A A proposito di The Green Inferno

A proposito di The Green Inferno

 

Dopo una lunga attesa è finalmente arrivato nelle sale il film tributo di Eli Roth ai «cannibal movie», genere cinematografico tutto italiano il cui rappresentante più noto è sicuramente Cannibal Holocaust. Tuttavia chi si immaginava un semplice remake del capolavoro di Ruggero Deodato rimarrà insoddisfatto. Indubbiamente il debito che Roth ha nei confronti di Monsieur Cannibal (il soprannome con cui Deodato è stato ribattezzato dalla critica) è fuori discussione. Lo stesso titolo del film The Green Inferno è un esplicito riferimento a Ultimo Mondo Cannibale (1977) in cui un personaggio pronuncia la frase: «Andiamo nell’inferno verde» oltre che essere il titolo del documentario all'interno di Cannibal Holocaust. Ma le analogie si fermano qui perché il film di Roth è completamente diverso dai suoi predecessori italiani. In uno stile che ricorda quello del suo maestro Tarantino il regista di Hostel alterna scene di estrema crudeltà a momenti a dir poco esilaranti. Ma è a livello contenutistico che The Green Inferno spicca per originalità. Al contrario di Cannibal Holocaust in cui era la società occidentale a essere messa sotto accusa quasi che - come diceva il Professor Harold Monroe interpretato dall’attore di Robert Kerman - a essere i veri cannibali siamo noi e non gli indios Roth se la prende invece con l’ipocrisia dell’attivismo liberal progressista e dell’ambientalismo salottiero che con la scusa della difesa relativistica delle culture extraeuropee, considerate aprioristicamente buone e giuste, arriva sino al paradosso di giustificare pratiche barbariche come il cannibalismo. Il paragone che salta subito alla mente è quello sia con Apocalypto (2006) di Mel Gibson che con Africa Addio (1966) dell’italiano Gualtiero Jacopetti. In particolare quest’ultimo mette in luce come il senso di colpa degli europei per il colonialismo sia sfociato in una forma tragicomica di autorazzismo, in cui per altro si arriva a sostenere regimi crudeli rei di orribili crimini contro i loro stessi popoli. E se negli anni sessanta il film di Jacopetti venne accusato di essere pura propaganda razzista e gli studenti di sinistra organizzarono persino picchetti per vietarne la produzione nelle sale allo stesso modo quello di Roth è stato criticato da Survival International, organizzazione che si batte per i diritti dei popoli indigeni che vivono in isolamento volontario, secondo la quale la pellicola in questione fornirebbe un’immagine stereotipata di quelle popolazioni ritraendole come incivili. Nonostante tali reazioni da parte di una certa opinione pubblica The Green Inferno ha già riscosso – grazie anche a un notevole battage pubblicitario - un notevole successo cosa da permettere a Roth di mettersi al lavoro per un sequel intitolato Beyond the Green Inferno programmato per il 2018.

Lontano da grottesche imitazioni The Green Inferno si presenta come un prodotto ben confezionato con locations realistiche e indios credibili. Insomma un piccolo capolavoro tutto da gustare.

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