script, sarebbe stata un'altra cosa. non lo sapremo mai

sul trailer stenderei un velo pietoso...

SanteCaserio (ha votato 4 questo film) alle 0:30 del 26 giugno 2011 ha scritto:

Troppe aspettative

Eccessivamente autocompiaciuto (ma a differenza del libro ha meno elementi per giustificare un simile atteggiamento). Persino il trucco è poco convincente. Si salva Hoffman. Da evitare assolutamente il commento di Giuliano Ferrara compreso nel dvd. L'autoreferenzialità si perde in un guado tra il dramma e la commedia, senza prendere forma

Peasyfloyd (ha votato 8 questo film) alle 10:51 del 25 settembre 2011 ha scritto:

Delizioso

E' vero che rimane in bilico pericoloso tra registro drammatico e comico senza riuscire a decidersi, ma questo più che essere un limite mi è sembrato un valore aggiunto di un'opera che riesce prima a far ridere a crepapelle, poi ad emozionare nel profondo. Giamatti è fenomenale, Hoffman pure. Soggetto e sceneggiatura sono ottimi. Il ritmo è spedito e anche la regia senza strafare eccessivamente mostra punte di virtuosismo interessanti. Per me è quasi un capolavoro

alexmn, autore, (ha votato 7 questo film) alle 11:22 del 25 settembre 2011 ha scritto:

a distanza di mesi devo dire che mi è rimasta solo la buona impressione sugli indubbi punti di forza del film. però, anche se la trasposizione rende l'opera (giustamente) qualcosa di nuovo/diverso, manca quello scatto in più che richler aveva saputo dare al libro. comunque davvero un buon film.