V Video

R Recensione

6/10

Almanya regia di YASEMIN SAMDERELI

Commedia
recensione di Alessandro M. Naboni

Negli anni ’60 Huseyn Yilmaz partì dall’Anatolia alla volta della Germania che apriva le braccia ai lavoratori non tedeschi per sostenere il forte boom economico. Oggi la sua famiglia è alla terza generazione, ma il rapporto con la nuova patria continua a oscillare tra integrazione e forte senso d’appartenenza alle proprie origini turche. L’ottenimento del passaporto tedesco è l’occasione per un ritorno alla madrepatria: on the road per ricostruire legami familiari e con il passato, tra buon sentimenti e l’ironia degli etno-stereotipi. Campione d’incassi in patria con oltre due milioni di spettatori.

Una famiglia più-turca-che-tedesca, borderline non per scelta quanto per quell’ambiguità cultural-esistenziale di generazioni a cavallo tra un paese e l’altro. Negli anni ’60 il giovane padre-marito-con-baffi Huseyin partì dall’Anatolia per raggiungere la terra dove si guadagnava così tanto da potersi permettere l’acquisto di un taxi. Era la Germania del boom economico, post-ricostruzione dopo la II guerra mondiale, in costante ricerca di forza lavoro per sostenere la crescita. Il governo tedesco arrivò a stipulare accordi internazionali per agevolare l’immigrazione controllata (test su salute e istruzione): più di quattro milioni di persone tra italiani, spagnoli, greci e turchi divennero parte imprescindibile di quel motore quasi-perfetto che ha portato la Germania a essere considerata tra le nazioni più potenti. Abbiamo chiamato lavoratori e sono arrivate delle persone (Max Frisch, scrittore e architetto svizzero). Equilibrate politiche social-economiche e sull’immigrazione, un miraggio per il belpaese. Ma queste sono altre storie.

Cinquanta ore di viaggio e la coda alla frontiera del nuovomondo: 1.000.000 + 1esimo lavoratore immigrato in Germania arrivato per una questione di cortesia/precedenza a un soffio da una temporanea e non-compresa celebrità mediatica. Difficoltà linguistiche, duro lavoro e un ottimo stipendio da mandare a casa. Poi il viaggio in Turchia per portarsi dietro nella nuova patria moglie e figli grazie alle politiche di ricongiungimento familiare: un saluto alla terramadre, coca-cola promessa, l’incubo di un Cristo che scende dalla croce e acqua alla partenza come buon auspicio per il ritorno da un paese dove la gente è sporca e mangia solo patate.

Quarantacinque anni dopo, la famiglia Yilmaz è ormai alla terza generazione, figli dei figli sempre in bilico tra due culture, integrazione più-o-meno riuscita e identità da (ri)trovare. È la solita etno-famiglia-allargata-con-problemi: un bambino che non ha il proprio posto geografico sulla cartina scolastica, un matrimonio in crisi, uno già naufragato per evidente ipocondria alla vita occidentale, l’inglese con sperma-combina-guai, hitler-incubi allo specchio e vestiti a fiori per ritirare il passaporto tedesco, simbolo di un’integrazione (non) voluta da chi all’inizio (non) la respingeva. La soluzione è il solito on the road, 2.500 chilometri verso la Turchia per ricostruire una famiglia dis-integrata: un pulmino che troppo ricorda quello di Little Miss Sunshine, imprevisti, donne dei bidoni, gravidanze pre-matriomiali confessate, pranzi tipici, spirito fraterno da riscoprire, dal barbiere a ripassare il discorso per Angela Merkel e la cultura/lingua delle origini. Distanze e incomprensioni si annullano nella casa-senza-pareti che si apre sul magnifico scorcio d’una terra stupenda più di ogni immagine idealizzata, metafora fin troppo spiegata di un’avvenuta riconciliazione. Il finale a rischio diabete è soltanto un’ulteriore deriva emotiva di una commedia che si perde proprio nel cercare di compiacere lo sguardo, nel voler far ridere dove si deve ridere e commuovere dove ci si deve commuovere.

La giovane regista Yasamin Samdereli, che ha scritto il film a quattro mani con la sorella Nesrin, dimostra di conoscere bene la materia di cui parla, perché l’ha vissuta, e il cinema-commedia d’integrazione. Pecca però quando vuole guidare lo spettatore verso la meta che ha impostato sul proprio navigatore narrativo: stile spesso ruffiano (come il letto circondato da bottiglie di Coca Cola che fa molto Amelie-Jeunet), sceneggiatura prevedibile, etno-music e un cast fatto di quelle stupende facce immigrate che ti aspetteresti in un film di questo genere (su tutte quella del giovane Huseyin interpretato da Fahri Yardim). Non è un pessimo film, anzi. Il suo limite è quello di rimanere fermo al livello di buona commedia-e-niente-più, mentre le premesse per fare dell’ottimo cinema c’erano tutte. Senza andare a recuperare film come East is east (di Damien O'Donnell – 1999) che ha dato il la a tutto il filone dell’ironia etnica, né scomodare vaghi echi-a-la-Kusturica, sulla pellicola della Samdreli incombe la presenza del conterraneo e talentuos(issim)o Fatih Akin, uno che ha esplorato con vari stili ma sempre una gran efficacia i confini dell’integrazione turco-tedesca (La sposa turca e Soul Kitchen sono opere che non possono mancare nella cinesperienza di nessuno). Il suo cinema ha grande forza proprio per la coerenza, profondità e sincerità di un’analisi tanto particolare da essere facilmente universalizzabile. Invece in Almanya la sensazione è che si pensi di più a far ridere sfruttando semplicemente gli stereotipi del rapporto Turchia-Germania, invece che far ridere-e-riflettere giocando su quel contrasto, lavorandoci a livello di scrittura/regia. La differenza è sottile, ma importante.

Prima di iscriversi a un poligono di tiro, mangiare carne di maiale e andare in vacanza a Maiorca ogni due estati, c’è comunque spazio per una riflessione, per un (impietoso) confronto questa Italietta che fatica a trovare la propria strada tra immigrazione e integrazione.

 

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
alexmn 6/10

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

alberto (ha votato 7 questo film) alle 12:36 del 14 gennaio 2012 ha scritto:

Piacevole e,a tratti, anche divertente. Bello il finale.