A Milano Film Festival 2013 – I 18 migliori anni della sua vita.

Milano Film Festival 2013 – I 18 migliori anni della sua vita.

18 anni, l’Età con la maiuscola. Quella in cui, a parte diventare Presidente della Repubblica o essere considerato adulto – perché in Italia si è giovani fino ai quarant’anni – si accede legalmente a tutto un nuovomondo, dalla patente per l’automobile alla possibilità di essere diseredato dai propri genitori passando per tutto quello che si è già sperimentato clandestinamente durante l’adolescenza. Un’età di passaggio: alle spalle l’assoluta spensieratezza e un passato di ricordi abbastanza lontani da iniziare a idealizzarsi, davanti un futuro nebuloso fatto di responsabilità che prima o poi ci si deve prendere. L’età dell’onnipotenza e del posso-fare-qualsiasi-cosa, se solo uno ne avesse la voglia o la coscienza. Condensato di luoghi-comuni-ma-veri.

Il Milano Film Festival è arrivato alla sua 18esima edizione, dopo anni in cui sono passati migliaia tra artisti, spettatori, panini con la salamella, concerti, lungo-e-cortometraggi, acqua gassata e naturale a garganella, documentari, notti gelate in sempione con quella vetta altissima raggiunta nel duemilasei con la presenza di un talento larger than life come Terry Gilliam. Basta soltanto il ricordo a far brillare gli occhi come succede a Salvatores quando parla di cinema.

Anche quest’anno i direttori artistici Beretta e Rossini hanno dovuto combattere contro i soliti tagli al budget che rendono tutto più sfidante, appassionante come la nave di Fitzcarraldo portata oltre le montagne e le rapide Pongo das Mortes. Oltre le difficoltà, le premesse per un gran festival pare ci siano tutte.

Tra le quarantasette pagine del programma, a spiccare è certamente la sezione Colpe di Stato, da qualche anno a questa parte può vantare la programmazione più potente e scomoda. The Act of Killing di Joshua Oppenheimer è il fuoriclasse annunciato, il crudo racconto degli atti operati dagli squadroni della morte indonesiani negli anni ’60. Per Werner Herzog, Il film più spaventoso del decennio. God loves Uganda di Roger Ross Williams sui fondamentalismi cristiani nella perla d’Africa, Inequality for all di Jacob Kornbluth sui danni del capitalismo e The Captain and his pirate di Andy Wolff sul rapporto tra rapito e rapitore sono soltanto alcuni titoli di una rassegna di vivere completamente.

Poi la sezione lungometraggi, con ben otto registe donne in concorso su undici pellicole e un’età media pazzesca pensando agli esordi cinematografici nostrani: tanti under 30 o poco di più con l’eccezione della splendidamente chapliniana Shannon Plumb, interprete e regista di Towheads nonché moglie di Derek Cianfrance (Blue Valentine e The place beyond the pines). Ad istinto, ma li si guarderà tutti: In bloom di Nana Ekvtimishvili sull’educazione georgiana di due ragazzine in un mondo di povertà estrema, Run and Jump di Steph Green sulla difficile relazione con un nuovo padre-e-marito dopo l’ictus che l’ha colpito e Ilo Ilo, melò familiare di Antony Chen sullo sfondo di una Singapore dove le tante luci nascondono ombre di vite borderline, Camera d’Or a Cannes.

Nella sezione Outsider, cinema alternativo e fuori dagli schemi, presenta almeno tre opere di rilievo assoluto, anche se davvero, repetita iuvant, non ci sarebbe niente-o-quasi da perdersi. Closed Curtains dell’iraniano Jafar Panahi al suo secondo film nonostante l’interdizione ventennale ad esercitare il mestiere regista: una riflessione sulla sua condizione d’interdetto e sul limbo esistenzial-professionale in cui si trova. Poi Upstream color di Shane Carruth, regista del cult Primer e vera incarnazione del cinema indipendente (regista, sceneggiatore, produttore, direttore della fotografia, musicista e montatore delle sue opere): un trip assolutamente mind-blowing. Parade di Olivier Meyrou è la commovente e tragica storia di uno dei più grandi trapezisti al mondo, pugno nello stomaco.

La storica Maratona d’animazione al Parco Sempione, l’omaggio al regista militante Sylvain George (con relativo workshop), il concorso cortometraggi, lo straniante Labyrinth di Jim Henson in odorama, i tanti concerti di Parklive (con la chitarra di Erlend Oye dei Kings of Convenience come ospite internazionale e la voce potente del torinese Daniele Celona ad impreziosire il programma), i cortometraggi su Edward Hopper e una stracult riproposizione de La Corazzata Potemkin di Ejzenstejn e de Le straordinarie avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi del dio del montaggio Lev Kulesov completano il cartellone di un festival corposo e pieno di spunti da cogliere, senza retorica, a piene mani.

Il Milano Film Festival è diventato maggiorenne con la testa al posto solito/giusto, ovvero sul collo.

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