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R Recensione

8/10

Tutti Insieme Appassionatamente regia di Robert Wise

Musicale
recensione di Leonardo Romano

Salisburgo 1938. Maria è una postulante a noviziato troppo vivace e piena di vita, che la Madre Superiora di un convento decide di mandare a fare l'istitutrice da un ex-comandante della Marina Imperiale, il Barone Georg Von Trapp, vedovo e che alleva i suoi sette, irrequieti figli come se fosse ancora su una nave. La tenacia,la vivacità e la voce della giovane suora conquistano il cuore dei bambini, del Comandante, fiero antinazista, e con loro fugge dall' Austria verso la Svizzera per trovare la libertà

La fama nefasta di film sdolcinato, piagnucoloso, melenso, caramelloso e giulebboso (messo in evidenza da tutti i critici dell'epoca con un grande ed immaginifico turbinio di aggettivi) non deve però sminuirne i pregi. Non si può negare che, sulla carta (e anche a Broadway, nel 1959, grazie ai due mostri sacri del musical americano, Rodgers e Hammerstein), i presupposti perché il livello di saccarosio risultasse letale e cariasse tutto d'un botto i denti degli spettatori c'eran tutti: una suora bambinaia canterina, sette pargoletti angelici, i paesaggi austriaci, tante suore altrettanto canterine, un barone burbero che riscopre l'amore e l'affetto per i figli e così via. In più, gli incassi strepitosi che ripagò ampiamente la 20th Century Fox del rischio a cui si espose (80 milioni di dollari nel solo mercato nordamericano: a tutt'oggi è il terzo incasso di tutti i tempi), sembrò aggravarne i demeriti agli occhi dei più. E in parte non nego che possa esser così.

Pauline Kael, una delle mestruate profetesse della controcultura di quegli anni,si affrettò a bollarlo come “The sound of money” (parafrasando il titolo originale del film, The sound of music) e profetizzò: “Questo film avrà con tutta probabilità la più forte influenza repressiva sulla libertà artistica nel cinema dei prossimi anni”. Errore! Già nel 1968, nonostante l'Oscar forzato come miglior film ad Oliver!, il genere musical era morto e sepolto ed aveva perso qualsiasi appeal sul pubblico. Inoltre, a parte qualche mediocre tentativo di rinverdire i fasti delle suore canterine (basti pensare al mediocre Dominique con una declinante Debbie Reynolds), "l'editto salisburghese" ad Hollywood non si verificò. Anzi, anche le majors si convertirono al verbo della controcultura inaugurato da Easy rider.

Ritornando al film, il pregio della regia di Robert Wise, ma soprattutto della sceneggiatura di Ernest Lehman (già sceneggiatore per Wise di West Side Story, altro sbalorditivo successo) è quello di ridurre al minimo ciò che di schematico, ovvio e troppo precipitoso poteva esserci nel musical di Broadway (già colossale successo): i bambini non adorano fin da subito Maria, bensì sembrano averla poco in simpatia; il Barone è una presenza meno evanescente e non si limita solo a cantare “Edelweiss” etc.etc. Lehman lavora con maggior finezza psicologica ed ottiene un intreccio sinceramente meno banale di quanto avessero fatto Rodgers e Hammerstein (dallo spartito scompaiono due brani francamente non memorabili come An ordinary couple - rimpiazzato da Something good - e No way to stop it. E ne compare uno nuovo: I have confidence, scritto da Richard Rodgers. Tutte modifiche – sia ben chiaro - approvate da Rodgers in persona).

Il vero punto di forza del film, però ,non è tanto la splendida musica o la virtuosistica ed immaginosa regia di Robert Wise (premiata giustamente con l'Oscar) o i paesaggi fotografati e ripresi con una maestria che solo la Hollywood classica poteva immortalare, bensì la sua protagonista: Julie Andrews. Nel 1964, l'attrice inglese ottenne una fama mondiale interpretando un'altra bambinaia canterina piena di vita: Mary Poppins (anche se, quando la Fox la mise sotto contratto, fece un salto nel buio, visto che il film della Disney non era stato ancora distribuito, ma il fiuto di Robert Wise l'ebbe vinta su Zanuck). Tutti insieme appassionatamente, che gli seguì a ruota, cementificò nell'immaginario collettivo dello spettatore medio americano l'immagine di istitutrice dall'angelica voce, arrivando a mal tollerare (se non addirittura a bocciare sonoramente) qualsiasi tentativo di apostasia dal quell'immagine “marypoppinsiano”.

Però alcuni studiosi sulla sessualità nella cultura e nell'arte (appaiare Julie Andrews e il sesso può sembrare una bestemmia) come Stacy Wolf e Peter Kemp, danno una chiave di lettura a prima vista originale, ma che in realtà, ai miei occhi (scusate l'immodestia), era palese: Maria (come del resto Mary Poppins) non è l'apoteosi del conformismo, bensì una figura potenzialmente sovversiva, trasgressiva e quasi anarchica. Infatti Maria non si fa problemi nell'affrontare il Comandante Von Trapp a muso duro ed a sconvolgere quella sorta di regime militare imposto dall'ufficiale in congedo.

Questo aspetto del suo carattere viene fuori prepotentemente nel momento in cui, appena arrivata alla villa, dice al Comandante di non voler rispondere al richiamo di un fischietto (“Si fischia ai cani,ai gatti,ma non ai ragazzi. E certamente non a me: sarebbe troppo...umiliante”) ed alla domanda: “Fraulein,lei aveva tendenze così sovversive anche al convento?”, la novizia risponde con una naturalezza quasi irridente: “Oh,molto di più!”. E l'incontro fra i due si conclude con un fischio acutissimo all'indirizzo del Comandante e con un'affermazione non meno irridente: ”Non conosco il segnale per lei...”. Inoltre Maria veste i ragazzi Von Trapp con abiti da gioco ricavati con le vecchie tende della sua stanza e, di fronte alla rabbiosa affermazione del Comandante: ”Hanno le loro uniformi”, risponde col suo tono ironico: ”Camicie di forza,mi perdoni...”. Se questo non è bakuninismo allo stato puro!...

Come, d'altra parte, sa imporre ai ragazzi una disciplina non attraverso il terrore,ma col consenso dei bambini, basata sull'amore e sul rispetto che i ragazzi provano per lei (e citare la Montessori sarebbe fin troppo ovvio. Basti ricordare che, mentre il Barone Von Trapp sciorina il meticoloso programma della giornata, Maria chiede ripetutamente: “Ma quando giocano?”). Questa curiosa unione di istinto, vivacità, ribellione, disciplina e tenacia (la novizia dalla volontà di ferro torna a Villa Von Trapp per affrontare i suoi problemi, non per sfuggirli: una lezione di vita non da poco!) fa del personaggio di Maria una figura unica destinata a non esaurirsi nel giro di una notte (magari degli Oscar,come spesso accade per altri film).

E Julie Andrews dà corpo e voce a Maria in modo egregio (in Italia, come in quasi tutti i Paesi in cui il film è stato distribuito, s'è persa la sua voce,ma è stata rimpiazzata egregiamente da quella di Tina Centi che,con sovrumano talento,non tralascia nulla del canto della collega inglese. Compreso il do finale di Do re mi che altre doppiatrici d'oltrefrontiera o eseguono malamente o tralasciano addirittura). La scena d'apertura (forse la più elettrizzante e memorabile del musical classico americano) è forse emblematica: nel giro di tre minuti, riusciamo a focalizzare il carattere della protagonista, che, con sguardo ora vivace ora romantico ora trasognato, riesce ad imprimere un ritratto che riassume tutto lo spirito del film.

Però, per onestà intellettuale,non andrà dimenticata la scena di un film con Kevin Costner in cui alcuni soldati in missione in Vietnam guardano attoniti tanta serenità sprigionare dallo schermo, raffrontandola ai cruenti massacri a cui assistono quotidianamente. In altre parole, mentre Hollywood si ostinava a proporre ed a voler far credere agli spettatori che questo fosse il migliore dei mondi possibili, intanto, là fuori, il mondo andava avanti ed avrebbe travolto tanta zuccherosa dabbenaggine.

Comunque, qualunque sia la lettura che si voglia dare al film (inserendola nel suo contesto storico o “astorica”, quale prodotto di intrattenimenti), è difficilmente contestabile la grandezza e l'eccellenza della messa in scena, oltre che la bravura degli attori (Julie Andrews in primis,che ottenne una candidatura agli Oscar ma non la statuetta; Peggy Wood, la materna Madre Superiora; Christopher Plummer, che seppe infondere vita ad un personaggio altrimenti piuttosto monolitico e poco interessante. Comunque menzione d'onore alla matura ed ancora affascinante Eleanor Parker, la Baronessa Schroeder e a Richard Haydn, il venale ma dal cuore d'oro Max). Nonostante la fama di film dolciastro e manicheo, i personaggi negativi del film non sono affatto dei cattivi tout-court: sono piuttosto individui insinuanti e viscidi, piuttosto che perfidi e brutali (lo è perfino l'Hett Zeller, che assume sicuramente un fascino sinistro che rifugge dal solito ed usurato clichè del nazista crudele e vociante). Inoltre le scene memorabili abbondano: da quella arcifamosa d'apertura e quella di “Do e mi” che rompe il tabù dell'unità di tempo,spazio e luogo nell'esecuzione di un brano musicale (perfino i più riottosi hanno dovuto ammettere che quello è grande cinema), che, anche in virtù di un notevole montaggio, rende scorrevoli e intelligentemente divertenti ben tre ore di spettacolo.

Menzione d'onore al doppiaggio italiano (che si fregia di veri e propri mostri sacri quali Lydia Simoneschi, Andreina Pagnani e Pino Locchi. Nomi che fanno spuntare una lacrimuccia di commozione a tutti gli appassionati, ma soprattutto a Maria Pia Di Meo (una Maria impeccabile) e alla succitata Tina Centi (che, con la sua voce, da decenni, accompagna la nostra infanzia con la stessa dolcezza con cui siamo abituati ad avere accanto a noi la nostra mamma) e ad un grandioso Giuseppe Rinaldi, che recita e canta con uno sbalorditivo talento, forse ignoto alla maggior parte dei nostri doppiatori (Rinaldi è stato uno dei pochi “cantattori” della CDC. Ineguagliabile e finora ineguagliato).

Quindi un film perfetto? No, non dico questo. Però, Tutti insieme appassionatamente è stato l'ultimo grande musical sfornato da Hollywood. Benchè sbeffeggiato da un buon numero di cineasti e di spettatori dei decenni successivi (basti pensare all' arguta canzone cantata in Paradiso dai Monty Python ne Il senso della vita), non credo sia disdicevole dire che, se il pubblico di tutto il mondo gli ha decretato un successo strepitoso (tranne quello italiano, che dimostrò anche in questa occasione una totale disaffezione per il film musicale; ma anche quello di lingua tedesca non sembrò apprezzare), forse non ha avuto tutti i torti. Soprattutto perchè è tutt'altro che immeritato.

 

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