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8/10

IL Silenzio Degli Innocenti regia di Jonathan Demme

Thriller
recensione di Maurizio Pessione

L’agente Clarise Starling viene inviata ad interrogare il dottor Hannibal Lecter in carcere, reo di aver cannibalizzato alcuni suoi pazienti. L’obiettivo dei suoi superiori è riuscire a farlo collaborare per identificare un serial killer che sta uccidendo e scuoiando alcune giovani donne. Hannibal Lecter dapprima tratta in malo modo Clarise, ritenendola troppo giovane ed inesperta per competere con la sua esperienza ed intelligenza superiore, ma poi intuendo un doloroso passato della donna, acconsente ad aiutarla, come un maestro che istruisce una promettente allieva,  se lei accetta di confidargli la sua precedente storia personale. Ne nasce un sodalizio contradditorio e dalle sfumature inquietanti ma dagli sviluppi significativi per gli obiettivi preposti. La fuga spettacolare e terrificante dal carcere del dottor Lecter è il suggello ad un rapporto privilegiato fra due persone apparentemente molto distanti fra di loro. Sinchè una telefonata…

…Sto per avere un vecchio amico per cena stasera…’. La preposizione ‘per’ determina in questo caso la differenza fondamentale sul significato della gelida ed allo stesso tempo macabra affermazione che il protagonista del film, il dottor Hannibal Lecter (Anthony Hopkins) sussurra al telefono all’agente FBI Clarise Starling (Jodie Foster). L’amico, per così dire, non è infatti un semplice invitato alla cena, come si potrebbe distrattamente mal intendere ma, sfortuna sua, è in realtà la pietanza principale dell’agghiacciante menu.

Uno che faceva un censimento una volta tentò di interrogarmi. Mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave ed un buon Chianti…’. È sempre Hannibal che parla e già da queste due asserzioni si capisce che Il Silenzio Degli Innocenti non è un film indicato per le anime sensibili.

Il cannibalismo di per sé esiste dalla notte dei tempi, con testimonianze un po’ in tutte le parti del globo che partono dagli ominidi per arrivare sino ai giorni nostri, ad esempio in alcune zone dell’Africa durante la recente guerra civile in Ruanda. A differenza del resto del mondo animale che non si pone grandi remore al riguardo, l’evoluzione culturale dell’uomo ha relegato questa atroce usanza fra quelle da rifiutare per principio, anche se poi il termine stesso ha assunto significati allegorici per sottolineare, ad esempio attraverso le guerre e le lotte per il potere, il corredo di cinismo e spietatezza che l’uomo da sempre mette in atto nei confronti dei suoi stessi simili. Nel corso della storia ci sono state anche forme di cannibalismo determinate dalla necessità, cioè dall’istinto di sopravvivenza, come è accaduto a quei passeggeri dell’aereo precipitato nelle Ande alcuni anni orsono i quali, per sopravvivere e nella speranza di essere prima o poi ritrovati, si sono cibati, per loro stessa ammissione, delle carni di alcuni altri compagni morti nello schianto.

Hannibal Lecter però il cannibalismo lo pratica per diletto e, da persona intellettivamente superiore qual è, vanitosamente applica un metodo rigoroso al riguardo, sommato ad un terrificante ed ineffabile voyeurismo, vantandosi persino di essere un raffinato buongustaio. Essendo egli uno psichiatra di notevole spessore, che ha finito per andare ben oltre la deontologia della sua professione divorando i suoi stessi pazienti (per questo è finito in un carcere di sicurezza), è anche una persona dalle notevoli doti deduttive, seppure rivolte verso scopi e significati completamente deviati, con l’aggiunta di una spropositata dose di narcisismo non priva di qualche contraddizione.

Hannibal è infatti capace di passare dalla delicatezza di una soave musica classica che egli ascolta quasi compenetrandosi nelle note, all’aggressività brutale ed animalesca di mordere in faccia un poliziotto adibito alla guardia della sua cella ed accanirsi con gusto, provando una sorta di piacere orgasmico, nei confronti dell’altro suo collega quando, dopo averlo reso inoffensivo, lo colpisce ripetutamente con un manganello che gli ha provvidamente sottratto fino a massacrarlo. E la messa in scena spettacolare dei due cadaveri che attua all’arrivo degli altri poliziotti, richiamati da uno strano ascensore che ha preso a salire inaspettatamente nell’edificio dove è rinchiuso il cannibale e da alcuni spari esplosi appositamente, è degna di un essere demoniaco, la cui personificazione nel dottor Lecter appare quanto mai appropriata.

La scortesia per me è una deformità inconcepibile’. Sembra incredibile che un uomo così violento e perverso possa provare sentimenti così nobili, eppure è quello che dice rivolto all’agente Clarise Starling quando subisce un’oscena offesa da parte di un altro carcerato della prigione dove il dottore è rinchiuso. L’FBI l’ha inviata al suo cospetto, come una sorta di cavallo di Troia o una moderna versione di sirena, con il malcelato scopo di estorcere ad Hannibal qualche preziosa informazione, che egli si ostina a non fornire agli investigatori, riguardo il caso di un altro serial killer che sta imperversando nel frattempo e del quale non si riesce a venirne a capo. Le insane abitudini di quest’ultimo mostro sono quelle di far prigioniere giovani donne e dopo qualche giorno ucciderle e letteralmente scuoiarle, prima di disfarsene. In un certo senso, inviare Clarise ad interrogare Hannibal corrisponde alla pretesa che un agnello possa ammaliare un lupo dentro la sua stessa tana.

La reazione di Hannibal in un primo momento è rabbiosa, come se avesse subito un oltraggio ed il capo dell’agente, Jack Crawford (Scott Glenn) lo stesse snobbando, anzichè onorare come merita la sua turpe fama, inviando in sua vece un’allieva alle prime armi e che lui impiega solo pochi attimi per capirne le intenzioni e distruggerne i velati propositi, mettendola dialetticamente con le spalle al muro. Subito dopo però, come rispondesse ad un istinto o una deformazione professionale, intuendo nella personalità di Clarise un passato di sofferenza i cui spiacevoli effetti sono ancora tutti da analizzare ed esorcizzare, decide di attuare verso di lei una sorta di torbida tutela dai suoi stessi antropofagi istinti, basata su di un unico cardine comunicativo: ‘quid pro quo’. Clarise deve cioè essere sincera con lui rispondendo alle domande sul suo passato perché lui possa ricostruirne, a suo compiacimento, il quadro psicologico; in cambio Hannibal le offre la sua collaborazione per permettere la cattura di ‘Buffalo Bill’, il curioso epiteto affibbiato nel frattempo al serial killer libero, il quale nell’ultima impresa ha fatto prigioniera la figlia di una nota deputata.

I colloqui fra il dottor Lecter e l’agente FBI diventano in pratica delle vere e proprie sedute di analisi e rappresentano naturalmente alcuni dei momenti di maggiore tensione e rilievo narrativo. Hannibal dimostra a Clarise già nei primi istanti del loro incontro una perspicacia ed intuito fuori dal comune e dopo aver valutato alcuni dati inequivocabili sulla figura della donna che siede di fronte a lui, l’apostrofa malamente con una sentenza senza appello: ‘Sai cosa mi sembri con la tua borsetta e le scarpette a buon prezzo? Una campagnola, un’energica campagnola ripulita con poco gusto’. La reazione stizzita e sorpresa della donna rivela che lo psichiatra ha però colto nel segno. D’altronde l’acutezza del criminale arriva a tal punto da rivelarsi persino capace di sentire attraverso le feritoie che dividono la cella dal corridoio esterno un profumo che Clarise usa a volte, ma che non ha assunto nell’occasione.

Quest’ultima però, anche se è ancora alle prime armi, ha comunque del talento e, nonostante sia decisamente turbata, non ha alcuna intenzione di fallire il suo compito e di farsi schiacciare dalla personalità diabolica di Hannibal, che pur la soverchia ampiamente per esperienza e fine ingegno ed in tale iniquo confronto egli le concede credito e rispetto, accettando una sfida il cui fine per lui è dimostrare ancora una volta la sua superiore genialità e consentire a lei di bruciare le tappe della carriera, aiutandola ad identificare ‘Buffalo Bill’. Seppure ad ogni incontro essi sono separati da robuste strutture che non permettono il minimo contatto (tranne quando, per un breve attimo, il dottor Lecter ha modo di toccare ed accarezzare persino un dito di Clarise, in una sequenza che contiene alcuni sottili ma evidenti accenni d’erotismo), con l’ovvio intento di evitare che il pericoloso cannibale possa fare un solo boccone dell’agente, non solo psicologicamente, in realtà lei non corre alcun pericolo perchè è come se avesse acquisito, nella mente disturbata di Hannibal, una sorta di immunità privilegiata. Della qual cosa è convinta la stessa Clarise, quando il dottor Lecter riesce a fuggire dal carcere e non ha il minimo dubbio sul fatto che possa tentare di rintracciarla, magari per soddisfare un’altra volta il suo malsano impulso. Clarise è diventata infatti nel frattempo per Hannibal non solo una scommessa ma anche il tramite con il mondo esterno che gli è oramai negato, la finestra per guardare fuori le mura del carcere che lui desidererebbe gli venisse concessa: lui è la mente che guida questo gioco perverso, lei il braccio che ha interesse a seguire i suoi suggerimenti, esaltandone contemporaneamente la sagacia e la superiorità intellettiva. D’altronde Hannibal mangiando le sue vittime svolge anche una funzione tribale, come certi indigeni antropofagi che uccidendo e cibandosi delle carni dei guerrieri nemici sono convinti di assumerne la forza, aumentando al contempo la loro gloria e prestigio nei confronti degli altri appartenenti lo stesso gruppo etnico. La sua non è un’esigenza nutrizionale, ma è un modo crudelmente pratico e sprezzante di liberare il mondo, a suo agire, da personaggi inutili e noiosi, semplicemente divorandoli.

Ed in questo percorso Il dottor Lecter guida ed istruisce Clarise come se fosse un’allieva, ponendole enigmi sempre più complessi riguardo le indagini sul serial killer che lei però riesce sempre a risolvere con acume, facendo tesoro delle indicazioni che proprio lui le ha impartito: ‘Prima regola, semplicità. Leggi Marco Aurelio, di ogni singola cosa chiedi che cos’è in sé, qual è la sua natura. Che cosa fa quest’uomo che cerchi? Uccidendo che bisogni soddisfa? Egli de-si-de-ra! Questo è nella sua natura. E come cominciamo a desiderare, Clarisse? Cerchiamo fuori le cose da desiderare? Il desiderio nasce da quello che osserviamo ogni giorno’.

Il suo opposto, un altro esempio dequalificante della razza umana, è l’arrivista e mediocre direttore del carcere, il dottor Chilton (Anthony Heald), che sfrutta ogni mezzo pur di farsi pubblicità verso i media con il caso di Hannibal, ottenendo in cambio tutto il suo disprezzo ed una lugubre e sottintesa promessa di invito a cena, qualora il dottor Lecter dovesse riuscire a tornare libero. L’unica battuta degna di nota del dottor Chilton, è quella che rivolge a Clarise mentre la conduce al primo colloquio con Hannibal: ‘Se dovesse essere di suo gusto, si fa per dire…’.

Il Silenzio Degli Innocenti in originale ha un titolo più enigmatico, ovvero The Silence Of The Lambs, nel quale il silenzio è rivolto agli agnelli e non genericamente a qualunque tipologia di innocenti. Si tratta in realtà di un’immagine che proviene dal sofferto passato di Clarise, allorchè da bambina, dopo aver perso prima la madre e poi il padre poliziotto, aveva assistito alla macellazione di alcuni di questi inermi animali ed era fuggita portandone via uno con sé, prima di essere ritrovata a vagare nei boschi, affamata ed infreddolita, dallo sceriffo di zona. Questo racconto, che arriva a conclusione di un ciclo di insistite e circostanziate domande che il dottor Lecter rivolge alla donna durante i loro colloqui e che lui conclude e sintetizza con ‘…ti svegli al buio e senti ancora il grido di quegli innocenti…’ sembra voler azzardare un parallelo fra l’indifferenza degli uomini in generale verso la sofferenza degli altri esseri che li circondano, che non appare in fondo meno atroce delle azioni cannibalesche perpetrate dallo stesso dottor Lecter, il quale in tal modo potrebbe apparire addirittura come una sorta di giustiziere.

Il film di Jonathan Demme a suo tempo ha destato sensazione, sia per l’argomento inusuale e spaventoso di fondo, che per l’interpretazione straordinaria di Anthony Hopkins, il quale ha dato anima ad un essere mostruosamente determinato e lucido che resta indelebilmente impresso nella memoria e permettendo a quest’opera, con una sorta di effetto domino, senza nulla togliere agli altri artefici, di vincere tutti gli Oscar più importanti di quella stagione: miglior film, regia, attore ed attrice protagonisti, sceneggiatura non originale.

Come quasi sempre avviene di fronte a personaggi di grande carisma, si finisce quasi per rimanerne conquistati. Jonathan Demme (autore poliedrico che in passato ha girato opere di diverso genere come Qualcosa di Travolgente, Una Vedova Allegra… Ma Non Troppo, Philadelphia e The Manchurian Candidate) come a voler sottolineare questo rischio, propone nel corso del film alcune sequenze di rara intensità emotiva e repulsione che vedono protagonista il dottor Lecter, affiancandole ad altre nelle quali la personalità diabolica dello psichiatra viene esaltata dall’interpretazione di Anthony Hopkins, con insistiti primi piani nei quali l’espressione e la malvagia risolutezza del personaggio sono di gran lunga più inquietanti delle stesse immagini di violenza che poi attua con indifferenza e piacere inumano. Avviene insomma nei suoi riguardi una sorta di complicità e, sotto traccia, una vergognosa ed inconfessabile sensazione di malcelata ammirazione, come nei confronti del teppista assassino Malcolm McDowell in Arancia Meccanica. Il male affascina, non è una scoperta di quest’opera.

Considerato da questo punto di vista l’orrore assume una forma diversa dal solito. Non ci sono zombi che tengano, né icone dell’immaginario spaventoso che abbiamo imparato a riconoscere in letteratura ed al cinema a reggere il confronto con la lucida rappresentazione di un serial killer come il dottor Lecter, al cui cospetto lo stesso ‘Buffalo Bill’ sembra un dilettante allo sbaraglio. Hannibal è così terrificante perché potrebbe essere chiunque, un parente, un vicino di casa o anche un estraneo incontrato per caso.

Il Silenzio Degli Innocenti non è un film statico, seppure fonda la sua forza motrice soprattutto nel duetto Hopkins-Foster. La sequenza della fuga ingegnosa di Hannibal che si conclude nell’ambulanza, dopo aver predisposto una vera e propria scenografia  infernale, con il poliziotto esposto come fosse in croce dopo averlo sventrato è impressionante; come pure tutta la sequenza di grande pathos che Clarise vive dentro la casa del serial killer che è riuscita a scoprire nel frattempo proprio grazie alle indicazioni del dottor Lecter, mentre il suo capo invece insegue ancora un falso bersaglio; tutti momenti questi di grande effetto spettacolare e thrilling.

Tratto da una serie di romanzi di Thomas Harris, Il Silenzio degli Innocenti racconta in realtà il quarto episodio della stessa in ordine sequenziale. Ad anticiparlo c’era stato nel 1986 Michael Mann con  Manhunter – Frammenti di un Omicidio, un’opera uscita in sordina riguardo la figura del dottor Lecter la quale, pur senza interpreti straordinari, era riuscita però ad ottenere per taluni critici e spettatori risultati ancora più convincenti della più celebrata opera di Jonathan Demme. A seguire, oltre a Red Dragon che è un remake dello stesso Manhunter, il sequel di Ridley Scott Hannibal con ancora protagonista Anthony Hopkins ma con Julianne Moore al posto di Jodie Foster ed infine il prequel Hannibal Lecter – Le origini Del Male di Paul Webber che risale addirittura alle origini dell’infanzia di Hannibal.

La domanda che sorge spontanea alla fine di Il Silenzio degli Innocenti è: cosa sarebbe stato questo film senza la forza dirompente che Anthony Hopkins dona al suo personaggio, unitamente alla prova maiuscola e coraggiosa, nel tentare di reggere il confronto, da parte della stessa Jodie Foster? Perchè il rischio in questi casi è quello di rimanere talmente abbagliati nel seguire la prova di questi due bravissimi interpreti da lasciarsi sfuggire sotto gli occhi anche i difetti che pur presenta quest’opera nel merito, pur degnamente diretta da Demme. La scena della fuga di Lecter è del tutto improbabile infatti nella dinamica. Passando sopra la facilità con la quale si libera delle manette, come potrebbe riuscire da solo ad innalzare il poliziotto al di sopra della gabbia nella quale Hannibal era rinchiuso, così che ai suoi colleghi che giungono sul posto appare come un angelo sventrato dallo stesso demonio dentro uno straniante gioco di luci ed ombre? E come potrebbe riuscire a procurarsi una maschera facciale con la pelle stessa dell’altro poliziotto senza che il suo collega che lo assiste da vicino, essendosi accorto che è ancora vivo, possa rendersi conto, pur vedendolo orrendamente mutilato, che Hannibal si è sostituito ad esso? Il tutto, seppure indubbiamente evocativo, sembra però finalizzato ad ottenere il massimo effetto nella scena successiva sull’ambulanza quando, togliendosi l’orrida maschera umana, come neppure Diabolik a suo tempo sarebbe riuscito a simulare con tanta maestria, Hannibal si alza a mezzo busto sulla lettiga, alle spalle dell’unico medico che è lì ad assisterlo (anche questo particolare è discutibile) e che è distratto da una conversazione telefonica, per realizzare un involontario momento nel quale horror e comico sono innaturalmente mescolati fra loro. Insomma il limite di un film del genere è nella differenza che intercorre fra le esigenze dello spettacolo, per quanto formalmente affascinante ed intrigante e la verosimiglianza degli eventi che mostra, fondamentale per non perdere l’aggancio con la plausibilità e la realtà, evitando che gli stessi contenuti possano essere a loro volta compromessi sull’altare del colpo scenico ad effetto.

Non sfugge infine un’ambiguità di fondo, voluta o meno che sia, che risulta evidente proprio nel finale, quando Clarise, dopo aver ottenuto la promozione alla quale è potuta arrivare grazie all’aiuto decisivo di Hannibal, riceve poco dopo con perfetto tempismo (troppo) una sua telefonata durante la quale, nel breve spazio di tempo concesso, lo scambio di battute fra i due, compresa quella famosa frase citata all’inizio, sembra permeato da una inconfessabile nostalgia, per non andare anche oltre, che ha superato tutte le precedenti barriere che vedevano contrapposti i due protagonisti. Durante il loro primo incontro Hannibal aveva chiesto a Clarise se aveva mai pensato che Jack, il suo capo, potesse ambire ad avere una relazione con lei. La sua risposta era stata che non l’aveva mai considerato in quella prospettiva. Vuoi vedere infine che una ‘liaison dangerouse’ sia nata, magari in maniera ancora latente, proprio fra chi non ci si aspetterebbe mai? 

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Voto degli utenti: 9,2/10 in media su 17 voti.

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dalvans (ha votato 10 questo film) alle 14:42 del 26 ottobre 2011 ha scritto:

Inquietante

Il primo capolavoro di Jonathan Demme

Sydney (ha votato 9 questo film) alle 19:00 del 26 ottobre 2011 ha scritto:

Jodie Foster e Anthony Hopkins PERFETTI e insuperabili. Film enorme, superiore a Man Hunter di Mann e, chiaramente, superiore a tutti i vari capitoli successivi. Il Silenzio degli Innocenti è IL film sul dottor Lecter. Angoscioso, malato, psicologicamente devastante. Un film quasi epocale direi, per certi versi. Anzi senza quasi. Per Demme un duo mica male questo col successivo Philadelphia...

Sydney (ha votato 9 questo film) alle 19:04 del 26 ottobre 2011 ha scritto:

recensione sicuramente più che ottima ma torrenziale

maupes, autore, alle 10:40 del 27 ottobre 2011 ha scritto:

Grazie Sydney, accetto la discreta critica sulla lunghezza del testo e cercherò di farne tesoro. La sintesi evidentemente non è una mia prerogativa ma mettici la passione, mettici la volontà ogni volta di dire tutto quello che mi sembra sia necessario, ecco che poi spesso il risultato è un testo di lunghezza al di sopra della media. Quando scrivo una recensione d'altronde non penso mai agli esperti come te, per i quali bastano anche poche note, estrapolate dallo stesso lungo testo, perchè possano ricavarne già un quadro preciso dell'opera, ma a chi di quel film magari ne sa poco o nulla ed allora tento di fornirgliene una visione completa. Chiaro che il rischio è che lo stesso ipotetico lettore poi non mi legga comunque proprio per via della lunghezza del testo, ma la coperta in queste cose rischia di essere sempre troppo corta, in un senso o nell'altro. Grazie ancora comunque per la franchezza e ciao

P.S.= Son riuscito ad essere lungo anche in questa risposta: sono incurabile, temo....

Marco_Biasio (ha votato 9 questo film) alle 20:49 del 5 novembre 2011 ha scritto:

Spettacolare il film ed il recensore.

ffhgui (ha votato 10 questo film) alle 16:52 del 16 novembre 2011 ha scritto:

Capolavoro. Uno dei migliori Thriller-Polizieschi di sempre. Demme qui gira il suo capolavoro (neanche con il pur bellissimo "Philadelphia" raggiungerà questi livelli, ne li aveva mai raggiunti neanche lontanamente in precedenza). Hopkins immenso, Foster eccezionale, Levine ottimo.

swansong (ha votato 9 questo film) alle 12:23 del 30 novembre 2011 ha scritto:

Film straordinario, ma gli preferisco, d'un nulla, Manhunter di Mann...