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5/10

The Hole in 3D regia di Joe Dante

Fantasy
recensione di Maurizio Pessione

Una donna ed i suoi due figli, uno adolescente e l’altro più piccolo, hanno cambiato casa per l’ennesima volta al fine di far perdere le tracce al loro padre il quale, seppure rinchiuso in galera, dopo averli terrorizzati e malmenati a lungo in passato, non perde occasione per tormentarli ancora. Nella cantina della nuova casa c’è una strana botola chiusa da vari lucchetti che i ragazzi, aiutati da una coetanea del più grande fra i due, loro vicina di casa, non resistono alla tentazione di aprire, scoprendo che nasconde un grande buco, completamente buio ed apparentemente senza fondo. Da quel momento la loro vita subisce un brusco cambiamento perché da quell’antro sembra che siano state liberate inquietanti presenze demoniache che affondano le radici negli incubi manifesti o inconfessabili degli stessi tre ragazzi.

La nota massima sugli scheletri nell’armadio che riguarda chi ha segreti imbarazzanti da non rendere pubblici, trova ora una nuova e più moderna versione in The Hole. Più moderna perché in questo caso c’è anche la novità del 3D a dare un’ulteriore dimensione alla tensione, alla paura ed alla stessa metafora.

Dopo tre anni di assenza dietro la macchina da presa Joe Dante, autore fra l’altro dell’interessante L’Ululato, il più noto Gremlins, il fantascientifico Salto Nel Buio ed il terrifico Piranha, si è ripresentato nel 2009 con un nuovo film horror-teenager.  Niente a che vedere però con i buchi neri dello spazio profondo, ma molto invece con la nostra mente, i cui abissi possono essere ancora più vasti e sconosciuti.

Nathan e Chris sono due giovani fratelli, il primo è un bambino ed il secondo un adolescente, che si sono trasferiti per l’ennesima volta al seguito della madre Teri in una nuova casa. In realtà lei cerca in tutti i modi di renderli irreperibili per il loro padre, un farabutto ora in galera, che li ha più volte malmenati e spaventati, trasformando la loro infanzia in un incubo. Nathan da allora ha sviluppato una fobia per i pupazzi di peluche con sembianze impressionanti, mentre Chris sembra apparentemente più coraggioso ma in realtà cerca solo di tenere nascoste agli occhi degli altri le sue ansie, i rancori ed i blocchi psicologici nei confronti della stessa madre e degli uomini adulti che potrebbero somigliare a suo padre.

La nuova casa non è male e, piacevole sorpresa per Chris, in quella di fianco ci abita Haley, una sua coetanea molto carina e socievole la quale, grazie all’intraprendenza di Nathan, ben presto diventa loro amica e compagna inseparabile. La scuola deve ancora iniziare, i genitori li lasciano spesso soli in casa ed il tempo da impiegare per non annoiarsi è tanto. Nel sottoscala della nuova casa trovano nascosta sotto un tappeto una misteriosa botola chiusa da ben otto lucchetti. La curiosità è troppo forte per i ragazzi i quali,  trovate le chiavi per aprirla, scoprono però che dà accesso soltanto ad un buco immenso e completamente buio. Facendo cadere alcuni oggetti pesanti dentro di essa non si sente infatti il tipico rumore della caduta sul fondo e calandone altri legati ad una fune o una canna da pesca vengono strappati, come fossero azzannati da terribili squali silenziosi, mentre in compenso risale in superficie un vapore gelido che pare provenire direttamente dalle viscere della terra. Ci provano allora anche con una videocamera ma, proprio mentre stanno rivedendo il filmato in TV ed appaiono in primo piano un paio di occhi sinistri, all’arrivo improvviso della madre i ragazzi sono costretti a spegnere l’apparecchio, volendole nascondere per il momento la stupefacente scoperta e perdendo quindi questa fondamentale sequenza sullo schermo. Ce n’è abbastanza insomma per richiudere la botola ma i lucchetti sono spariti nel frattempo e nonostante cerchino di bloccarla persino con dei lunghi chiodi è come se aprendola avessero risvegliato vecchi malefìci ed orride figure rimaste latenti e rinchiuse per lungo tempo. Anche Haley infatti ha il suo bello scheletro, si fa per dire, che alimenta il buco nero: quand’era bambina la sua amica del cuore era precipitata da un’alta struttura del Luna Park e lei non era stata capace di aiutarla. Da allora non l’ha mai lasciata il rimorso che torna a galla anche nell’occasione.

Le apparizioni di strani e macabri personaggi si moltiplicano e diventano via via più sorprendenti ed inquietanti. I tre ragazzi sono sempre incredibilmente soli in tali circostanze poiché la madre dei due fratelli è spesso fuori casa per lavoro ed i genitori della ragazza addirittura sono inesistenti. La sceneggiatura di Mark L. Smith è troppo reticente al riguardo, seppure c’è da supporre che il regista Joe Dante volesse sottolineare che si tratta, per i tre giovani, di ossessioni interiori per le quali sono maturi oramai i tempi per provare a risolverle per loro conto. Ovviamente in tale contesto i riferimenti sono quasi scontati: da The Ring di Gore Verbinski riguardo la bambina, a Fog di John Carpenter per le nebbie malefiche, tanto per citarne un paio, con gli effetti speciali a svolgere un ruolo trainante. Il tutto costruito su una base narrativa che punta a soddisfare innanzitutto il pubblico dei teenager con tutte le convenzioni, i dialoghi banali e le situazioni paradossali di quel sottogenere che qualcuno potrebbe commentare dicendo che tutto ciò può accadere solo in un film. Curiosamente, il riferimento in tal caso non è agli eventi sovrannaturali che avvengono nel corso della trama, quanto semmai alle reazioni ed i dialoghi fra i protagonisti che spesso sono decisamente inappropriati, inattendibili ed incredibili.

The Hole in 3D è un’opera costantemente in bilico fra un horror dai toni propri del genere ed una leggera, superficiale e semplicistica commedia giovanilistica. L’indecisione di Joe Dante in tal senso rende il film esplicitamente contradditorio, non solo nei risultati ma anche nelle scelte narrative. Si passa da situazioni al limite del risibile, come quando, ad esempio, Nathan viene più volte lasciato solo, in casa e persino in giardino di notte, alla mercè dei suoi incubi e delle strane figure che anche Chris e Haley hanno visto con i loro occhi e delle quali oramai conoscono la pericolosità, a quella nella quale Chris si reca da solo, di notte naturalmente, nella vecchia fabbrica per recuperare il suo block-notes, come fosse un oggetto d’inestimabile valore, dimenticato nella strana abitazione dalle mille luci accese dell’ex inquilino della casa dove abita, un pazzoide Bruce Dern che appare e scompare nella storia come una meteora. Neppure il più ingenuo e tollerante adolescente potrebbe dar credito infine all’eventualità che Haley, a letto, nel profondo della notte e poco prima che la luce si spenga improvvisamente materializzando una visione angosciosa, possa dedicarsi alla lettura de ‘La Divina Commedia’, almeno a leggere il titolo della copertina persino in lingua italiana, se non supporre uno spericolato doppio senso sulla celeberrima ‘selva oscura’ nella quale lei ed i suoi amici si sono ritrovati nel frattempo.

La parte finale invece riscatta decisamente il film laddove Joe Dante lascia andare finalmente il freno a mano tirato sin lì, per così dire e realizza una lunga sequenza nella quale la scenografia di Brentan Harron si esalta in immagini ed effetti suggestivi che ricordano addirittura Hitchcock nella sequenza visionaria di Io Ti Salverò con i famosi disegni di Salvador Dalì, oppure alcune copertine dei dischi di  Roger Dean che hanno contribuito a rendere celebri numerosi LP degli anni settanta di gruppi rock come gli Yes, Uriah Heep e Gentle Giant.

La scelta della tecnologia 3D nell’occasione è funzionale alle scene, in particolare l’ultima citata, ma testimonia anche il target chiaramente commerciale del pubblico al quale il film è destinato. The Hole mira in sostanza ad accontentare il più largo spettro di spettatori: da quello che ama le atmosfere dark, noir e barocche senza però mai calcare troppo la mano con personaggi e scene violente, ai ragazzi che nell’arcano della storia, vista come allegoria delle paure e dei traumi infantili, possono facilmente trovare modelli per riconoscersi nei tre protagonisti. La sensazione però è che così facendo Joe Dante finisca per scontentare tutti, quando invece, se avesse sviluppato con maggiore decisione e coraggio la parte psicologica ed angosciante della storia, avrebbe potuto ottenere risultati più convincenti, pur chiudendo inevitabilmente la forbice degli spettatori destinatari. Forse, però, proprio quello che il regista e la produzione non potevano o non volevano che avvenisse per ovvie ragioni di cassetta. 

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