A Il cinema iraniano a Venezia 71 - Incontro con Nima Javidi e Payman Moaadi per il film “Melbourne”

Il cinema iraniano a Venezia 71 - Incontro con Nima Javidi e Payman Moaadi per il film “Melbourne”

Nel periodo d'oro del cinema iraniano, si fa timidamente spazio l'intensa opera prima di Nima Javidi, presentata in apertura della Settimana della Critica della 71a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. “Melbourne” è la storia di una giovane coppia di Teheran in procinto di emigrare in Australia, che, a poche ore dalla partenza, si ritrova improvvisamente coinvolta in un drammatico incidente. Per l'occasione, abbiamo incontrato il regista, accompagnato dal protagonista Peyman Moaadi (“Una separazione).

La sceneggiatura di Melbourne è molto teatrale - ricorda a tratti la drammaturgia della tragedia greca, ricorrendo a momenti di crescente tensione e temi come il senso di colpa e la responsabilità del dramma: come è riuscito a mantenere così alta la tensione e l'attenzione del pubblico usando il mezzo filmico?

La scrittura di un sceneggiatura - che sia teatrale o per cinema - comporta dei punti fondamentali tecnici: bisogna prendere dei pezzi e combinarli insieme come se si fosse un ingegnere, usando queste tecniche si riesce più o meno a ottenere l'effetto desiderato.

Per questo film, che era ambientato in una stanza per 90 minuti, potevo stancare lo spettatore, quindi ho utilizzato la tecnica della sceneggiatura teatrale francese, che è basata sul fatto che il rapporto fra i personaggi presenti nella scena cambia tra di loro facendo entrare e uscire una terza persona. Entrando e uscendo un terza persona nella scena, l'attenzione si sposta da uno all'altro e questo crea varietà. È quello che è stato fatto anche in “12 uomini arrabbiati”: ho usato questa tecnica, è una sceneggiatura ambientata tutta in interni che devi poter variare con niente, facendo soltanto entrare e uscire i personaggi.

Si parla molto di finale aperto, la partenza per Melbourne era solo un pretesto?

Per me non ha un finale aperto, perché il finale del film non è quando loro partono per Melbourne, il finale del film è quando decidono di lasciare il bambino alla vecchia. Per me quello è il punto finale del film.

Tutte le domande che la coppia si fa hanno una risposta nel finale. A noi dà l'impressione che il finale sia aperto perché le nostre domande rimangono aperte, perché siamo noi che continuiamo a chiederci cosa faranno i protagonisti e anche che cosa avremmo fatto noi al loro posto. Nella struttura noi abbiamo dato risposta a tutte le domande che abbiamo creato, ma quello che resta aperto è: io spettatore cosa avrei fatto?

Questo può essere il punto di forza del film: quando finisce tutto, noi pensiamo a cosa succederà a loro e che ne sarà di noi.

 

Quindi è questo lo scopo del pianosequenza finale del film?

Sì, lo scopo era proprio questo.

Per quanto riguarda il tema dei rapporti all’interno del film, abbiamo un rapporto di coppia, ma anche una serie di altre relazioni, come il rapporto tra madre e figlio e il rapporto tra fratello e sorella. Come ha inserito questi elementi nella sceneggiatura?

I personaggi collaterali aiutano a mandare avanti la storia, ma fungono anche da riflettori che puntano luce sui protagonisti. Grazie all’ausilio della sorella, della madre, dell’amica, noi riusciamo a conoscere diversi lati dei personaggi principali. Continuano a portare avanti la storia, ma sono anche uno strumento per focalizzare i caratteri dei protagonisti, dando varietà alla sceneggiatura.

Un ultima considerazione: per un film girato principalmente in una sola location, per di più in un ambente piccolo e stretto, la recitazione diviene fondamentale. Quanta libertà è stata lasciata agli attori?

Riuscite a vedere voi stessi che nella sceneggiatura di un film del genere non c’era spazio per fare grandi modifiche. Tutti i piccoli particolari erano fondamentali. Bastava spostare un singolo tassello per far spostare tutto il puzzle. Naturalmente c’erano delle piccole modifiche che si potevano apportare nelle fasi del lavoro: se c’era un dialogo o qualcosa che non veniva bene ad un attore, c’era la possibilità di dire la stessa cosa in un modo diverso.

Ringraziamo il regista Nima Javidi e incontriamo Peyman Moaadi. L’attore iraniano mostra la sua recente americanizzazione – lo vedremo presto in una nuova serie HBO – indossando un cappellino da baseball e sfoggiando un’ottima dizione inglese.

Innanzitutto, sorge spontanea una domanda. Perché ha deciso di recitare in un altro film incentrato su una coppia dopo “Una separazione”?

I due film non sono simili. Mi sono emozionato leggendo la sceneggiatura di “Melbourne” e ho deciso di condividerla con il pubblico. La procedura che mi ha condotto a questa decisione è stata molto interessante per me: il personaggio era molto contorto, e la coincidenza di tempo della narrazione e tempo reale in una sola location era molto stimolante. Perciò mi è piaciuto molto tutto questo. Ed è completamente diverso da “Una separazione” per me, ma per chi vede i film iraniani da fuori, con gli stessi attori, ambientato nella middle class, sembra simile. E per certi aspetti è vero: c’è una coppia, si parla di immigrazione. Ma queste sono le questioni importanti che riguardano la società moderna e la middle class in Iran, quindi spesso se ne parla nei film. Ma il concetto qui era altro: prendersi la responsabilità di una decisione. Quando alcune persone normali vengono coinvolte in una situazione, possono agire in modo strano.

In un film ambientato in una sola location, la recitazione è molto importante. Come ha gestito questa responsabilità?

Questa è una delle ragioni per cui ho detto che è un ruolo stimolante e impegnativo. Per alcune di queste scene di passaggio da una stanza all’altra ci abbiamo messo una settimana di riprese, ed è come se tu dovessi mantenere queste emozioni e il modo di recitare bilanciato per una settimana, per 17 ore al giorno, per una settimana devi provare gli stessi sentimenti e recitare nello stesso modo, devi fare attenzione alla continuity, e questo è stato molto complicato in un film in tempo reale, e per le scene più emozionanti è molto entusiasmante ma anche molto difficile, perciò devi essere molto preparato e molto concentrato su quello che stai per fare. Devi tenere a mente ogni dettaglio. Devi disconnettere la mente da tutte le altre cose che accadono nella tua vita. In quelle settimane sono stato completamente assorto in quello che stavo girando.

È la prima volta che lavora con Negar Javaherian, che nel film interpreta Sara, la moglie di Amir? Come è avvenuto il casting?

È la pima volta che lavoro con lei. Io sono stato selezionato per primo per il ruolo di Amir, a quel punto sono stato coinvolto nella scelta della mia partner. Sono stato molto contento di lavorare con lei, perché è un’attrice molto brava. La scelta del partner era molto importante, così come lo è stata in “Una separazione”. Sono molto felice quando lavoro con il giusto partner, come nel mio ultimo film con Kristen Stewart [“Camp X-Ray” di Peter Sattler nda], lei è stata davvero una perfetta partner. Ci sono ruoli in cui si è completamente dipendenti dal proprio partner, e lei è stata molto brava secondo me.

Cosa ci dice invece riguardo al regista?

Non stavo pensando di lavorare in un’opera prima, perché stavo ricevendo offerte da alcuni buoni registi che mi piacciono, ma quando ho letto la sceneggiatura ho pensato che questo fosse qualcosa di nuovo che mi sarebbe piaciuto fare. Da attore, la prima cosa che devo fare è apprezzare la sceneggiatura. Ho iniziato la mia carriera come sceneggiatore, perciò è molto importante per me essere impressionato dalla sceneggiatura.

Come ha deciso di diventare attore?

Ero appassionato di filmmaking, facevo lo sceneggiatore e giravo cortometraggi. Poi ho incontrato Asghar Farhadi [il regista premio Oscar per “Una separazione” nda], che mi ha offerto un ruolo per il film “About Elly” e dopodiché mi ha chiesto di interpretare il protagonista in “Una separazione”, ma non ho mai abbandonato la scrittura e il filmmaking. Ho girato il mio primo lungometraggio due anni fa, che ha avuto molto successo sia in Iran che nel mondo, e sto per girare il mio secondo film. Sto scrivendo la sceneggiatura, tra una settimana andrò a New York, dove starò per un paio di mesi per girare “Criminal Justice”, una serie per la HBO con John Turturro, quando tornerò in Iran girerò il mio nuovo film.

 

Torniamo al regista Nima Javidi.

Quando ho letto la sceneggiatura, volevo incontrare questa persona. Così l’ho incontrato e ho notato che era un uomo pronto a cogliere suggerimenti e consigli, così abbiamo condiviso molte opinioni e abbiamo parlato molto. Così siamo arrivati alla sceneggiatura definitiva: è molto importante per un attore credere alla storia, e questo ruolo era molto delicato, se commetti anche il minimo errore la storia si sfascia.

Intervista e traduzione di Giulia Bramati

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