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7/10

Questione di Tempo regia di Richard Curtis

Commedia romantica
recensione di Robin Whalley & Alessandro Laganà

Dopo l'ennesima festa di capodanno andata a vuoto, Tim Lake (Domnhall Gleeson), all'età di 21 anni, scopre da suo padre (Bill Nighy) che gli uomini della sua famiglia hanno da sempre avuto un'abilità speciale: poter viaggiare nel tempo, o più precisamente poter tornare ad un evento passato che si è vissuto in prima persona. Il metodo è molto semplice, basta essere in un luogo buio, stringere i pugni, chiudere gli occhi e pensare intensamente al momento in cui si vuole tornare, e tutto ad un tratto lo si rivive. Tim impara quindi abbastanza in fretta ad usare questo strumento per migliorare gli eventi a suo vantaggio, soprattutto nel corso della sua nuova vita a Londra in veste di avvocato, dapprima ospitato da Harry (Tom Hollander), un drammaturgo amico del padre, poi sposato con Mary (Rachel MacAdams), ma in seguito anche per riscoprire il rapporto con suo padre.

Robin Whalley (voto 6):

Questione di Tempo inizia con il botto, letteralmente. Dopo che Tim Lake, il protagonista ventunenne del film, ci ha presentato la sua squinternata famiglia composta da padre, madre, zio e sorella, ci ritroviamo alla festa di capodanno organizzata abitualmente dalla stessa. Un fuoco d'artificio di una scena con uno scorrere di drink e baci casuali per tutti, tranne che per Tim, appunto, che si sveglia il giorno dopo in hangover e senza aver concluso niente. Interpretato da un Domnhall Gleeson (figlio di Brendan) che, specialmente all'inizio, imita la voce di un giovane Hugh Grant in modo così fedele da chiedersi a volte se non sia stato doppiato, Tim si ritrova dunque ad avere una simpatica conversazione con suo padre (un Bill Nighy decisamente in forma) che senza troppi problemi gli confessa il grande segreto di famiglia: tutti i maschi hanno da sempre avuto la capacità di poter viaggiare nel tempo. Badate bene, non si può "uccidere Hitler" o "farsi Elena di Troia, purtroppo", si può tornare indietro solo ad un momento che si è vissuto personalmente.

Ok, è vero, il viaggio nel tempo è fisicamente impossibile, e anche prendendolo per buono c'è sempre qualcosa che non quadra, specialmente nei film. Ma siamo appunto di fronte ad un film, perciò è inutile anche solo cominciare a porsi questo tipo di domande. Il fatto è, Tim può viaggiare nel tempo, e gli basta poco per scoprirlo e accettarlo. Per noi, come pubblico, è saggio fare lo stesso. Non è neanche troppo difficile d'altronde, vista la confidenza e la vivacità con cui ci viene presentata questa premessa. Il vero problema di questo film, purtroppo, è credere fino in fondo a ciò che succede nell'ora e tre quarti successivi.

Tim impara presto ad usare con disinvoltura questo nuovo strumento a sua disposizione, e all'inizio i risultati sono divertenti. Spesso molto divertenti, specialmente grazie ad una fantastica performance di Tom Hollander nel ruolo di un drammaturgo frustrato amico di suo padre e che lo ospita a casa sua quando Tim decide di trasferirsi a Londra in veste di avvocato. Qui Tim incontra anche Mary, una ragazza stupenda, timida e fan di Kate Moss, di cui naturalmente si innamora alla follia e che è interpretata da Rachel MacAdams. Il tutto è un po' troppo sdolcinato e decisamente troppo lungo, ma entrambe le considerazioni, seppur valide, sono anche parte irrinunciabile dello stile di un vero romantico quale è Richard Curtis. E' un po' come se dalla dozzina di storie di Love Actually (che io personalmente adoro), Curtis avesse deciso di prenderne una, aggiungerci un ingrediente soprannaturale e allungarla per la durata di un intero film.

Ma non è tanto questo ciò che non convince. Il punto è come Tim usa il viaggio nel tempo. Nel corso della storia, egli continua a usare questa abilità per migliorare le varie situazioni in cui si trova, con lo scopo di viverle il più perfettamente possibile, anche quando non è necessario. Sostanzialmente, Tim sta barando, sebbene abbia sempre buone intenzioni. Il che non dovrebbe essere per forza un problema, se non fosse che questo aspetto non viene mai discusso in tutte le due ore del film. Sembra quasi che Tim possa modificare la realtà quanto gli pare e piace, senza conseguenze, a parte per una che viene introdotta a 3/4 del film e che sembra più un marchingegno narrativo che qualcosa di realmente significativo.

C'e per di più un famoso film del 1993 che tratta quasi dello stesso identico tema, e molto meglio. Parlo ovviamente di Ricomincio da capo (Groundhog Day in originale), il capolavoro di Harold Ramis. La differenza cruciale è che in quel film il protagonista Phil, interpretato da Bill Murray, poteva sì rivivere la stessa giornata all'infinito, ma questa condizione non era certo un dono, bensì una condanna eterna apparentemente senza via di uscita. Se però Phil riusciva ad accettarla e a sfruttarla per diventare un uomo migliore, Tim la usa semplicemente per avere una vita migliore, senza neanche porsi il minimo problema sulla propria persona o sul proprio comportamento. Non parlo di un qualche insegnamento morale, ma certo un elemento di complicazione di questo genere avrebbe reso le cose molto più interessanti.

Quello che invece abbiamo, alla fine, è una banale lezione sul vivere ogni momento della vita di ogni giorno come se fosse l'ultimo, messaggio che non solo non ha nulla di nuovo, ma è esattamente l'esatto contrario di quello che ci è stato mostrato finora.

E anche se bisogna dire che nell'ultima parte il film un po' si riscatta, principalmente grazie al ritorno in scena dell'eccentrica famiglia di Tim, dalla madre (Lindsay Duncan) allo zio (Richard Cordery), passando dalla sorella "Kit Kat" (Lydia Wilson) e arrivando di nuovo al padre, con il quale Tim, anche grazie alla comune abilità viaggio-temporale, riscopre un nuovo rapporto, alla fine è difficile evitare la sensazione che ci sia qualcosa in tutto questo di altamente improbabile e abbastanza bizzarro, se non, addirittura, di vagamente perverso.

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Alessandro Laganà (Voto 8):

Eccolo quello che potrebbe essere l’ultimo film da regista di Richard Curtis. Cui dobbiamo una delle più grandi perle del cinema inglese e mondiale (Quattro Matrimoni e un Funerale) e tanti altri piccoli capolavori quali Notting Hill, Love Actually e I Love Radio Rock.

Ambasciatore del british humour e quasidivinità cinematografica del sottoscritto, è sempre riuscito a far ridere e commuovere con rara maestria. I suoi film li riconosci subito, sono corali, con una caratterizzazione fenomenale dei personaggi secondari. Parlano d’amore sì ma in modo mai banale, studiano i rapporti interpersonali, di coppia ma anche famigliari.

About Time è per certi versi simile ma per altri no, è più maturo, e se vogliamo più profondo. Dai primi venti minuti si capisce che è un film che o ti prende o non ti prende. Io rientro nella prima categoria, ma con un asterisco in parte. Uscito dalla sala avrei dato dieci a questo film, per impegni universitari ho potuto scrivere questa recensione solo qualche giorno dopo e come potete notare il voto è calato, così come il mio impegno universitario. Non troppo, due voti, ma andiamo con ordine.

Tim (Domhnall Gleeson) è il classico ragazzo un po’ impacciato e “sfigatello”, che al compimento dei ventun anni scopre dal padre (Bill Nighy) che ogni uomo della sua famiglia ha il potere di tornare indietro nel tempo.

Non pensate subito a Ritorno al Futuro o a Groundhog Day. Si ha la possibilità di tornare solo in punti della propria vita di cui ci si ricorda, previo essersi nascosti in un posto buio e aver chiuso i pugni. E Tim decide di usare questo straordinario potere per trovare (e conquistare) la sua anima gemella. L’idea di partenza è bella ma difficile da supportare in modo valido senza scadere nel banale. Curtis ci riesce (quasi) al meglio. Grazie a una sceneggiatura brillante e trovate tecniche geniali, come ad esempio il primo incontro tra il protagonista e il suo grande amore: Mary (Rachel McAdams). Da qui una serie di peripezie, sia comiche sia drammatiche, che richiedono l’uso di salti temporali e che non sempre trovano una giustificazione logica.

E qua per me sta il punto per cui il film divide o per cui è stato da me rivalutato in negativo a posteriori. Il film ti chiede subito di prendere il tuo raziocinio e mandarlo in un’altra sala a vedere qualche documentario. Per carità molti film lo richiedono e sono anche tra i miei preferiti, e difatti il film mi ha preso dal primo all’ultimo secondo e sono uscito dal cinema entusiasta. Ma rimuginandoci sopra capisci che alcune cose sono un po’ stiracchiate, senti un attimo il retrogusto e la delusione c’è. Il film è profondo, lo vedi che è sentito e dentro c’è gran parte del regista, ma ci sono dei passaggi a vuoto nella trama, come dimenticati e seppure il messaggio finale della pellicola sia valido, si perde un po’ per strada, anche per la lunghezza forse un tantino esagerata (qualche minuto sopra le due ore). Tim è un personaggio lasciato un po’ a metà, ti senti coinvolto nel film perché la sceneggiatura ti avvolge e gli altri personaggi sono fantastici, ma la sua scarsa caratterizzazione stride. Rimane indietro rispetto agli altri e la cosa salta ancora di più all’occhio essendo il protagonista.

Ora potreste pensare: ci sono buchi narrativi, salti logici, il personaggio principale è mal riuscito e  gli dai ancora 8? Sì. Perché ho ancora nel cuore il sapore fresco e magico di quando il film era appena finito. Perché la colonna sonora è fantastica come sempre. Perché i primi e gli ultimi venti minuti sono un capolavoro. Perché pure in mezzo ci sono stralci di dialoghi e inquadrature da dieci. Perché Bill Nighy è un essere umano meraviglioso. Perché mi sono innamorato di Rachel McAdams con la frangetta.

E perché io a Curtis gli voglio tanto tanto tanto bene.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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1
alexmn 8/10

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