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5/10

Grandi Speranze regia di Mike Newell

Drammatico
recensione di Federica Banfi

Un misterioso benefattore offre a un ragazzino rimasto orfano la possibilità di riscattarsi dalle sue umili origini. Pip, questo il nome del giovane, usa la sua nuova posizione sociale per corteggiare la bella Estella, un'ereditiera viziata, educata dalla madre, l'eccentrica miss Havisham (Helena Bonham Carter) ad essere glaciale e senza scrupoli, della quale è perdutamente innamorato sin dall'infanzia. Purtroppo, la sconvolgente verità che si cela dietro alla grande fortuna ricevuta in dono, scatenerà una serie di conseguenze devastanti per tutti.

Dalla Jane Eyre di Zeffirelli al più recente Orgoglio e pregiudizio riproposto da Joe Wright, le infelici vicende dei giovani personaggi dei Bildungsroman sono sempre state trattate con dovizia e rispetto da grandi registi e sceneggiatori del nostro secolo. Come esimersi quindi dal portare sul grande schermo miserie e fortune dell’orfano Pip, protagonista di Grandi speranze, celeberrima opera dell’autore inglese Charles Dickens, esperto narratore di sventure?

È questo ciò che si propone di fare Mike Newell, regista che si è sempre dedicato ai generi più disparati, da Quattro matrimoni e un funerale, passando a Mona Lisa Smile, fino ad arrivare al più mainstream Harry Potter e il calice di fuoco, mettendo in scena una versione poco personale del romanzo dickensiano, a differenza del recente (e senza dubbio migliore) Oliver Twist polanskiano. Nonostante un cast d’eccezione, che può contare della presenza di artisti (tutti british) quali Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes, Robbie Coltrane e il giovane Jeremy Irvine nei panni del protagonista, alla pellicola sembra mancare qualcosa, forse proprio un’impronta autoriale che ci si potrebbe aspettare da un regista quale Newell. Potrebbe quasi sembrare che il tentativo di mantenere una grande aderenza con la versione cartacea di Grandi Speranze abbia in qualche modo limitato la personalità del cineasta inglese. Nonostante l’impegno di conservare coerenza col romanzo, viene a perdersi, nella sceneggiatura realizzata dallo scrittore David Nicholls, il tipico pungente umorismo dickensiano, che riesce a donare leggerezza anche alle situazioni più difficili in cui versano i suoi sventurati protagonisti. Mentre, al contrario, è lasciato grande spazio a melodrammatiche frasi ad effetto, spesso reiterate, che invece di impreziosire la narrazione, non fanno altro che appesantirla, rendendola flemmatica e ridondante. È indubbio inoltre che quello dell’amore sia un tema fondamentale all’interno del romanzo, che accompagna la crescita sociale e personale di Pip, in relazione soprattutto a quella mancata di Estella, obbligata dalla madre a un'esistenza priva d'amore a causa delle passate disavventure con gli uomini; tuttavia la gravità che questo acquista nel corso della storia, in particolare per la pesantezza e la pateticità con cui viene trattato, rischia di offuscare altre tematiche fondamentali, e di rendere troppo statico il personaggio di Estella che, già algida nel romanzo, è resa nella pellicola ancor più altezzosa e poco credibile nei suoi repentini cambi d’umore. Nonostante gli sforzi di regista e sceneggiatore di non dedicarsi esclusivamente alla storia d’amore, il tentativo di donare al racconto tinte gotiche o da thriller rimane irrisolto, comparendo solo di sfuggita nella fotografia e nelle ambientazioni (davvero degne di nota, in particolare, l’oscura magnificenza di villa Havisham, e la brumosa brughiera inglese del paese d’origine del giovane Pip), che a tratti ricordano la tetra Londra dello Sweeney Todd burtoniano.

A causa di questi difetti, seppur in qualche modo avvallati da un cast di eccezionale bravura, unico vero punto cardine della pellicola, quella che avrebbe potuto essere un’originale rilettura di un regista estremamente poliedrico, rimane purtroppo esclusivamente una pedissequa e banale trasposizione cinematografica, che disattende in toto le “grandi speranze” che molti vi avevano riposto.

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