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7/10

I Figli Delle Stelle regia di Lucio Pellegrini

Commedia Italiana
recensione di Alessandro Pascale

Un precario "cronico", un portuale di Marghera, un ricercatore universitario un po' stagionato, un'insicura giornalista televisiva ed un uomo appena uscito di galera, delusi dalla loro vita, decidono di passare all'azione e rapire un ministro. La convivenza tra gli improbabili rapitori e l'incredibile politico condurrà ad un'esilarante e surreale fuga tra le montagne della Valle d'Aosta.

C'è un momento ne I figli delle stelle in cui si raggiunge una situazione tanto grottesca e paradossale quanto pericolosamente vicina alla rappresentazione del degrado rappresentato dal Paese Italia oggi: il gruppo di rapitori del sottosegretario Stella (impersonato da un buon Giorgio Tirabassi) viene scoperto da tutti i residenti del condominio, posto da qualche parte in una località sperduta delle Alpi. In quell'attimo di tensione si scopre che alla ventina di persone presenti non importa nulla che sia stato catturato e imprigionato un membro della classe politica, perchè “i politici stanno sulle palle a tutti”, perfino a quelli che non appartengono certo alla fascia proletaria o ad ideologie proto-rivoluzionarie. E' un momento che sconcerta perchè nella sua estremizzazione spettacolare e amorale sancisce esemplarmente più di qualsiasi cosa la distanza che nel nostro Paese si è creata tra politica e cittadini comuni.

In un altro film (decisamente più drammatico e serio) quale La banda Baader Meinhof emergeva che negli anni '70 almeno un quarto della popolazione tedesca vedesse con simpatia quel gruppo di guerriglieri rivoluzionari (altresì denominati secondo il luogo comune “terroristi”) che rapinavano banche e cercavano di ribellarsi con le armi al bieco sistema capitalista. Perfino in Buongiorno notte (l'opera con cui Bellocchio ricostruiva il sequestro Moro) emergeva una parte di società che rifiutava di schierarsi con lo Stato, non strappandosi quindi i capelli per le azioni delle Brigate Rosse. È noto che in quegli anni anche in Italia ci fosse un ampio settore (compresa parte degli intellettuali, come il Sciascia di “nè con le BR né con lo Stato”) che se non si riconosceva nell'azione dei brigatisti, rifiutandone la scia di sangue che si portava dietro, al contempo ne capiva ampiamente le ragioni, e rifiutava di condannarle espressamente.

Da qui però a spingersi addirittura ad ipotizzare, come nella presente opera, la totale collaborazione connivente di una piccola comunità montana, beh, ce ne vuole, e suona quasi strano che nessun politico abbia lanciato strali contro l'opera di Lucio Pellegrini (co-autore anche della sceneggiatura). A salvare capra e cavoli è in realtà senz'altro la scelta di un registro da commedia all'italiana, secondo un filone che parte dall'asse Risi-Monicelli e si può ricondurre fino all'ultimo Antonio Albanese. Inevitabile ad esempio confrontare l'incapacità pratica e teorica dei rapitori con i ladri de I soliti ignoti, oppure con i poveracci de La lingua del santo.

Il sottofondo sociale e politico è noto: quello dell'Italia in cui viviamo, in cui cioè avvengono ogni giorno quelle morti bianche di cui si preferisce non parlare, oppure quando si è obbligati, come nella puntata di un simil-Annozero interna al film, se ne parla come una colpa degli operai stessi.

Chi si ribella lo fa senza una preparazione ideologica o per motivi politici, quanto piuttosto per racimolare i soldi necessari a migliorare un pochino sta schifezza di società. A questa assenza di coscienza, che porta ad uno spontaneismo che assume tratti per l'appunto comici, si lega l'innesto di personaggi altrettanto caricaturali, come quel Bauer (Giuseppe Battiston) che andando in giro con una falce e martello sul giubbotto e redarguendo le suore che insegnano le preghiere ai figli (iscritti ad una scuola cattolica...) “gioca” a fare il rivoluzionario per nostalgia e autocompiacimento personale, divertendosi fino all'ultimo a svolgere la parte dell'eroico “prigioniero politico”.

In definitiva però I figli delle stelle non è un film ideologico o prettamente politico, quanto piuttosto lo specchio del disagio della società, oltre che un'analisi accurata dei sentimenti umani: sia quelli dei “proletari” e degli “umili” (per dirla alla Manzoni) sia quelli di chi sta in cima alla gerarchia, in un reciproco incontro da cui se ne esce rafforzati e migliori. Un finale forse troppo idealistico e conciliante. Post-ideologico si potrebbe dire, e per questo molto simile alla società in cui viviamo, in cui c'è ancora chi crede che la bella politica possa superare steccati e barriere e riconnettere le stanze del Parlamento con la vita quotidiana della gente. Molto, ma moolto idealistico...

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