Sette anime regia di Gabriele Muccino
DrammaticoBen Thomas, ossessionato dalla morte, dovrà trovare sette anime pure e bisognose per riuscire finalmente a superare il dramma che ha sconvolto la sua vita.
Che il “tiro al Muccino” sia una delle discipline predilette da gran parte della critica cinematografica, soprattutto internettiana, è cosa risaputa. Cosa meno risaputa è che ci sia qualcuno, come ad esempio il sottoscritto, che non si è mai divertito a sputare sterco preferendo piuttosto apprezzare, sebbene con diverse riserve, uno dei pochi stili esportabili che ci è stata data fortuna di avere.
Certo, il fratello Silvio è inguardabile ed inascoltabile e la sua deriva da artista a tutto tondo fa salire un bel brivido su per la schiena, ma di certo non possiamo mettere il peso del mondo intero sulle spalle del ben più talentuoso Gabriele. Almeno fino ad ora. Sette Anime infatti continua sulla scia del precedente La Ricerca Della Felicità (un film efficacemente riassumibile nella parola “fastidio”) cercando di distruggere e snaturare quanto costruito in terra nostra, puntando su un patetismo che più spudorato non si può.
Come nel precedente parto di questa joint venture con l’ex Fresh Prince, gran parte della visione si basa su occhioni lucidi, quando non lacrimoni, quando non proprio faccioni, ritratti in impietosi primi piani che scrutano la smorfia o l’occhio scavato per trarne tutto il dramma possibile. Che fine abbia fatto la ronde continua di film pur imperfetti ma nel loro piccolo ambiziosi come L’Ultimo Bacio o del vorticoso inizio di Ricordati Di Me è un mistero; pare si preferisca sfruttare le innegabili doti di Will Smith per una riproposizione dell’insopportabile patema d’animo gratuito di Inarritu. Che delitto.
La narrazione volutamente caotica, per cui all’inizio non si capisce davvero niente ma poi si capisce davvero tutto, è infatti ad un passo dal fatto che “non c’è davvero niente da capire se non che la vita fa schifo”, che era poi il messaggio di fondo di quell’abbaglione chiamato Babel. Un rischio ed un peccato per chi aveva riposto diverse speranze in questa trasferta americana del Nostro. Certo non siamo ancora arrivati a quei fastidiosi estremi di vuoto cosmico: così, fra un magone e l’altro, possiamo facilmente affrontare il tema dell’espiazione, della remissione dei peccati fino al martirio della carne, per cui torna alla mente il celebre “questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”, come mezzo che porta al miracolo (fra Lazzaro e il cieco nato).
Il fatto è che per quanto tutto questo possa risultare interessante, Sette Anime sembra voler continuamente mettere in secondo piano i propri temi principali ricordando piuttosto che la cosa importante è piangere. Piangere a fiumi. Piangere senza ritegno. Fra silenzi imbarazzanti, parole non dette, timidi ed infiniti approcci sentimentali fra l’ossessionato protagonista ed una scavatissima Rosario Dawson perennemente sull’orlo di un infarto (ma non abbastanza da negarsi un rapporto sessuale, sia chiaro) che traghettano il film verso due ore di drammone puro.
Uno dei pochi talenti esportabili, avevo detto. Vero. Eppure se con tutto questo pòpò di materiale, devo ritrovarmi fra le mani un incontro finale brutto sia esteticamente che moralmente come quello di Sette Anime, allora forse sarebbe stato meglio rimanere a casa.
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