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10/10

Grido di libertà regia di Richard Attenborough

Storico
recensione di Gabriele Repaci

Nel Sudafrica degli anni settanta il giornalista bianco liberale Donald Woods (Kevin Kline) fa la conoscenza di Steve Biko (Denzel Washington) leader del Black Consciousness Movement, organizzazione che si batte contro il regime dell'apartheid in vigore in quegli anni. Dopo un'iniziale ostilità fra i due nascerà una forte amicizia che durerà fino alla morte di Biko assassinato dalla polizia il 12 settembre del 1977.

Ispirato ai due libri di Donald Woods Biko e In cerca di guai, Grido di libertà è uno dei film più politicamente impegnati mai realizzato dal regista britannico Richard Attenborough scomparso il 24 agosto di quest'anno all'età di 91 anni. Storico militante del Labour Party, Attenborough non ha cercato semplicemente, attraverso quest'opera, di raccontare la vera storia dell'amicizia tra il giornalista Donald Woods e il leader nero Steve Biko ma ha voluto esprimere soprattutto la sua critica verso un governo come quello del Sudafrica nel quale all'epoca dell'uscita della pellicola era ancora in vigore il regime dell'apartheid.

Costato 21 milioni di dollari e girato completamente nello Zimbabwe, il film si divide in due parti. Nella prima incentrata sul rapporto Biko-Woods, il leader nero, impersonato da uno straordinario Denzel Washington alle prime armi, la cui interpretazione gli varrà una nomination all'Oscar come miglior attore non protagonista, cerca di far capire al giornalista bianco (Kevin Kline) che il Movimento per la Coscienza Nera facente a lui capo non predica come egli crede la supremazia dei neri sui bianchi ma desidera semplicemente che le due etnie possano convivere pacificamente in unico stato in cui tutti i cittadini godano dei medesimi diritti. Ma a differenza dei liberali egli non vuole che i neri si integrino nella società bianca perdendo il loro retaggio culturale ma al contrario che lo preservino. «Noi non vogliamo entrare di forza nella vostra società – dice Biko – Io sarò io come sono e voi potrete picchiarmi, arrestarmi o anche uccidermi. Però io non diventerò mai quell'uomo che vorreste voi». Il nero per Biko non deve assimilarsi al bianco per poter diventare membro della società civile, ma è necessario che conservi la consapevolezza delle proprie radici. Questo nazionalismo nero, che per certi versi ricorda quello della Nation of Islam di Malcolm X o delle Pantere Nere negli Usa, si opponeva a misure come quella emanata dal Bantu Affairs Department (BAD) con cui si stabiliva che a partire dal 1 gennaio del 1975 l'afrikaans dovesse essere insegnato in tutti i bantustan e perciò salutò con entusiasmo la Rivolta di Soweto del 1976 portandola ad esempio dell'affermazione di una coscienza nera tra le giovani generazioni.

La seconda parte narra le vicende del giornalista bianco Donald Woods che ormai a causa della sua amicizia con Biko (che intanto è stato ucciso dalla polizia nel settembre del 1977), diventa persona scomoda al regime che lo condannerà al “bando” per cinque anni con il divieto di scrivere e incontrare più di una persona alla volta. Le continue minacce nei confronti della sua famiglia, culminate con l'invio da parte della polizia sudafricana di due maglie ustionanti, fatte pervenire a suoi figli più piccoli attraverso un pacco anonimo, lo convincono a scappare dal paese. In una rocambolesca fuga travestito da missionario arriva nel Lesotho e da li insieme con i suoi cari riesce a fuggire in Inghilterra dove ottiene l'asilo politico.

Negli anni successivi all'uscita del film molti avvenimenti cambieranno la storia del Sudafrica.

Nel 1990 Nelson Mandela verrà finalmente scarcerato dopo 26 anni di prigionia.

Nel novembre del 1993 sarà infine raggiunto un accordo che porrà fine all'apartheid e nel 1994 verranno indette le prime elezioni politiche in cui voteranno gli appartenenti a tutti i gruppi etnici del paese sancendo la vittoria dell'African National Congress (ANC).

Tuttavia il sogno di Biko e degli altri martiri della lotta contro la segregazione razziale di costruire una “nazione arcobaleno”, nella quale tutti i cittadini indipendentemente dalla propria appartenenza razziale o religiosa potessero fruire degli stessi diritti, è ben lungi dall'essersi ancora realizzato.

Nel “nuovo” Sudafrica la denutrizione e la malnutrizione sono quanto mai diffuse: quasi la metà della popolazione vive in povertà, con ventidue milioni di persone in condizioni disperate e con 5,3 milioni di bambini sudafricani che patiscono la fame. Tra il 1999 e il 2002 circa quattro milioni di persone hanno ingrossato le file di coloro che vivono in povertà. Molte township, come quella di Soweto a Johannesburg, sono prive di bagni e di acqua corrente e la gente che ci vive usa ancora la paraffina per cucinare e le candele per farsi la luce. Il tasso di disoccupazione sfiora oggi il 25% e la maggior parte dei senza lavoro è nera. Nel '94 era stato stabilito che entro l'anno 1999 gli agricoltori bianchi avrebbero trasferito il 30% delle terre coltivate ai neri. Ad oggi solo il 7% di queste è tornata nelle mani delle persone di colore. Il 10% più ricco della popolazione detiene il 51% della ricchezza nazionale, mentre il 10% più povero solo lo 0,2%. Il divario esistente tra ricchi (quasi tutti bianchi) e poveri (quasi tutti neri) testimonia che ancora oggi la razza continua a determinare la condizione sociale della popolazione. Se si esclude la cooptazione di qualche esponente della nuova classe media nera, per lo più composta dagli ex “eroi” della lotta di liberazione, nei consigli di amministrazione delle imprese la gestione dell'economia sudafricana è ancora nelle mani dei bianchi.

Certo non si può paragonare l'odierno Sudafrica con quello di 30 e 40 anni fa dove le manifestazioni pubbliche venivano disperse a colpi di arma da fuoco e i dissidenti politici imprigionati dopo processi sommari e soventemente uccisi in carcere.

Tuttavia l'obiettivo di una vera uguaglianza sostanziale non è stato ancora raggiunto e probabilmente ci vorranno ancora molte generazioni affinché esso venga conseguito pienamente.

 

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