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10/10

Novecento - Atto II regia di Bernardo Bertolucci

Storico
recensione di Maurizio Pessione

Dopo l’avvento al potere da parte dei fascisti spalleggiati dai grandi proprietari terrieri la comunità dei braccianti Dalcò al servizio di Giovanni Berlinghieri è sottoposta alle angherie ed ai soprusi di Attila, il capo fattore e Regina, la sua bieca compagna. Olmo sembra destinato a percorrere le orme del nonno carismatico Leo, ma non tutti fra i suoi sono disposti a seguirlo nell’incitamento alla rivolta. Alla morte di Giovanni, suo figlio Alfredo che non ne condivideva le idee e perciò si era allontanato, conoscendo nel frattempo Ada che sposerà poi di lì a breve, torna a casa per curare gli interessi della famiglia, incluse le terre e le stalle dove lavorano i braccianti. Il suo atteggiamento nei confronti di Olmo e Attila è ambiguo e nonostante Ada gli chieda insistentemente di prendere le distanze dal suo cinico e malvagio fattore, lui lo mantiene per paura della sua reazione e perché gli è utile per mantenere l’ordine. mostra spoiler

Non si decide neppure quando Attila e Regina si rendono colpevoli, anche se nessuno è in grado di dimostrarlo, della morte violenta di un bambino che aveva ascoltato di nascosto alcune loro compromettenti  rivelazioni e dell’uccisione poi anche della vedova di un signorotto finito in rovina, al fine di appropriarsi della sua villa. Quando Ada, oramai segnata dalla violenza e prepotenza che le gravita attorno decide di fuggire ed Olmo è costretto ad allontanarsi dopo aver ridicolizzato Attila che voleva venderlo con alcuni cavalli ad un altro fattore, Alfredo trova la forza per cacciare il capo fattore, ma è ormai troppo tardi. Quest’ultimo allora di scatena in una serie di sevizie nei confronti dei braccianti, culminate in alcune sommarie esecuzioni. Il fascismo infine crolla ed arriva il giorno della Liberazione. L’entusiasmo dei braccianti è tale che organizzano feste popolari spontanee, braccando e quindi giustiziando sommariamente gli aguzzini come Attila e Regina che a loro volta cercano  disperatamente di scappare. Anche Alfredo viene sottoposto ad un improvvisato processo popolare, presieduto da Olmo che è riuscito a tornare nel frattempo dall’esilio, sinchè arrivano i rappresentanti del Comitato di Liberazione a disarmare i contadini ed a salvare anche i latifondisti, consapevoli che sono necessari per far ripartire l’economia dello stato dopo i guasti della seconda guerra mondiale. Alfredo e Olmo possono ricominciare il loro rapporto contradditorio di amicizia e lontananza che ha simbolicamente caratterizzato tutta la loro vita di ricco padrone contrapposto al povero paesano, in un ciclo perverso che sembra inesauribile ed inevitabile.

Se Novecento – Atto I è sicuramente un film di parte, Novecento – Atto II per tre quarti almeno lo è ancor di più.

Gli eventi narrati in questa seconda parte iniziano dall’avvento del fascismo al potere, con il sostegno anche dei latifondisti. Bertolucci pone l’accento su questa decisiva ed equivoca alleanza. Il solco fra i grandi proprietari terrieri ed i braccianti è divenuto ancora più profondo dopo la fine della prima guerra mondiale. Le squadracce fasciste hanno preso a scorrazzare in lungo e in largo, seminando il terrore, al comando di Attila (Donald Sutherland). Quest’ultimo è anche il capo fattore ed allo stesso tempo il ‘cane da guardia’ di casa Berlinghieri, con Regina (Laura Betti), la sua depravata e maligna compagna, che non esita a provocarlo affinchè reclami un ruolo meno servile.

Fra i braccianti di questa piccola comunità, la cui evoluzione sociale in questi anni consiste nel fatto che non vengono più chiusi a chiave dentro la corte la sera, alla stregua di animali dentro una stalla, sono evidenti tutte le contraddizioni che nascono da una condizione di paura e di oggettiva inferiorità. C’è chi incita alla rivolta, come Olmo (Gerard Dépardieu) e chi invece ha il timore di perdere anche quel poco o niente che ha e rimane perciò passivo e succube. I volantini della Lega (l’associazione politico-sindacale che cerca di difendere gli interessi, in questo caso, dei braccianti) arrivano sin nelle campagne, in spregio ai rischi che si assumono coloro che li distribuiscono o li conservano in casa, ma sembrano raccontare eventi tutto sommato lontani dalla realtà spicciola, seppure drammatica ed immutabile di quei luoghi. Nelle canzoni e filastrocche ironiche riguardo Mussolini ed il fascismo, che i braccianti cantano di nascosto, c’è tutto l’orgoglio ma anche l’impotenza, mista a rabbia inesprimibile, di una situazione avvilente ed apparentemente immutabile.

Olmo ha assunto fra la sua gente il ruolo carismatico che un tempo fu del nonno Leo (Sterling Hayden), ma è ancora troppo giovane ed avventato,  forse anche condizionato dal dolore per la perdita dell’amata Anita (Stefania Sandrelli), la quale non è sopravvissuta al parto della figlia, che ha poi avuto lo stesso nome. Non tutti la pensano allo stesso modo insomma, anzi qualcuno biasima Olmo temendo che con i suoi atteggiamenti possa mettere tutti nei guai.

La morte di Giovanni (Romolo Valli), padre di Alfredo (Robert De Niro) che a sua volta aveva assunto il ruolo dell’autorevole predecessore Alfredo (Burt Lancaster) pur senza averne la capacità e la personalità, avviene dentro la stalla, come fosse diventata nel tempo una macabra abitudine. Pure suo padre infatti aveva scelto quel luogo poco consono per togliersi la vita, in un atto estremo di rifiuto ad accettare l’impotenza come conseguenza imbarazzante della sopraggiunta vecchiaia (che per sua natura oltretutto rende tutti uguali), ma anche in questo Giovanni non gli è stato alla pari, ‘morendo senza soffrire’, come dice Olmo per consolare Alfredo, a causa di un semplice e normale infarto.

Questa fine banale ed inaspettata di Giovanni costringe Alfredo a tornare precipitosamente a casa per prenderne il posto. Con Ada (Dominique Sanda) e lo zio Ottavio (Werner Bruhns), così ‘diverso’ in tutti i sensi da suo padre, Alfredo ha vissuto momenti di spensieratezza, complicità e dissolutezza in città ed in altri posti d’Italia. Il richiamo alle responsabilità e ad assumere il ruolo di prosecutore della dinastia di famiglia lo portano ad un frettoloso matrimonio che annuncia addirittura alla madre ed ai parenti appena tornato a casa, nonostante l’evidente inopportunità del momento. Sorprendentemente la madre reagisce invece con gioia alla notizia, dismettendo velocemente i panni della vedova addolorata, quasi non aspettasse altra novità, al contrario di Regina, cugina di Alfredo, delusa e gelosa, volgare ed iraconda, che aveva puntato a lungo a diventare essa stessa la signora Berlinghieri.

Attila e Regina si sono intanto alleati e di nascosto consumano anomali rapporti sessuali, molto più simili a quelli delle bestie che non a quelli degli umani. Non c’è affetto fra di loro e sono considerati da tutti dei concubini (a quel tempo in particolare non giovava di certo all’immagine pubblica dei protagonisti). Essi in realtà sono due mostri che hanno trovato nella loro complicità il terreno ideale per coltivare la loro perfidia, ambizione, invidia e perversione. Sono in pratica una sintesi e l’espressione concreta del degrado della natura umana.

Il giorno del matrimonio di Alfredo e Ada, nel corso della festa, Attila e Regina si appartano dentro un cascinale per sfogarsi in uno dei loro frettolosi rapporti sessuali (curioso ma significativo il fatto che assumano posizioni nelle quali non si guardano in volto, durante il rapporto, ma si prendono l’un l’altra al puro scopo di godere come bestie che seguono un istinto primordiale). Subito dopo i due complici si lasciano andare ad alcune conclusioni e considerazioni riguardo il ruolo delle camice nere nei confronti dei padroni, con le rimostranze di Regina che vorrebbe in Attila un maggior orgoglio ed indipendenza dai Berlinghieri. Quest’ultimo risponde con un’affermazione sorprendente per un personaggio apparentemente incapace di esprimere acume tattico ma solo forza fisica ed una pedissequa dedizione alla causa fascista: ‘…non si può mordere la mano che ti nutre..’. Concludendo poi che questo servilismo nei confronti dei padroni è destinato presto a finire. Il figlio adolescente dei coniugi Pioppi (Alida Valli e Pietro Longari Ponzoni) ha però seguito Attila e Regina, li ha osservati ed uditi dentro il cascinale, ma quando viene scoperto per loro non è sufficiente intimargli di non rivelare a nessuno quello che ha sentito e visto. Presi da una insano impulso, Attila e Regina coinvolgono il bimbo in un gioco brutale che si conclude con la sua morte atroce in una sequenza di straziante crudeltà.

Ada non mai sopportato la sensazione di violenza, volgarità ed arroganza che a suo dire proviene da coloro che indossano le camice nere. Ha chiesto più volte ad Alfredo di allontanare Attila, ma egli, pur disprezzandolo e non perdendo occasione per umiliarlo, come se volesse stabilire allo stesso tempo la sua distanza e la capacità di assoggettarlo, in realtà lo teme e soprattutto lo considera indispensabile per mantenere l’ordine nelle sue proprietà. I latifondisti infatti, dopo aver agevolato la presa del potere da parte dei fascisti, sperando di controllarli ed usarli per meglio conservare i loro privilegi e possedimenti, si sono ritrovati in seguito a temere di essere essi stessi stritolati dalla loro violenza, esaltazione e fame di potere.

Il bimbo viene lungamente cercato ed infine ritrovato. Attila, dopo aver inscenato una farsesca battuta di caccia con i camerati, incolpa dell’omicidio Olmo, capitato lì per caso, non avendo partecipato alla festa di matrimonio. Nel bosco Olmo aveva incontrato Ada durante una sua galoppata solitaria nella tenuta con il bellissimo cavallo bianco che le aveva appena regalato Ottavio, intervenuto a sorpresa durante la festa di matrimonio; l’aveva quindi accompagnata per un tratto di strada, mentre a poca distanza da loro stava per essere ucciso il ragazzino. Olmo non può fornire un alibi perché non vuole rivelare dove e con chi si trovava nel mentre l’orribile delitto veniva consumato e così viene assalito e pestato brutalmente dalle camice nere. Alfredo interviene solo all’ultimo momento a salvare l’amico, in un atteggiamento ambiguo che è colto e sottolineato dalla moglie Ada.

Passano alcuni anni ed i rapporti fra Ada e Alfredo diventano sempre più tesi anche perché non riescono a generare un erede che potrebbe riempire le giornate della donna, che quindi lenisce la sua noia facendo da insegnante alla figlia di Olmo, anche se quest’ultimo è contrario perché teme che per Anita possa diventare nel tempo una dannosa illusione frequentare ambienti e persone che non fanno parte del suo status sociale. Olmo sarebbe già in galera, essendo stato da tempo individuato come un plateale sovversivo, se Alfredo non l’avesse protetto di nascosto. Il loro rapporto è sempre stato contradditorio, sin da ragazzi, con grandi slanci di affetto, amicizia e solidarietà, intervallati da momenti di ostilità e contrapposizione, consapevoli delle grandissime differenze fra di loro sotto tutti i punti di vista.

Attila e Regina nel frattempo sono diventati sempre più ambiziosi e volendo dare una svolta positiva agli occhi degli altri rispetto alla loro imbarazzante e malcelata convivenza, hanno messo gli occhi sulla villa dei Pioppi. Dopo che il marito è morto di crepacuore a causa della morte del figlioletto e per i debiti contratti a seguito di alcuni investimenti sbagliati, la vedova Ida (Alida Valli) non è più in grado di mantenere la costosa proprietà. Avendo intuito le intenzioni dei due, Ida in un momento di disperazione invita dentro casa Attila e Regina, dopo averli scorti a sbirciare dalla cancellata e poi li sbarra in salotto con il folle obiettivo di segregarli. Nel mentre Alfredo rintraccia Ada dentro una locanda in città nella quale s’è rifugiata per annegare nell’alcool la sua insostenibile frustrazione, non potendo più farlo liberamente a casa. Nello  stesso locale ad un certo punto è entrata anche Neve (Stefania Casini), la lavandaia con la quale Alfredo ed Olmo avevano avuto una fugace avventura anni prima e dopo uno scambio di saluti imbarazzati con Alfredo, la donna confida a lui ed alla moglie una sintesi sofferta ma tutto sommato serena della sua vita, spingendo involontariamente Ada ed Alfredo a riavvicinarsi e riappacificarsi.Mentre tornano a casa in auto sotto una fitta nevicata, si trovano davanti ad un assembramento la cui ragione dipende dalla morte violenta della vedova Pioppi, infilzata nella cancellata della sua villa, fra l’orrore dei convenuti e di Ada in particolare che fugge con l'auto lasciando sul posto Alfredo. Anche in questa occasione Attila e Regina fomentano i presenti dando la colpa dell’omicidio a qualche comunista sovversivo da identificare. Convinto che sia andata da Olmo, per il quale Alfredo sospetta da tempo che Ada abbia un debole, irrompe a casa sua in piena notte ma non trovandola, imbarazzatissimo si scusa con l’amico di un tempo ed in un franco colloquio gli confida la sua confusione ed il fallimento del suo matrimonio. Tornato a casa Alfredo trova Ada sbarrata in camera e sempre più in preda all’angoscia.

Attila e Regina si sono infine appropriati della villa Pioppi, hanno messo su famiglia e nel corso degli anni, seppure oramai stempiato e canuto, Attila è diventato sempre più temuto e pericoloso. Un giorno decide di vendere alcuni cavalli dei Berlinghieri, incluso provocatoriamente il cavallaro, cioè Olmo e sua figlia, ad un altro fattore, ma lui si ribella ed aiutato dagli altri paesani bersaglia di letame sia Attila che l’altro fattore. L’offesa è così pesante che Olmo è costretto subito dopo a fuggire, prima che torni Attila con le sue squadracce a vendicarsi ed a mettere sottosopra la sua casa nella quale trovano comunque parecchio materiale sovversivo: bandiere rosse, volantini ed altri documenti compromettenti.

Alfredo da questo episodio trova infine il coraggio di licenziare Attila, ma è troppo tardi: Ada nel frattempo è partita per non tornare più, avendo oramai deciso di abbandonare quel luogo di violenza brutale. Attila ed i suoi allora, senza più freni e cercando di costringere gli altri braccianti a confessare dove si trova Olmo ed a fornire le prove della loro appartenenza alla Lega dei cosiddetti comunisti sovversivi, ne torturano un paio dentro un apposito recinto innalzato all’interno della corte ed infine ne uccidono brutalmente alcuni fra quelli che, non resistendo oltre ai maltrattamenti, hanno trovato il coraggio di ribellarsi apertamente. È l’ultimo atto della barbarie prima che il film salti direttamente al 25 aprile 1945, giorno della Liberazione, che però porta con sé anche inevitabili atti di vendetta altrettanto crudeli, soprattutto nelle campagne dove il controllo dei partigiani e del comitato di Liberazione non sono ancora giunti a disarmare la popolazione che non riesce più a controllare l’odio represso da troppo tempo ed è esaltata per la ritrovata libertà dai nazisti ed i fascisti.

A chiudere il cerchio torniamo così all’inizio del primo Atto, quando Attila e Regina sono incalzati dai braccianti che vogliono fare giustizia delle loro precedenti prepotenze e delitti. La loro cattura ed il trattamento che gli riservano in seguito è spietato. Feriti ed umiliati i due maggiori simboli ai loro occhi del lungo periodo oscuro e violento che hanno vissuto, vengono trascinati come bestie, rinchiusi nella porcilaia e quindi portati al cimitero, di fronte alle tombe di alcune delle loro vittime e dopo averli sommariamente processati vengono entrambi giustiziati.

Se fino a questo punto Bertolucci, pur raccontando la storia dal suo punto di vista è stato pragmatico e realista, nell’esaltazione di quegli irripetibili momenti di rinascita e di libertà ritrovata si lascia andare ad una lunga fase allegorica, sottolineata anche da alcune musiche e canti, che simboleggiano le speranze di cambiamento della società verso un ipotetico ideale comunista. L’enfasi trova innanzitutto la sua espressione metaforica nello sfoggio di tante bandiere rosse, significativamente cucite fra loro in un grandissimo drappo, nascosto sino a quel momento; inoltre nei primi piani di alcuni personaggi, volutamente e chiaramente non professionisti, che sembrano in realtà raccontare le loro autentiche esperienze personali legate a quel periodo storico; ed infine in un monologo accorato di Olmo, tornato nel frattempo a casa dal forzato esilio, che si rivolge direttamente alla cinepresa. Una lunga sequenza di stampo didascalico e celebrativo che culmina nel processo popolare al padrone Alfredo, colpevole in quanto tale, a detta dello stesso Olmo e reo di aver collaborato con i fascisti, anche se lui si difende dicendo che nel corso di quegli anni non ha mai fatto del male a nessuno.

Questo momento agiografico termina con l’arrivo dei partigiani e degli incaricati a riportare l’ordine, ad iniziare dalla riconsegna delle armi. È proprio Olmo che dà l’esempio ai suoi paesani, soprattutto quelli più scettici, in una sequenza nella quale dimostra di aver imparato nel tempo l’arte della moderazione, seppure nello specifico potrebbe essere interpretata anche come un semplice atto di accettazione. Tutto insomma sembra tornare sotto il controllo della politica, dei suoi compromessi e dell’esigenza di ricreare un equilibrio sociale che consenta la rinascita dello stato, nel quale il ruolo dei grandi potentati economici, inclusi i latifondisti, è indispensabile. Lo dice chiaramente Alfredo quando, rinfrancato dallo scampato pericolo, sussurra un significativo e sarcastico:  ‘I padroni sono tornati…’.

Tutta l’illusione che Bertolucci aveva coltivato ed espresso poco prima con grande retorica viene trasformata in una parabola sul contrasto fra utopia e realtà e che vede Alfredo ed Olmo, come  in una sorta di regressione allo stato infantile, spintonarsi e bisticciare fra di loro, in una sintesi della lotta perpetua fra padroni e proletari. Subito dopo, con un salto narrativo di alcuni anni più avanti, Alfredo ed Olmo appaiono vecchi, come calati nei ruoli che furono di Burt Lancaster e Sterling Hayden, che si provocano ed accapigliano allo stesso modo. Ed ancora una volta è curioso che sia Alfredo, il padrone, pur essendo uscito indenne da eventi che hanno segnato a lungo la storia del Novecento italiano, a prendere la decisione di suicidarsi sdraiandosi sulle traversine del binario in attesa che passi il treno. Questo gesto, quando lui ed Olmo erano bambini, rappresentava il culmine della sfida per dimostrare chi era più coraggioso; ma stavolta la testa e le gambe di Alfredo anziché essere verticali rispetto al senso di marcia sono orizzontali ai binari, in attesa che passi un convoglio, ancora carico di bandiere rosse, che già appare sullo sfondo. Come se Bernardo Bertolucci, nonostante tutto, volesse lasciare una speranza alla sua visione ideologica perchè un giorno possa affermarsi.

Messi assieme i due Atti, Novecento è un film che dura in totale quasi quattro ore. Si possono condividere o meno le opinioni politiche di Bernardo Bertolucci e la sua rilettura della storia di gran parte del secolo scorso, ma è innegabile la potenza espressiva di quest’opera che ancor oggi colpisce profondamente per alcune sequenze indimenticabili ed una trama trascinante che tocca molte corde sensibili della storia italiana recente ed alcuni conflitti che globalmente affliggono uomini di diversa cultura, origine e potere. Dal punto di vista narrativo, se si esclude la fase poetica-ideologica allo scoccare della Liberazione, è un film che nell’esprimere la logica degli eventi è inappuntabile e puntuale, nonostante la vastità della trama.

La presenza di alcuni grandi nomi fra gli interpreti rende quest’opera anche una sorta di omaggio che il cinema internazionale, consapevolmente o no, rende a quello italiano. I personaggi rappresentati da Donald Sutherland, Robert De Niro, Gérard Depardieu, Laura Betti, Alida Valli e nel primo atto da Burt Lancaster, Sterling Hayden, Romolo Valli, Stefania Sandrelli e Stefania Casini, senza trascurare la fotografia di Vittorio Storaro, le musiche di Ennio Morricone ed altri prestigiosi coautori,  che si possono definire, nelle rispettive sfere di competenza, fra i migliori possibili, costituiscono una squadra di grandissima classe ed autorevolezza che nobilita quest’opera anche al di là dei temi che tratta, pur profondi e controversi.

Se una simbolica palma si può assegnare a due coppie di interpreti, ebbene possiamo dire che Burt Lancaster e Sterling Hayden nel primo Atto si stagliano nelle loro figure carismatiche, mentre Donald Sutherland e Laura Betti rappresentano coloro che per differenti motivi restano maggiormente in memoria nell’Atto II. Quest’ultima coppia in particolare è sconvolgente nel divenire nel corso degli eventi narrati campionessa di bassezza e malvagità.

Per qualcuno Novecento sarà come rivivere momenti e testimonianze che hanno sentito raccontare dai loro padri e nonni a proposito di quei tempi. Per altri, al contrario, sarà evidente la lettura decisamente di parte di quegli stessi avvenimenti, volta a glissare a piè pari le storture che hanno caratterizzato anche l’altra parte, per spirito di vendetta o semplicemente per contrasto ideologico. Da qualsiasi lato la si possa guardare però questa è un’opera della quale è comunque impossibile non riconoscere la statura, al di là delle idee politiche dello spettatore più esigente ed imparziale che sia, o che semplicemente voglia provare ad essere.

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dalvans (ha votato 7 questo film) alle 11:46 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Discreto

Prolisso