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7/10

Chi Ha Paura Di Virginia Woolf? regia di Mike Nichols

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Martha, che il vizio del bere, la noia e l'insoddisfazione hanno resa isterica e inasprita, e George, un professore di storia, sono una coppia di sposi non più giovani che conducono una vita monotona in una cittadina del New England.

Una notte, di ritorno insieme ad una giovane coppia di amici da un party, Martha e George cominciano a litigare rinfacciandosi le cose più orrende, insultandosi ignominiosamente fino a giungere a parlare dell'esistenza di un figlio mai nato, cui però entrambi fingono di credere quasi per giustificare la loro inutile unione.

I loro amici, Nick e sua moglie Honey, assistono impotenti e con raccapriccio al dramma che si svolge alla loro presenza ed alla ferocia con la quale i due sposi tentano in ogni modo di ferirsi.

Dopo la scenata e partiti gli ospiti, la vita di Martha e George ripiomba nell'abituale monotonia, ma i due coniugi hanno la sensazione di essere tornati ad un migliore senso della realtà e di aver ritrovato un poco di loro stessi.

 

E' invecchiato molto male l'esordio di Mike Nichols, lungometraggio tratto dall'omonima opera teatrale di grande successo realizzata da Edward Albee nel 1962.

Vista oggi l'opera appare infatti sfrondata di ogni carattere che la rese grande e vittoriosa (5 oscar vinti) all'epoca: violenza, adulterio, volgarità e scurrilità gratuite. Tutta roba che ai tempi (1966) bastava a negargli il visto di una censura (MPAA) sempre più inutile e controproducente per i benpensanti che volevano rinchiudere il popolo americano in un mondo innocuo e fiabesco.

L'enorme successo di pubblico avuto da questo e altri film passati alla storia (come Il laureato e Gangster Movie) è invece uno degli indici più significativi del mutamento culturale avvenuto all'interno della società americana, che se nel 1966 non era ancora scesa in massa nelle radure di Woodstock era già abbastanza pronta per occupare le università, protestare contro la guerra in Vietnam e reclamare i diritti civili per gli afroamericani. Figurarsi quindi se in questo contesto di diffusa secolarizzazione e scolarizzazione ci si poteva scandalizzare per scene e dialoghi ormai all'ordine del giorno in ogni famiglia americana.

L'accoglienza da parte dell'industria cinematografica di tali istanze “moderne” (con grande sconcerto di John Ford che denunciava il fatto che Hollywood fosse ormai “governata da Wall Street e Madison Avenue, che richiedono sesso e violenza”) non rispecchia quindi nient'altro che un adeguamento sovrastrutturale di un settore produttivo(-culturale) rispetto ad una struttura sociale più avanzata e non più incline a vivere nell'oscurantismo religioso o moralistico dei propri avi.

Il grande merito di Mike Nichols, regista altrimenti non particolarmente virtuoso, sta tutto qui: nell'aver fiutato questa svolta “controculturale” ed esservisi infilato in pieno con due film (questo e Il laureato) che entreranno nell'immaginario collettivo (specie il secondo).

Tralasciando però il merito culturale e storico Chi ha paura di Virginia Woolf? soffre però notevolmente di una recitazione vecchia, ancorata ad un cinema classico che fatica a morire (pensiamo a quale distanza vi sia tra il qui presente Richard Burton e la radicale freschezza del futuro esordiente Dustin Hoffman), e di una staticità scenografica che risente nettamente della provenienza teatrale del soggetto.

Apprezzabile (ma non sufficiente) in ogni caso la ricerca di una certa plasticità dell'immagine attraverso un uso abbondante di primi piani e zoom esasperati. L'incredibile fiume di parole colpisce inizialmente per la mancanza di ogni minimo pudore, mettendo completamente a nudo tutte le contraddizioni culturali e morali della “rispettabile” classe borghese, ma sulla lunga appare spesso forzato, artificioso, costruito con dinamiche robotiche ed esagerate. Piovono gli sbadigli, che non bastano a risolvere la pur notevole prestazione di Elizabeth Taylor (pura rabbia incendiaria premiata con l'oscar), la cui ambiguità psicologica rimane l'unico vero elemento d'interesse dell'opera, aggiungendovi un elegante tocco di “giallo” un po' grottesco, un po' hitchcockiano.

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