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6/10

Niente da dichiarare? regia di Dany Boon

Commedia
recensione di Alessandro M. Naboni

Dopo il grande successo di Giù Nord, Dany Boon ritorna con la sua commedia dei pregiudizi. Il 1 gennaio 1993 le frontiere europee verranno aperte alla libera circolazione. Due agenti della dogana, uno belga e l'altro francese, vedono a rischio il loro posto di lavoro: Ruben, “francofobico” da generazioni, e Mathias, segretamente innamorato della sorella del suo omologo belga. Le mutate circostanze politiche li porteranno a convivere in un’improbabile dogana mobile.

Nei primi anni ’90 l’Unione Europea come la (dis)conosciamo oggi e l’euro-apocalisse erano progetti in divenire lontani dal vivere quotidiano della gente. Ai confini degli stati europei, più-o-meno solerti doganieri controllavano ancora il passaggio della frontiera: semplice turismo, traffici illegali, benzina a basso costo e frontalieri pendolari tra uno stato e l’altro. Nel 1992 tutto iniziò concretamente a cambiare con la decisione di eliminare i controlli doganali tra i paesi membri dell’Unione: l’1 gennaio 1993 segna l’inizio ufficiale della libertà di circolazione. Poi Maastricht, Schengen, accordi e trattati vari, la moneta unica, l’ampliamento degli stati fino ai giorni nostri con la crisi del modello Europa. Altre storie (attuali).

L’umorismo francese d’esportazione del regist-attore Dany Boon parte dall’inizio, nella primavera dell’86 quando i giornali annunciano la poco lieta novella. Una davvero ben fatta transizione temporale, che sfrutta il movimento di rivoluzione terrestre, ci porta direttamente a sette anni dopo quando la dogana franco-belga tra gli inventati paesi di Corquain (Francia - Nord-Pas de Calais) e Koorkin (Belgio - Vallonia) sta per cedere il passo al progresso unificatore.

Ruben Vandevoorde (l’ottimo Benoit Poelvoorde) zelante doganiere belga è uno stakanovista della frontiera. Fermamente convinto dell’importanza di quella striscia gialla sull’asfalto, difesa nella notte dei tempi dai patrioti belgi contro l’invasione dei ‘barbari’ francesi, è deciso a far rispettare la (sua) legge fino all’ultimo giorno. Nato e cresciuto da padre nazionalista che gli ha instillato l’odio (immotivato) per i mangia-lumache, prosegue con l’indottrinamento delle giovani generazioni istruendo il figlio sulla grandiosità del Belgio, mentre di notte sposta con lui i confini nazionali. L’incubo ‘dogana del paradiso’ cambierà amicizie e prospettive di vita. Mathias Ducatel (Dany Boon) è la controparte francese dal cuor gentile e gli occhi pieni d’amore per la sorella dell’incubo della frontiera di cui sopra, relazione tenuta segreta per non turbare equilibri familiari alterati anche soltanto dal sapore dall’acqua francese. L’istituzione di una dogana mobile li unisce nella comicamente-inevitabile squadra mista franco-belga con strumenti all’avanguardia per la lotta al crimine: una fantastica Renault 4 più-che-vintage-a-pezzi, l’improbabile cane anti-droga Grizzly che al momento giusto saprà scovare retro-nascondigli per il contrabbando e uno dei primi costosissimi cellulari-cabina GSM.

La comicità linguistica e di confine di quella gran faccia da mimo di Dany Boon, lontana dalla commedia sofisticata alla francese (Potiche di Ozon per non andare troppo in là con la memoria) o dal demenzial-umorismo dei Les Charlots, parte lenta, quasi un motore ingolfato tra la desolazione di negozi che stanno chiudendo, la nostalgia per i bei tempi passati, grotteschi siparietti d’impacciati criminali e le non sempre innocue querelle di frontiera. Poi il film ingrana: una super car da far invidia a Vin Diesel, barzellette che feriscono più della spada, il solito gioco di lingue-stereotipi-pregiudizi, carta carbone al posto di computer e stampante, inseguimenti e crimini da sventare, amore/paradiso da riconquistare al tramonto dell’epoca dei confini nazionali. Lo scontato (lieto) finale è solo la ciliegina sulla torta a cui non si può rinunciare.

Completano il cast ottimi caratteristi nazionali (mentre noi ci becchiamo i cinepanettonati Enzo Salvi e I Fichi d’India), criminali sgangherati, che non sanno fare la faccia da innocente perché fin da piccoli erano colpevoli, e la bella che (s)muove cuori e narrazione. Doppiaggio con alti e bassi. Come le frecce di un’automobile, anche la provincial-commedia di Boon non sempre funziona, ma a tratti sa davvero far ridere senza scadere in un becero massimoboldismo. Qualsiasi intento social-storico e critico esula dagli intenti narrativi e registici concentrati sul fronte della risata e dell'emozione facile . Altre storie, altre prospettive. In una parola, Monicelli.

Garantita la replicabilità del modello, come per il superiore Giù al Nord, restiamo in attesa della possibile versione italiota al confine con la Svizzera: ‘il mondo cambia e noi seguiamo’, parafrasando in libertà il film.

V Voti

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alexmn 6/10

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