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6/10

Mi rifaccio vivo regia di Sergio Rubini

Commedia
recensione di Giulia Bramati

Sin dall’infanzia, Biagio Bianchetti compete con l’eterno rivale Ottone Di Valerio, senza mai risultare vincente. Trovatosi di fronte all’ennesimo fallimento, decide di suicidarsi, convinto che non ci sia niente dopo la morte. Egli si ritrova invece in un aldilà organizzato da Karl Marx, il quale gli concede un bonus di 168 ore da trascorrere sulla terra nei panni di Dennis Rufino, manager collaboratore di Di Valerio.

Le persone non sono sempre come sembrano e la vita non è poi così male”.

Si riassume in queste poche parole il significato di “Mi rifaccio vivo”, undicesimo film diretto da Sergio Rubini. Siamo lontani dalla dimensione onirica della tradizione pugliese a cui il regista ci aveva abituati nelle sue pellicole precedenti. Sebbene la pellicola ruoti intorno al tema del fantastico, il risultato che ne scaturisce è piuttosto banale.

Nonostante le prime inquadrature, in cui viene usato una sorta di jump cut e in cui è evidente una certa attenzione al dettaglio (dalla messa a fuoco delle innumerevoli sigarette fumate dal protagonista, primo sintomo di crisi e di insicurezza del personaggio, allo spostamento della macchina da presa sulla cravatta che viene abbandonata sul pavimento prima del suicido), facciano sperare in scelte sperimentali interessanti, non se ne trova conferma nel corso della pellicola. La regia di Rubini è piatta e impercettibile; il regista sembra aver abbandonato il suo stile, fortemente intriso di onirismo e magia, per intraprendere una strada più commerciale e probabilmente più apprezzata dal pubblico, ma certamente meno soddisfacente da un punto di vista artistico.

Il film racconta la vicenda di Biagio Bianchetti, imprenditore fallito che dopo essersi suicidato ottiene la possibilità di tornare sulla terra per una settimana, reincarnandosi in una persona a sua scelta. Il suo intento iniziale è quello di rovinare la vita del suo acerrimo nemico Ottone Di Valente, ma nel corso della settimana egli impara a convivere e a sodalizzare con lui, scoprendo le debolezze e le sconfitte di cui anche il suo antagonista è vittima. Biagio rivaluta così anche la sua stessa vita, ritrovando aspetti positivi che aveva trascurato.

Si ravvede in questa storia un riferimento a “La vita è meravigliosa” (1946) di Frank Capra, dove il protagonista, sull’orlo del suicidio, viene salvato da un angelo che lo aiuta a ritrovare il senso della sua esistenza. Il soggetto è dunque poco originale, viste le numerose rielaborazioni che la storia del cinema (e anche della televisione) ci ha offerto nel corso degli ultimi cinquant'anni.

Ma il citazionismo di Rubini non si esaurisce qui. Il tema del trasporto nell’aldilà è un tema caro alla letteratura sin dall’antichità, ed è stato rappresentato al cinema innumerevoli volte. Il regista sceglie di investire Enzo Iacchetti del ruolo di un odierno Caronte, il quale accompagna le anime degli uomini deceduti con suo taxi in un hotel. Giunto in questo curioso aldilà, Biagio scopre che esso è gestito da “una specie di direzione comunista”, diretta da Karl Marx. Ed è proprio il filosofo, insieme ad un ristretto gruppo di collaboratori – uno dei quali è interpretato da Rubini stesso – a decidere quali anime siano degne di risiedere al secondo piano dell’hotel e quali invece debbano trascorrere l’eternità nel seminterrato insieme a imprenditori e capitalisti, che nella vita hanno peccato di hybris sfruttando i lavoratori.

La banalità della vicenda viene in parte salvata dalla simpatia del cast, che esasperando la recitazione in maniera quasi caricaturale riesce a rendere divertenti gag altrimenti scontate. Spicca sugli altri Neri Marcorè nel ruolo di Ottone Di Valente, che si ritrova per la prima volta ad essere diretto da Rubini. Accanto a lui, Emilio Solfrizzi, che invece aveva già collaborato con il regista in “La terra” (2006): l’attore pugliese interpreta il ruolo più difficile, quello di Dennis Rufino, l’uomo in cui si reincarna Biagio Bianchetti (interpretato da Lillo Petrolo).

Non mancano nel film vicende sentimentali, che coinvolgono tutti e tre i protagonisti maschili. A Margherita Buy è assegnato il ruolo dell’insicura Virginia, moglie di Ottone Di Valente, che deve fare i conti con l’amante del marito, la psicanalista Amanda, interpretata da Valentina Cervi, che torna al cinema dopo tre anni di distacco dai set cinematografici. Entrambe le attrici avevano già lavorato con Rubini. È una nuova collaborazione, invece, quella tra il regista e Vanessa Incontrada, a cui è stato affidato il ruolo di Sandra, moglie di Biagio, l’unico personaggio pacato all’interno del film.

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