A L'invidia, Marx e gli antagonismi. Il ritorno di Sergio Rubini alla commedia pura.

L'invidia, Marx e gli antagonismi. Il ritorno di Sergio Rubini alla commedia pura.

INTERVISTA AL REGISTA IN OCCASIONE DELL’USCITA DEL SUO NUOVO FILM “MI RIFACCIO VIVO”

«L’idea manichea di dividere i buoni e cattivi, i buoni - gli sfruttati - e i cattivi - gli sfruttatori -, sarà una semplificazione, ma in fondo ce lo immaginiamo così l’aldilà. L’aldilà nessuno se lo può immaginare al contrario, perché il contrario è l’aldiquà, in cui i buoni sono i fessi e i cattivi sono i forti. E poi non abbiamo la prova contraria che non sia così, chi sa se per davvero non ci sia Marx dall’altra parte, sarebbe anche interessante».

Quando questa mattina Sergio Rubini ha risposto alla mia domanda sulla sua concezione dell’aldilà, fantasiosamente rappresentata nel film “Mi rifaccio vivo” (2013), non ho intuito subito quanto questa concezione della vita (e della morte) potesse essere interessante. Nella pellicola il protagonista Biagio Bianchetti decide di togliersi la vita, convinto che dopo la morte non ci sia niente. E invece si ritrova catapultato in un grande hotel gestito da Karl Marx, dove una dirigenza comunista decide in quale piano destinare le anime che giungono come “ospiti”.

Ho ripensato molto a questo film e al significato che io gli ho attribuito nella mia recensione. Sebbene non possa rivalutare una pellicola che mi è apparsa banale e poco soddisfacente rispetto ai film a cui Rubini ci aveva abituati, certo posso ammettere che la riflessione che il regista ha condotto intorno a questo tema è assai interessante. Nella vita spesso capita di affrontare un momento di debolezza, in cui le persone intorno a noi ci sembrano felici e l’invidia ci porta considerare noi stessi degli esseri inferiori. E sì, il pensiero del suicidio ci sfiora, perché da un lato pensiamo che l’aldilà non esista, dall’altro speriamo che invece esista e riservi per noi una giustizia migliore rispetto a quella a cui siamo abituati sulla terra. Perché spesso, ad essere troppo onesti, si finisce per essere fessi - per citare Rubini - mentre chi se ne approfitta risulta vincitore.

E allora perché non immaginare un aldilà dove Marx e i suoi collaboratori giudichino davvero chi è degno di risiedere al secondo piano e chi invece merita di restare nel seminterrato insieme ai capitalisti e agli imprenditori (che non hanno chance di raggiungere i piani superiori, perché nella vita si sono macchiati dello sfruttamento dei lavoratori senza ritegno).

In fondo, come mi ha rivelato il protagonista del film Lillo Petrolo che ho incontrato in ascensore, a volte nella vita è più efficace affrontare le situazioni difficili usando la fantasia. E Rubini è un uomo dal grande ingegno, per questo riesce a rendere credibili dimensioni surreali.

Il regista ha sottolineato che “Mi rifaccio vivo” è un film sulla conciliazione, sulla pacificazione. «Credo che sia tempo di mettere fine agli antagonismi, perché siamo in un momento in cui bisogna arrendersi all’idea di conoscere il nostro nemico. Anche perché poi il nemico, quando viene conosciuto, non fa più paura, perché magari si scopre che ha tanti punti in comune con noi. In realtà ciò che ci spaventa è ciò che non conosciamo. Come diceva Lillo ieri, è l’ignoranza che ci spaventa. E allora forse in un mondo globale, in cui veramente con un click si è dall’altra parte del pianeta, continuare a pensare di dover mettere su roccaforti, muri di cinta, è un po’ fuori dalla contemporaneità».

Sul tema del ritorno, uno dei punti cruciali del film, Rubini ha detto: «è un tema che il cinema può affrontare benissimo, perché il cinema offre l’opportunità non necessariamente di raccontare la realtà, ma anche ciò che spinge alla realtà”, confermando quanto Lillo mi aveva anticipato.

L’incontro con Rubini è stato fondamentale per chiarire il motivo del suo cambiamento di stile nella regia. «L’autore che deve necessariamente mettere la propria autorialità sulla storia, sul racconto», dice il regista, «non mi piace. Mi sembra che l’autore debba essere al servizio della storia». Dunque Rubini ha rinunciato alle sue peculiarità registiche, per poter affrontare al meglio – secondo il suo punto di vista – l’intreccio che si è trovato a dirigere. La sceneggiatura è stata stesa dal regista stesso, che si è avvalso della collaborazione di Carla Cavalluzzi - già co-autrice di Rubini ne “L’amore ritorna” (2003), “La terra” (2004), “Colpo d’occhio” (2008) e “L’uomo nero” (2009) - e di Umberto Marino – fedele collaboratore di Rubini sin dai tempi di “La stazione” (1990).

A proposito del finale di “Mi rifaccio vivo”, che può essere criticato per banalità, il regista spiega: «Il film ha un lieto fine e io lo dico con una certa fierezza, perché, quando ero ragazzino, il lieto fine mi sembrava una cosa un po’ superficiale. Quando ero ragazzino mi piacevano di più i finali un po’ sospesi. Oggi, invece, un po’ perché sono diventato più vecchio, un po’ perché c’è questa crisi, secondo me un lieto fine è un atto di coraggio, perché equivale all’indicazione di una strada. Fare un finale in cui si lascia tutto quanto incerto, dicendo “pensate quello che volete”, forse è una roba un po’ vigliacca nel momento in cui bisogna uscire da un tunnel».

E nell’attesa di uscire da questo tunnel, non ci resta che attendere una nuova pellicola di Rubini (si vocifera che il protagonista sarà ancora Lillo Petrolo), sperando che l’autore riesca a conciliare le sue interessanti riflessioni con la concreta realizzazione del film.

 

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