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9/10

Per un Pugno di Dollari regia di Sergio Leone

Western
recensione di Dmitrij Palagi

Un cavaliere senza nome arriva a San Miguel, ritrovandosi nel mezzo tra il confine messicano e quello statunitense, in un paese diviso da due famiglie in guerra tra loro. Da un lato i Rojo e dall'altro i Baxter. Il commercio di alcol ed armi permette ad entrambi di poter assoldare pistoleri di qua e di là dal confine. Il nuovo arrivato decide di offrire la propria pistola ai Rojo, guidati dal temuto Ramón. Nel frattempo due diligenze militari vengono sterminate al confine e l'equilibrio tra le due famiglie di San Miguel pare consolidarsi in una tregua. Se non fosse che il pistolero senza nome non crede nella pace. "Si può amare ciò che non si conosce e in cui non si crede". Primo capitolo della "trilogia del dollaro"

 

Non il paese […] i padroni sono ricchi”

Devo ancora trovare un posto dove non ci sia un padrone”

Già, ma quando i padroni sono due, allora vuol dire che ce ne è uno di troppo”

Un atto di amore per il cinema che si afferma in modo inaspettato, regolando buona parte delle produzioni italiane fino al 1970 (con una seconda fase tesa al ridicolo, che arriva al 1975). Un film che si impone all'attenzione di parte considerevole del cinema mondiale, strappando agli USA, temporaneamente, un genere che era stato definito “americano per eccellenza” (Jean Louis Rieupeyrout e André Bazin). Le regole vengono riscritte, più o meno consapevolmente, capitalizzando film d'imitazione che da molto tempo venivano girati nel continente europeo. Una parte considerevole del pianeta non sarà più la stessa. Un punto di inizio che rivoluziona una colonna portante del cinema occidentale.

Un atto di amore che declina varie tradizioni epiche in una ridefinizione atemporale del mito. I classici greci e latini, l'epopea del West, l'eroicità giapponese, il quotidiano di Goldoni e la drammaturgia di Shakespeare. Una recensione non può essere un saggio e, salvo altri sporadici riferimenti, le citazioni si devono fermare all'elencazione - oltretutto parziale.

Il western attraversa l'Oceano Atlantico. Le regole imitate nel Vecchio Continente vengono riscritte nella Penisola italiana, strappando lo scettro al lavoro che fino ad allora era stato prodotto in Germania.

Si può discutere a lungo sull'atto di nascita di questo caposaldo che vanta, tra sceneggiatura, produzione e scelta degli attori, numerosi padri autoproclamati o incoronati. La leggenda che circonda questa produzione confonde ogni possibile ricostruzione chiara e sicura della genesi del film (almeno ad oggi). Diversi fra i protagonisti che segneranno lo spaghetti-western hanno rivendicato un loro ruolo nella nascita di Per un pugno di dollari. Si aggiungono infiniti aneddoti e contrastanti dichiarazioni. Spesso si perde di vista il film, cedendo alla densa nebbia che lo ha accerchiato. Si finisce per perdere la passione.

Invece il punto forte è la reazione immediata che riesce a suscitare il primo western di Sergio Leone, film nato senza alcuna aspettativa, con scarse risorse economiche e una non particolare opera pubblicitaria. Un colpo di fulmine che difficilmente risparmia, se non altezzosi critici e chi rigetta il cinema di genere. Metaforicamente sarebbe più giusto parlare di attrazione carnale, viscerale tensione. Un rapporto simile a quello che crea il “burattinaio con i suoi burattini” (Leone), incentrato su ciò che desidera il regista, su quanto vuole trasmettere.

Un capolavoro che nasce come gioco, costruito nella polvere, anziché a tavolino o nei meandri psicologici. Molti utilizzano bagagli di conoscenze ricercate per dimostrare la mancanza di elementi totalmente innovativi, tralasciando la rara efficacia con cui il film è riuscito a creare (e conservare) la sua figura omerica. C'è una spontaneità in questa operazione che la rende così apprezzata. Perché non dovrei mostrare, in duello, quello che spara in contemporanea al duellante che muore? Secondo Eastwood il regista ignorava persino l'esistenza di un simile precetto.

L'esperienza di Leone con i peplum influisce sicuramente su questo lavoro, tenendo conto che considerava gli eroi dell'epica antica greca come pistoleri dell'antichità. Sullo schermo nasce una sfera autosufficiente, a livello estetico e narrativo. Un sogno completo in tutti i suoi particolari che si materializza, con una combinazione fortunata e che potrebbe indurre a credere nel Fato.

Il film, in linea coi tempi, doveva vestire panni statunitensi. Così persino il regista diventa Bob Robertson, omaggio al padre Roberto Roberti. Lasciando da parte, per un attimo, il buon Bob restano elementi spesso sottovalutati, che invece sono fondamentali per il risultato finale. Alla riuscita di questo evento cinematografico si affermano su tutti alcuni personaggi. Per primo Clint Eastwood, all'epoca alle prese con una serie televisiva che non appagava completamente le esigenze artistiche dell'attore già sopra i trent'anni. Nonostante le varie storie che si susseguono su chi avrebbe dovuto ricoprire il suo ruolo, conta solo il risultato: un attore che rivelerà le sue enormi capacità, anche grazie alla libertà concessa da Leone ai suoi attori. Il volto che parla nel silenzio, la capacità di rendere naturali battute antologiche e la comunicazione efficace del suo corpo. Altro ruolo fondamentale è quello rivestito dalla musica di Morricone.

Pare che ultimamente il Maestro abbia dichiarato di non comprendere il successo di queste sue composizioni, ritenendole fra le peggiori che abbia mai creato. Spiace dissentire. La musica irrompe sullo schermo con toni latini, echi di musica sacra e sperimentazione contemporanea, imponendosi come caratteristica imprescindibile. Altro nome evidente è quello di Gian Maria Volonté, caratterista di formazione teatrale che regala un cattivo shakespeariano (pare avesse accettato, il ruolo per pagarsi dei debiti). Per restare in spazi consoni a una recensione tocca evitare di nominare tutti gli altri che hanno contribuito in modo considerevole. Mi accontento di aggiungere i nomi di Carlo Simi, che resterà al fianco di Leone per le scenografie, Massimo Dallamano, direttore della fotografia, Roberto Cinquini, con un grande lavoro di montaggio e Franco Giraldi, aiuto regista. Sono nomi che si possono facilmente ritrovare in altri lavori.

Tornando a Leone occorre comprendere anche l'impostazione narrativa, machiavellica e con una logica lineare. C'è chi ambisce al potere, cedendo ai sentimenti della vendetta e cade alla mercé di un cavaliere senza nome, capace di sfruttare l'astuzia di Ulisse ad uso e consumo dei propri calcoli, senza la necessità di diventare re (padrone). Il senso della giustizia è tutt'altro che metafisico. La morale si abbassa a livello umano, senza negarsi. La disillusione non cede alla rassegnazione.

Silenzi, frammentazione, primi piani, attenzione ai particolari, montaggio frenetico. Guardi il film e hai l'impressione che persino i granelli di polvere siano stati disposti secondo un disegno prestabilito.

Nessuno dei protagonisti pare voler riconoscere al film il suo ruolo mitologico e storico. Così Volonté (che anzi pare si vergognasse di ciò che stava facendo), così Eastwood (che pare avere più affetto per Don Siegel), così Morricone. Così la critica, come non mai distante dalla gente. Basterebbe un minimo di onestà intellettuale per riconoscere quanto meno la nobiltà di un film di genere, anziché attaccarsi alla categoria di successo commerciale.

Qui si riesce a squarciare l'immaginazione, affermando modelli nuovi. Uno di quei punti di frattura che la storia insegna essere un punto di arrivo, non un improvviso fulmine a ciel sereno. Vero quindi che non tutto il merito è di Leone, Eastwood e Morricone. Vero che non è il primo western europeo, e neppure il primo western italiano. Vero anche che da qui ci si stacca da una scia stanca, scovando nuove fonti. La Rivoluzione Francese è il frutto di una lunga affermazione della borghesia. Però la storia non sarebbe la stessa senza un evento simile. Siamo umani, abbiamo bisogno di un momento catartico per il cambiamento. Per un pugno di dollari ci riesce, senza volerlo, senza cercarlo. Come già accennato sembra quasi una scelta del Fato che amalgama e rende perfetta la commistione di elementi apparentemente sparuti.

Non si vive di solo Eisenstein.

Al cuore Ramon, se vuoi uccidere un uomo devi colpirlo al cuore.

[Ci sono questioni importanti, legate al plagio, alla produzione e al modo in cui il film conquisterà sempre maggior pubblico. Per questi e altri punti l'impegno è rimandare a specifici articoli, laddove ci sarà la possibilità]

 

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Voto degli utenti: 9,7/10 in media su 9 voti.

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Peasyfloyd (ha votato 10 questo film) alle 0:14 del 6 novembre 2009 ha scritto:

mito

film capolavoro di una trilogia capolavoro di un regista capolavoro. Nient'altro da aggiungere alle parole del recensore, che ha fatto una disanima ai limiti dell'enciclopedico e perfetto. E non vedo l'ora di leggerli questi articoli di approfondimento sugli spaghetti-western, altrochè!

fabfabfab (ha votato 10 questo film) alle 14:36 del 12 novembre 2009 ha scritto:

Anch'io anch'io!

Leone + Morricone + Eastwood = capolavoro

Cristina_Coccia (ha votato 9 questo film) alle 10:15 del 12 giugno 2011 ha scritto:

Complimenti!

Bravissimo, Dmitrij! Bellissima recensione di un grande capolavoro di Leone! Un'analisi davvero approfondita! E mi piace molto anche che tu dica che il successo di questo film sia forse una scelta del Fato... Piace anche a me pensarlo.

dalvans (ha votato 10 questo film) alle 0:31 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Epocale

Il primo capolavoro di Leone