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7/10

Apocalypto regia di Mel Gibson

Azione
recensione di Maurizio Pessione

Zampa di Giaguaro  è un cacciatore, figlio del capo di una tribù che vive nelle foreste dello Yucatan. Un gruppo di mercenari, al soldo dei Maya che hanno bisogno di vittime sacrificali da immolare al loro iracondo dio Kukulcan per placare la tremenda siccità e l’epidemia di peste che ha colpito la loro popolazione, attacca il villaggio dei cacciatori e fra le molte vittime, le donne stuprate ed i bimbi abbandonati, fanno prigionieri alcuni uomini incluso Zampa di Giaguaro il quale è riuscito appena in tempo a calare la compagna incinta ed il loro primo figlio dentro una grossa buca che funge da pozzo, ma ha poi visto morire sgozzato suo padre. Condotti alla città dei Maya,i prigionieri vengono dipinti di blu prima di farli salire sulla vetta di una delle loro classiche piramidi dove i sacerdoti, davanti allo sguardo impassibile del loro re e la sua famiglia, uccidono atrocemente le vittime sacrificali. Quando dovrebbe essere il turno di Zampa di Leopardo si manifesta però un’eclisse totale, interpretata positivamente dai Maya che quindi interrompono il crudele rito. Zampa di Giaguaro e gli altri suoi uomini sopravvissuti vengono allora usati dai mercenari per un barbaro gioco dal quale però il cacciatore, che è anche un abile guerriero, riesce ad uscirne vivo, pur ferito, dopo aver ucciso il figlio del capo dei mercenari. Inseguito e braccato nella foresta, dopo aver mirato inizialmente soltanto a nascondersi, prende piano piano fiducia nei suoi mezzi, trovandosi in un ambiente familiare e sfruttando le armi e le possibilità di difesa che offre la foresta e che egli conosce sin dall’infanzia, elimina molti dei suoi inseguitori. Quando infine, stremato e ferito, viene raggiunto dagli ultimi due avversari su una spiaggia questi ultimi scorgono i vascelli e le barche degli spagnoli proprio sul punto di sbarcare. Zampa di Giaguaro ne approfitta per dileguarsi e correre a salvare la compagna, che ha partorito nel frattempo, e l’altro figlio, per fuggire insieme a loro.

Che Mel Gibson abbia una sorta di fissazione sul tema della violenza come motrice della storia è evidente, dopo aver visto La Passione di Cristo, Braveheart ed ora anche Apocalypto. È altrettanto vero però che la storia dell’uomo non si è certamente sviluppata fra sorrisi ed inchini ed anzi le cronache dei conflitti e delle lotte di potere o di liberazione che abbiamo letto, già a partire dai libri di scuola, testimoniano eventi cruenti dei quali spesso abbiamo imparato a comprendere le implicazioni, le conclusioni e le conseguenze in generale ma senza che la descrizione degli stessi si soffermi troppo sui particolari delle sofferenze che sono state patite da chi ne è rimasto coinvolto.

L’attore-regista australiano sembra invece volersi specializzare in particolare proprio su questi aspetti minimali (si fa per dire, ovviamente) rispetto agli eventi globali ai quali si riferiscono, soprattutto quelli più noti, concentrandosi quindi sull’aspetto fisico, la brutalità e la ferocia che li hanno caratterizzati. Apocalypto è ambientato all’epoca e nei territori dominati dalla civiltà Maya nell’imminenza dello sbarco degli spagnoli che ne determineranno la fine, accelerando il processo di irreversibile decadenza che era già in corso d’opera. Non siano lontani dall’anno critico 2012, stando alle profezie dei Maya (che in realtà, al contrario di quanto sostengono i catastrofisti ed anche il film che è stato realizzato in merito, più che ad una fine essi alludono ad un nuovo inizio) e forse già nel 2006, anno di produzione del film non è stata casuale la scelta del contesto narrativo, anche se solo nella parte conclusiva del film questa singolare civiltà entra prepotentemente in scena.

Apocalypto, il cui significato dal greco è qualcosa che ha a che fare con la parola ‘Rivelazione’, in realtà pone al centro del racconto una tribù di Indios che vive all’interno della foresta e nella quale, tramandando di padre in figlio le conoscenze, i suoi componenti vivono in equilibrio con la natura e gli animali circostanti. I suoi uomini sono cacciatori all’interno di un ecosistema nel quale è garantito il rispetto della natura, seppure in forma inconsapevolmente istintiva e dove è inscindibile perciò il legame con l’ambiente circostante.

La brutale aggressione al villaggio da parte di una banda di mercenari incaricati dai sacerdoti Maya di reperire vittime sacrificali da donare al dio Kukulcan affinchè possa placare la sua rabbia e far finire una lunga siccità e l’epidemia di peste che ha colpito la popolazione, interrompe per sempre questa idilliaca armonia. Il risultato della spedizione, oltre a provocare tanti morti e violenze inaudite anche sulle donne ed i bambini,  è la cattura di un gruppo di prigionieri da vendere al mercato degli schiavi della stessa cittadella Maya che si potrebbe forse identificare con Palenque, oppure da immolare al dio in collera, usando i metodi atroci ai quali, secondo le testimonianze, i Maya erano soliti ricorrere con estrema crudeltà. Ancora più al centro del racconto c’è la figura di ‘Zampa di Giaguaro’, figlio del capo tribù e suo annunciato successore. Egli è un guerriero di grande abilità e già notevole esperienza, padre ed in attesa di diventarlo ancora. La sua sposa, Sette, infatti è incinta.

Nel momento dell’aggressione ‘Zampa di Giaguaro’ ha fatto appena in tempo a calare dentro un pozzo naturale la compagna ed il figlioletto prima di lanciarsi nella mischia e distinguersi per la forza e l’abilità del combattente. Nonostante ciò le forze in campo sono diseguali ed i guerrieri del villaggio finiscono per avere la peggio. Molti di essi sono feriti a morte ed i restanti, uno ad uno, vengono fatti prigionieri, mentre le donne sono violentate ed i bambini ignorati ed abbandonati al loro destino. ‘Zampa di Giaguaro’ ha quasi avuto la meglio sul più pericoloso dei suoi avversari, se si esclude il loro capo Lupo Zero, ma è stato da quest’ultimo bloccato in tempo e catturato a sua volta. Il guerriero allora, per vendicare l’umiliazione subita, sgozza il padre di ‘Zampa di Giaguaro’ sotto i suoi occhi, nell’attesa di potersi prendere la rivincita anche con lui, visto che il suo capo per il momento lo vuole vivo. Legati a gruppi su grosse canne di bambù, i superstiti del villaggio vengono costretti a compiere un lungo percorso, mentre i bambini seguono la colonna come farebbero i cuccioli di animali con le loro madri, ma quando viene attraversato un fiume in piena i piccoli sono costretti a rinunciare ed abbandonarle. ‘Zampa di Giaguaro’ è terrorizzato all’eventualità che la pioggia possa riempire la buca nella quale sono nascosti Sette ed il figlio senza possibilità di risalita in mancanza di un aiuto esterno.

Uno dei prigionieri è ferito e durante il viaggio, stremato, cede una prima volta, in una sorta di parafrasi della via crucis del Cristo che Mel Gibson ha rappresentato nella sua Passione ed anche in questo caso, come allora, c’è un aguzzino che s’accanisce affinchè il ferito si alzi e riprenda il cammino. In realtà il suo obiettivo è provocare ‘Zampa di Giaguaro’, che frusta per obbligare il compagno ferito, punto nell’orgoglio, a rialzarsi e riprendere il cammino. Al successivo cedimento sull’orlo di un precipizio però, nonostante i compagni legati assieme a lui alla canna di bambù riescano con grande sforzo ad evitare di essere trascinati nel burrone, il guerriero mercenario lo libera e lo spinge nel vuoto fino a sfracellarsi a valle, considerandolo oramai un inutile peso, anche se Lupo Zero lo riprende duramente per aver preso l’iniziativa senza il suo assenso.

All’arrivo nella città Maya lo spettacolo è impressionante: come fosse un’anteprima dell’odierna San Paolo del Brasile o Mumbai in India i sobborghi sono costituiti da una miserrima baraccopoli abitata solo da persone ammalate e malnutrite. Gli uomini ancora in forze sono utilizzati per spaccare le bianche pietre sul monte adiacente, che servono poi per costruire le tipiche piramidi a scalini dei Maya. Essi si muovono imbiancati dalla polvere come fantasmi ambulanti, incalzati dalle guardie che non esitano a colpirli ad ogni tentennamento. Il centro della cittadina è invaso dai mercanti che trattano merci e schiavi. Le donne del villaggio di ‘Zampa di Giaguaro’ vengono immediatamente vendute ai migliori offerenti, mentre gli uomini sono dipinti di azzurro da alcune donne con un teatrale rituale e condotti in cima ad una delle piramidi dalla quale nel frattempo cadono sinistramente, ad intervalli quasi regolari, le teste ed i corpi dei prigionieri sacrificati a Kukulcan che precipitano, come fosse un girone infernale dantesco, verso gli spettatori sottostanti che esultano.

Un paio di compagni di ‘Zampa di Giaguaro’ vengono sacrificati nello stesso orribile modo, con il cuore strappato dal petto ancora pulsante, ma quando tocca a lui nel cielo avviene un’eclisse totale ed il fenomeno naturale viene interpretato come una testimonianza di sazietà da parte di Kukulcan. L’abile sacerdote infatti ottiene il consenso del popolo mentre inneggia il suo dio affinchè torni la luce che difatti, come sempre avviene d’altronde al termine di ogni eclisse, riappare di lì a poco. ‘Zampa di Giaguaro’ ed i suoi compagni rimasti, oramai ritenuti inutili, vengono allora condotti in una specie di arena, aperta da un lato verso la foresta, nella quale vengono liberati ed invitati a fuggire per salvarsi mentre alcuni dei guerrieri mercenari, in un gioco crudele e perverso, li prendono a bersaglio con le loro frecce e dardi. Il figlio di Lupo Zero, posizionato in attesa sul lato opposto dell’arena con una mazza in mano è pronto per finirli nel caso dovessero arrivare fortunosamente sin lì. L’offerta di fuga ovviamente è una trappola con scarsissime o nulle possibilità di riuscita e difatti i primi due compagni di ‘Zampa di Giaguaro’ cadono feriti a morte. Anche lui, quando arriva il suo turno, viene ferito lungo il percorso di fuga ma allorchè viene raggiunto dal figlio di Lupo Zero riesce a colpirlo a morte ed a fuggire, pur sanguinante, verso la foresta. Il resto del film è fondato sull’inseguimento di Lupo Zero ed i suoi uomini alla ricerca del fuggitivo per vendicare la morte del figlio.

In questa lunga parte dell’opera tornano alla ribalta, oltrechè lo spirito guerriero di ‘Zampa di Giaguaro’ anche la sua consapevolezza di essere tornato nell’ambiente che meglio conosce e dove è a suo agio, nel quale può sfruttare tutte le conoscenze acquisite non solo per sopravvivere, ma anche per imporsi, procurandosi ad esempio un veleno dal dorso di un rospo e gli aculei in cui intingerlo da una pianta, per soffiarli poi contro i suoi nemici grazie ad una cerbottana improvvisata arrotolando una grande foglia. Dopo aver rischiato di essere inghiottito dal fango in un acquitrino, ne esce sporco e scuro come avesse le sembianze di un giaguaro, con la convinzione di essere pronto a contrattaccare anziché limitarsi solo a fuggire. Uno ad uno elimina quindi alcuni dei suoi inseguitori, persino il guerriero che aveva ucciso barbaramente suo padre e addirittura Lupo Zero, il quale dopo averlo colpito al petto con una freccia, è caduto a sua volta in una trappola che ‘Zampa di Giaguaro’ è solito utilizzare per uccidere i tapiri. Oramai esausto e doppiamente ferito egli non sarebbe più in grado però di resistere agli ultimi due guerrieri rimasti a tallonarlo, ma quando giunge su una spiaggia ed i due potrebbero facilmente finirlo si trovano davanti le navi degli spagnoli che stanno sbarcando per cambiare il loro destino e la storia di quella regione.

‘Zampa di Giaguaro’ approfitta della sorpresa dei due, i quali proseguono come incantati nella direzione degli spagnoli che stanno giungendo sulla spiaggia a bordo di alcune barche, per dileguarsi e correre a salvare Sette ed il figlioletto. La sua coraggiosa compagna nel frattempo, dopo aver partorito in acqua il figlio in grembo, è allo stremo nel tentativo di evitare di essere sommersa dalla piena che nel frattempo sta riempiendo il pur enorme antro nel terreno che l’ha protetta sino ad allora.

Con La Passione di Cristo Mel Gibson aveva voluto darci un’immagine fisica, intollerabile per molti tratti, del martirio di Gesù, pur arcinoto negli eventi e nelle conclusioni, ma senza che sia mai stato mostrato così da vicino e con insistenza l’accanimento sul suo corpo, come invece l’attore-regista australiano ha voluto sottolineare. In Braveheart, soprattutto nella parte finale, quando William Wallace viene catturato e torturato dagli inglesi sul patibolo, Gibson ha voluto mostrarci l’orgoglio ed il coraggio dimostrato nella orribile sofferenza dall’eroe scozzese, fino a sovvertire l’atteggiamento del popolo presente in piazza, il quale da festante, irridente e compiaciuto, davanti alla purezza e la grandezza di quell’uomo che grida ancora ‘libertà’ con l’ultima voce che ha in corpo, si pente ed improvvisamente prova per lui ammirazione e pietà, arrivando persino a chiederne la grazia.

Apocalypto ha avuto i suoi bei problemi all’uscita, proprio per le scene di violenza e sangue che mostra, al punto che in USA è stato bollato alla stregua dei peggiori film horror e di quelli erotici. In Italia, dopo varie discussioni e polemiche, è stato vietato ai minori di anni 14 e persino in Giappone è uscito con grande ritardo, mentre in Cina è stato proibito, punto e basta. Di fatto, pur incassando comunque in maniera soddisfacente, Apocalypto ha subito però una sorta di castrazione.

Eppure, a ben vedere, nelle numerose scene di violenza che mostra non c’è l’ostentazione tipica di chi vuol servirsi oscenamente della stessa per impressionare il pubblico. I particolari più macabri vengono suggeriti più che effettivamente mostrati e sarà che lo spettatore medio ne ha viste oramai di cotte e di crude che è diventata una dura impresa riuscire a turbarlo ulteriormente ma, esclusi gli ipersensibili ed ovviamente i più giovani, non sembra sussistere in quest’opera una pornografia della violenza. Se vogliamo sono più impressionanti, ad esempio, alcuni dipinti del Caravaggio come ‘Giuditta e Oloferne’ oppure il celebre ‘L’urlo’ di Munch. La violenza gratuita semmai è riconoscibile in certi film dell’orrore che mettono in mostra, senz’altro scopo che quello di raccapricciare il pubblico in sala, un campionario di budella, arti mozzati e via discorrendo di queste ‘piacevolezze’.

Nell’attacco al villaggio degli indios, ad esempio, la brutalità è tutta nello scontro fisico fra uomini che di ‘mestiere’ in fondo fanno i guerrieri, mentre il corredo degli stupri ai quali sono sottoposte le loro donne, tutt’altro che rari ahimè in questi casi, si suppongono nelle intenzioni più che nei fatti esibiti direttamente allo spettatore. Persino il crudele atto dello sgozzamento del capo tribù non viene accentuato nei toni pur nella tragedia del momento e la sua susseguente dignitosa morte è priva di qualsiasi compiacimento e spettacolarizzazione.

Mel Gibson vuole in pratica trasmettere la percezione della lotta, dei patimenti, che qualunque battaglia o guerra porta inevitabilmente con sé e spinge così tanto su questo tasto che l’insistenza potrebbe addirittura essere letta come una sorta di ‘cura Ludovico’, laddove in Arancia Meccanica di Stanley Kubrick si immaginava che una overdose di immagini violente e perverse potesse provocare a lungo andare un rigetto fisico delle stesse da parte di chi ne viene sottoposto.

Insomma le reazioni possono essere diverse ed anche contrapposte davanti a certe scene e situazioni ed in Apocalypto si possono trovare, a seconda della emotività di chi vi assiste, opinioni nettamente contrastanti riguardo le reazioni, l’uso e le finalità delle stesse.

Come già in Braveheart ed in parte anche La Passione di Cristo, anche in questo caso il regista si è preso ampie libertà rispetto alla corretta sequenza degli eventi storici. In effetti l’immagine che ne esce dei Maya è parziale, tutta improntata agli aspetti più primitivi di crudeltà mentre le pur note conoscenze che gli stessi hanno dimostrato ad esempio riguardo l’astronomia sono persino ridicolizzate nella sequenza dell’eclisse pilotata dal sacerdote per circuire il suo stesso popolo. Come si diceva innanzi quest’opera, pur essendo fortemente caratterizzata dalla civiltà Maya, che funge da catalizzatore mediatico, in realtà pone al centro della storia un personaggio ed una tribù di fantasia. In un certo senso è come se l’autore avesse voluto mantenere un basso profilo, evitando di esporsi troppo dal punto di vista della verità storica, puntando invece a sottolineare temi a lui più consoni. Il suo infatti è un cinema molto virile solo in parte mitigato da evidenti ambizioni di stampo estetico e rappresentativo. In tal senso semmai si può cogliere l’aspetto forse più hollywoodiano del film che nella parte finale della fuga ed inseguimento a ‘Zampa di Giaguaro’ ricorda da vicino L’Ultimo dei Mohicani di Michael Mann. Laddove quest’ultimo però trovava il suo appeal, oltre alla qualità del resto, in alcuni interpreti di nome come Daniel Day-Lewis e Madeleine Stowe ed è evidente il parallelismo fra i due ‘cattivi’ per antonomasia, in quel caso Magua e qui invece Lupo Nero, il protagonista di Apocalypto è invece un illustre sconosciuto. Ciò a testimoniare ulteriormente la contraddizione di un’opera che all’eleganza ed alla maestosità degli ambienti e delle scene non affianca interpreti di pari livello, perlomeno dal punto di vista della notorietà. Anche in questo caso la scelta può essere letta negativamente o positivamente, a libero giudizio.

Quel che appare evidente in ogni caso è che Mel Gibson è riuscito a generare un fortissimo stato d’ansia nello spettatore, a tratti quasi insostenibile, come se si trattasse di un thriller sui generis, non solo nella parte finale dell’inseguimento, ma già a partire dalle prime suggestive immagini iniziali della caccia al tapiro, le quali anticipano l’intero assunto dell’opera con una sequenza nella quale s’alternano fascino ambientale, lotta per la sopravvivenza, brutalità della conclusione ed anche un po’ di compiacimento verso il gusto estetico dell’inquadratura. Come già la Passione anche Apocalypto è interamente sottotitolato, essendo i dialoghi in yucateco, una lingua che discende direttamente dai Maya ed è tuttora parlata in alcune zone rurali dello Yucatan dove il film è stato girato con non poche difficoltà a causa delle intense pioggie. Non si fa fatica comunque a seguire i sottotitoli essendo preponderante l’azione e la descrizione d’ambiente.

Apocalypto da un lato, considerando i costi e gli obiettivi inevitabilmente commerciali, è stato costruito non certo per fini puramente antropologici bensì per soddisfare lo show business, che per definizione punta al puro spettacolo ed intrattenimento e dall’altro, volendo mostrare la volontà di non esserne eccessivamente condizionato, palesa tutte le contraddizioni relative. I guerrieri del villaggio, ad esempio, pur vivendo in capanne dentro la foresta, ragionano e si comportano, anche scherzando fra di loro, come se fossero molto più evoluti nei costumi e vicini a noi come pensiero di quello che è ragionevole pensare che potessero essere in realtà. Alcune delle scene più spettacolari, come quella della comparsa del vero giaguaro, sono un po’ troppo elaborate per risultare del tutto realistiche, così come la fuga di ‘Zampa di Giaguaro’ ferito con una freccia che gli ha perforato un fianco appare un po’ troppo ottimistica per consentirgli di riuscire a tenere testa ad un drappello di inseguitori agguerriti e tutt’altro che ingenui. Sarà forse destino di Mel Gibson non realizzare mai un’opera che mette tutti d’accordo, sempre che sia questo il suo fine.

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Marco_Biasio (ha votato 4 questo film) alle 13:13 del 2 agosto 2011 ha scritto:

Cazzo Maurizio, ogni volta che ti leggo è sempre più un piacere Il film, come la maggior parte della produzione di Gibson, l'ho trovato invece molto forzato sulla sceneggiatura e ai limiti dell'assurdo per quanto riguarda una prospettiva storica. Non so, credo che l'inquadramento migliore tu l'abbia fatto alla fine: è sempre a metà strada tra l'intrattenimento puro e semplice e il tentativo di approfondire maggiormente gli elementi antropologici e tribali sottesi al tema. Per quanto mi riguarda, fallisce l'uno e l'altro obiettivo: oltre ai limiti sopra elencati l'ho trovato anche molto noioso.

maupes, autore, alle 22:40 del 2 agosto 2011 ha scritto:

Marco, questo è il classico film spacca pubblico. Io francamente me l'aspettavo peggio, visto quello che avevo letto in precedenza ed invece credo sia innegabile, perlomeno, il pathos che si genera dall'attacco al villaggio sino al termine, dal punto di vista dell'azione, lasciando perdere la prospettiva storica che non è nelle corde cinematografiche e culturali di Mel Gibson come abbiamo già visto nelle sue opere precedenti e questa non si smentisce. Il regista australiano appartiene alla categoria degli autori d'azione, degli uomini duri e tutti d'un pezzo. Solo che lui, rispetto ad altri, predilige argomenti importanti ed anche scottanti dal punto di vista etico e storico, ma li affronta dal lato puramente fisico, minimale rispetto al tema di fondo ma pur sempre una visuale possibile. Non è un fesso però e difatti non s'arrischia in disquisizioni che sa bene di non poter reggere dal punto di vista circostanziale, sociologico ed in questo caso antropologico come dici tu. Preferisco però chi ha il coraggio di mettersi in gioco puntando al bersaglio grosso, anche con opere che fanno acqua da molte parti, piuttosto di chi si accontenta del compitino facile facile ma che in fondo poi non ti lascia nulla. Ti ringrazio per la tua franca opinione ed il piacere nel leggermi: troppo buono come sempre, ma è anche mio il piacere di discuterne con persone competenti ed appassionate come te.

dalvans (ha votato 1 questo film) alle 14:44 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Mel Gibson

Mel Gibson

tramblogy alle 11:12 del 13 febbraio 2012 ha scritto:

Mel mrd assoluta!