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8/10

Qualunquemente regia di Giulio Manfredonia

Commedia
recensione di Alessandro M. Naboni

Dalla tv al grande schermo. Cetto La Qualunque ritorna dall’esilio forzato per salvare il suo paese dal rischio legalità. Con lui il Partito du Pilu cercherà di farsi strada nelle elezioni comunali. Antonio Albanese e il suo personaggio arrivano al cinema diretti dall’ottimo Giulio Manfredonia di ‘Si può fare’. Ricordatevi: ‘non stiamo inventando nulla’.

Quando anni fa proposi alla RAI il personaggio di Cetto La Qualunque mi dissero che era troppo azzardato legare così strettamente sesso e politica

Antonio Albanese a Che tempo che fa.

…anche alla luce delle attuali cronache non soltanto giudiziarie, la realtà in Italia è in grado di competere con le più ardite fantasie letterarie. Che qui da noi nulla è impossibile e tutto può accadere, perché tutto è già accaduto

L’ex magistrato Libero Mancuso nella prefazione di ‘Strage’ di Loriano Macchiavelli, versione più-o-meno-ma-non-troppo romanzata dell’eccidio della stazione di Bologna.

Contesti, persone, eventi lontani anni luce l’uno dall’altro, eppure così vicini; in Italia è sempre stato così: il paese delle anti-meraviglie dove non sembra esserci limite al peggio, dove ogni giorno si scoprono nuove pagine di quel racconto dell’orrore che serve soltanto a nascondere un Male/cancro ancora più distruttivo. Una volta c’erano i depistaggi del Sismi, oggi escort-soubrette-igeniste dentali. Questione di prospettive. Ma questa è un’altra storia.

Cetto La Qualunque lascia la tv e le ‘vacanze forzate’ in Sudamerica per tornare nella sua amata Calabria; scende della jeep-ecomostro per respirare i sapori della sua terra, uno sguardo al panorama, una boccata dalla sigaretta prima di buttarla tra l’erba secca dandogli fuoco. Si fa tutto secondo natura, non si sta inventando niente. Cetto ritorna perché il suo paese è a rischio legalità, perché c’è qualcuno senza vergogna che ancora pensa sia legale schierarsi completamente della parte della legge. La cupola l’ha scelto come paladino della ‘giustizia’, di quell’Italia che preferisce sempre la strada più facile. Una pausa (sdraiabilmente) di riflessione, un esplosivo messaggio d’avvertimento all’inerme De Santis e la campagna ha inizio: cambio di look, comizi, distese di pilu, 17 Jacuzzi, amici e parenti pronti per un posto in comune. Nell’improvvisazione politica italiana, s’inventa politico da un giorno all’altro.

Le cose però non sembrano funzionare come si vorrebbe, così il suo staff chiama in soccorso il lombardo-barese Sergio Rubini, eccentrico guru da campagna elettorale che nasconde l’anima pugliese tra zen e tai-chi: costi elevati, ma risultato garantito perché forse aveva ragione Churchill, ogni popolo ha il governo che si merita. L’epilogo dell’amara favola è scontato.

Parcheggi abusivi, applausi abusivi, villette abusive cantava Elio in un SanRemo di tanti anni fa, raccontando di un’Italia-terra dei cachi che tanto poteva sembrare parossistica allora tanto è vera oggi. Nel film, come nel nostro paese oggi, si annuncia un decesso eccellente: la moralità; battuta e schiacciata sotto il peso della modernità che avanza mentre gli italiani sinni futtono. Sarebbe limitante pensare che gli autori si stiano riferendo unicamente all’uomo che da anni imperversa tra le alte sfere della politica nostrana. Albanese e il fidato Piero Guerrera raccontano innanzitutto la storia di un paesello di confine e ai confini della legge, dove trionfa quell’arte tutta italiana di arrangiarsi. Una sorta di Far West mediterraneo in cui si sopravvive meglio se armati. Non si vuole inventare nulla, non si pretende di poter giudicare. Cetto è uno spaccato veritiero del nostro paese, un italiano medio alla ricerca della soluzione più comoda ai propri problemi. Indirette, ma chiare assonanze con la realtà: la differenza è che qui si rivendicano con orgoglio le proprie nefandezze, o quantomeno non le si nega.

Albanese, lombardo di genitori siciliani, conosce bene quello di cui parla. La sua comicità vira sempre al grottesco, al surreale, quella di Tati e Peter Sellers. Non ha semplicemente colto l’occasione del momento con satira da cabaret, ma ha costruito negli anni un personaggio, gli ha dato vissuto, ricordi, una personalità a tutto tondo. Sa caricare così tanto le situazioni da rendere ridicoli uomini che sono fondamentalmente dei perdenti, lontani anni luce dal buon gusto, dal buon senso, dalla morale, dal rispetto e dal bello della vita. Anche Fantozzi era uno splendido ritratto dell’italiano medio, su un borderline senza possibilità di riscatto. Però lui era un perdente vero, riconosciuto come tale. Cetto invece un perdente che vince. Realismo in purezza.

La sua influenza negativa ammorba tutto quanto lo circonda, annulla ogni possiblità di salvezza: il De Santis post tribuna politica, uomo pallido e rassegnato, è specchio sincero della sconfitta, dell’ignoranza che trionfa. Ma la peggio trasformazione è quella del figlio Melo; da disonore per il padre - la sua ragazza è senza minne ed è stato visto a girare in motorino con il casco – a piccolo clone. Cetto, padre invadente e ingombrante, distrugge il futuro del figlio instillandogli i suoi stessi anti-valori. Peccato la sceneggiatura non vi indugi abbastanza. Qualunquemente è un film che non dà speranza, che non sembra offrire una possibilità di riscatto. La vera morale è solo nel denunciare con onestà, senza finali consolatori. Perché questa tragicomica favola dai colori pop (un plauso all’ottimo lavoro dello stylist Roberto Chiocchi) e musicata dalla Banda Osiris è un forte atto d’accusa verso i mali di una terra e allo stesso tempo l'unica prova d’amore possibile.

Massimo D’Azeglio non se la prenda, la storpiatura tocca anche a lui: ‘Ci siam fatti l’Italia..ora ci facciamo gli italiani’. Se questo film ha un limite vero è che non ha inventato niente. È tutto maledettamente vero.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 6 voti.

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bargeld (ha votato 6 questo film) alle 16:31 del 24 febbraio 2011 ha scritto:

Sono andato al cinema pieno di belle speranze (il momento politico in cui è capitato il film è quantomeno perfetto), di cui molte sono andate deluse. Non ho quasi mai riso di gusto, conoscendo già a memoria il vasto repertorio di La Qualunque versione televisiva (e Qualunquemente poco o nulla aggiunge a quello), trama prevedibile, momenti memorabili pochini. Che poi il personaggio di Albanese sia riuscitissimo e centri tutti gli obiettivi previsti è sicuro, ma questo era già risaputo da tempo, no?

alexmn, autore, alle 17:07 del 24 febbraio 2011 ha scritto:

anche se non sembra dal mio voto , son d'accordo con te. il film non è niente di speciale, mi aspettavo sinceramente di più soprattutto da manfredonia (che ho molto apprezzato in si può fare). però, forse forzando un po', ho voluto andare a prendere quell'aspetto di denuncia che nel cetto televisivo è sicuramente più forte e qui invece si perde, o meglio si annacqua.

Peasyfloyd (ha votato 8 questo film) alle 11:44 del 25 febbraio 2011 ha scritto:

come voto critico saremmo in effetti più sul 7, perchè nonostante tutto non mancano i momenti soft ("morti") e la mancanza di originalità di fondo (a causa della presenza televisiva). Però tutto sommato ci sono dei momenti straordinari e memorabili (pensiamo a quando al ristorante il brigadiere chiede lo scontrino e si crea il silenzio collettivo), e come sempre in questi casi in cui abbiamo un'opera engagé mi sento obbligato a dare un punticino in più per premiare il valore civico dell'opera. Bravissimo Alessandro che ha fatto una disanima eccellente!

alberto (ha votato 7 questo film) alle 23:01 del 6 marzo 2011 ha scritto:

Carino

...ma mi aspettavo qualcosa in più. Divertente solo a tratti.

dalvans (ha votato 2 questo film) alle 12:23 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Pietoso

Brutto