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7/10

Top Gun (3D) regia di Tony Scott

Azione
recensione di Fabio Secchi Frau

Sono passati 30 anni da quando Top Gun, l'inossidabile cult di Tony Scott, ha conquistato gli spettatori di tutto il mondo diventando subito un classico dei giorni nostri. Per festeggiare, dal 26 al 28 settembre QMI/Stardust riporta al cinema in una nuova versione 3d il film che ha lanciato un giovanissimo Tom Cruise - nei panni del pilota Pete "Maverick" Mitchell - nell'olimpo di Hollywood. Un'occasione unica per rivivere sul grande schermo l'avventura che ha popolato l'immaginario di intere generazioni, sulle note di una colonna sonora memorabile che per settimane ha occupato le prime posizioni in classifica su Billboard.

   Si potrebbero dire tante cose su Top Gun, ma molte di queste i suoi produttori, Jerry Bruckheimer e il defunto e “disinvolto” Don Simpson, le lessero già quando il film uscì. Quindi, mi limiterò a dire quelle basilari e ormai storiche, di fronte alla sua nuova uscita in 3D.

  Culturalmente, è un tipo di pellicola di fronte alla quale il pubblico si comporta come davanti a un altare. Ci si inginocchia per la magnificenza cult da cinema degli Anni Ottanta, per il moderno action movie e per uno dei più grandi blockbuster di quel decennio (fu il maggiore incasso del 1986 con 353.000.000 dollari in tutto il mondo). La Sacra Trinità dell’Industria Cinematografica Americana, insomma. Ma oggi, noi sappiamo che, dietro questa cavalcata aerea ormai retrò, c’è un film di propaganda reaganiana e di reclutamento della Marina statunitense. Con il Pentagono che volle prima dare l’approvazione dello script, modificando le cause di morte di Goose perché gettavano troppe ombre sulla buona funzionalità dei loro aerei. Con la US Navy che istituì cabine di reclutamento proprio nelle principali sale cinematografiche, per cercare di catturare quegli adrenalinici ragazzi che uscivano gasati dalle proiezioni. Con la Paramount che propose addirittura di includere un annuncio di arruolamento nei marines per l’edizione home video, in cambio degli addebiti dovuti per la sua collaborazione militare alla realizzazione della pellicola (proposta poi bocciata dal Pentagono, perché il film stesso era già abbastanza strumento di leva e un annuncio ufficiale sarebbe stato ridondante).

  Ecco, tutto questo è Storia. Così come è Storia anche la nascita della sua sceneggiatura, ispirata da un articolo sulla scuola di Top Gun della US Navy della rivista CALIFORNIA. E per l’appunto, sbarazziamoci di questo primo sassolino: lo script! Lo contraddistinguono esplicite inesattezze meccaniche e tecniche, che ai tempi avevano suscitato tante critiche negli appassionati di aerei militari. Ma certe analisi sono solitamente poco incisive nel giudizio di un film e troppo minuziose per essere palesi allo spettatore medio. Quindi, Top Gun andrebbe giudicato per quello che è. Possiamo dire pertanto che, malgrado un inizio promettente, il blockbuster ci mette poco a diventare il solito rumoroso e testosteronico action con aerei, guerre ed esplosioni… e niente, assolutamente niente, più di questo!

  La storia ha come protagonista un prodigio arrogante dell’aviazione. Uno che non è così buono e sensibile come vogliono farci credere, uno che è forse il peggior migliore amico che qualcuno possa avere, uno che ha un interesse sentimentale per una donna (anche se la liason sembra parecchio confusa) e che ha una nemesi a lavoro. Poi abbiamo cinque o sei battute molto fighe, una scena di morte emotivamente dura da superare e una di euforica vittoria e, naturalmente, alcune sequenze d’azione indimenticabili.

  Che altro potevano chiedere un bambino e un adolescente negli Anni Ottanta? Nulla più di questo!

  Gli sceneggiatori Jim Cash e Jack Epps Jr. lo sapevano e sapevano spingere i tasti giusti.

  La formula è, infatti, puramente hollywoodiana, talmente antica ed eseguita tante di quelle volte da essere ormai consumata. Ne consegue che il posto d’onore nello sviluppo narrativo è occupato prettamente dal volo, con i suoi combattimenti convincenti e drammatici, ben inquadrati in quel senso di fascino che suscita l’arte mortale e moderna della guerra. Tuttavia, mi duole informarvi che le sequenze da combattimento non fanno un film. Pertanto, la trama ha occasionali ma enormi problemi. È zuppa di terribile e fiero patriottismo che rende pesante la deglutizione auditiva e visiva. La linea narrativa che intercorre tra Viper e Maverick è l’apice della noia. Alcune parti, come la scena della partita di pallavolo (oggi un vero classico), sono emotivamente e intellettualmente senza vita e così pure interi passaggi che non sembrano nulla di più che videoclip musicali dilatati.

  Parte della colpa, però, è anche della regia e del montaggio. Dopo aver assunto il regista inglese Tony Scott per dirigere il film (volevano John Carpenter e David Cronenberg, ma entrambi si rifiutarono con una sonora risata e così scelsero l’autore di un famoso spot in cui correvano una macchina da corsa e un jet), Simpson e Bruckheimer assunsero Chris Lebenzon e Billy Weber per montarlo. Queste due menti scelsero di farlo sotto il segno delle musica, prediligendo immagini fortemente stilizzate che si combinavano fra loro per produrre una sensazione di continua attesa ed eccitazione, trasformando però la pellicola in una campagna pubblicitaria.

  Bastano i primi 15 minuti del film per capire che volare sugli aerei da caccia è emozionante e affascinante, che se anche rischi la vita nei cieli puoi comunque avere un machissimo sense of humour, che i piloti sono fighi, che se un aereo cade sei morto o sei un uomo distrutto.

  Così, mentre i ragazzi hanno scene incredibili in cui esclamano “Togo!”, le ragazze hanno Tom Cruise, ignorando però i simbolismi omoerotici (eh sì, perché Top Gun, secondo alcuni espertoni di cinema come Tarantino, sarebbe carico di palesi metafore omosessuali).

  Ma torniamo a Tom Cruise, a quel Maverick che lui descrisse come “il personaggio più importante della mia vita”. Un ruolo per il quale venne coinvolto fin dalle prime fasi di pre-produzione, con tanto di collaborazione alla sceneggiatura. Languido, sbalorditivo, impetuoso, imprevedibile ed emozionante, l'attore ha il merito di aggiungere profondità (e un impertinente sorriso) a un film superficiale. In tanti hanno rifiutato però questo ruolo: Matthew Modine (perché contestava la politica della guerra fredda), Patrick Swayze, Emilio Estevez, Nicolas Cage, John Cusack, Matthew Broderick, Sean Penn, Michael J. Fox, Scott Baio, Tom Hanks (a tutti loro non piaceva il ruolo, dissero che era scritto troppo male), Charlie Sheen (venne considerato troppo giovane, poi lo parodiò nel demenziale Hot Shots!), Jim Carrey, Rob Lowe, Kevin Bacon, Eric Stoltz, Rober Downey Jr. e addirittura John Travolta (che chiese però troppi soldi). Alla fine, alla luce del successo di Risky Business, venne scelto Cruise che cementò il suo personaggio di lupo solitario, sedendosi lontano dal resto del cast e non socializzando con Val Kilmer.

  Kilmer che non avrebbe voluto essere in questo film, ma che fu costretto da obblighi contrattuali a vestire (male) i panni di Iceman.

  Come partner femminile venne invece scelta Kelly McGillis, reduce da Witness – Il testimone, alla quale fu imposto di recitare scalza tutte le scene con il protagonista perché bassissimo al suo confronto. La McGillis, grande sorpresa di questo titolo, ha un ruolo ispirato all’istruttrice di volo civile Christine Fox, che aiutò i produttori nelle opportune ricerche da fare per prepararsi al film. Anche in questo caso, assegnazione piena di tribolazioni. La sua Charlie venne offerta a Brooke Shields, Debra Winger, Tatum O’Neal, Jodie Foster, Daryl Hannah, Diane Lane, Sarah Jessica Parker, Carrie Fisher e Linda Fiorentino (che rifiutò perché il film glorificava la guerra), ma tutte la respinsero.

 

  Come avrete capito, un cast dalla difficile composizione. Stessa solfa per la colonna sonora con iI gran rifiuto di Bruce Springsteen che non volle assolutamente che la sua Born in the USA venisse usata per un film del genere. Alla fine, a farla da padroni furono i Berlin, Giorgio Moroder e la loro Take My Breath Away (originariamente presa in considerazione per la colonna sonora di settimane e ½) e che poi vinse l’Oscar per la miglior canzone.

  Non mancò un incidente mortale sul set, quando un pilota acrobatico perì durante l’esecuzione di una ripresa aerea sopra l’Oceano Pacifico per una causa che non è ancora oggi determinata (né mai lo sarà perché il suo velivolo e il suo corpo non vennero mai recuperati).

  Nonostante tutto questo, il film ebbe un successo enorme, tanto da dare l’input per un sequel che non venne mai realizzato perché la tecnologia dell’aeronautica era stata aggiornata (tanto da diventare Top Secret più che Top Gun) e perché Tom Cruise chiese di essere pagato una cifra che venne definita “insostenibile” dai produttori.

  Ma oggi, Top Gun torna nelle sale con un 3D che ne esalta l’alta qualità e l’impatto visivo, soprattutto nelle scene di combattimento coreografate in maniera eccellente e fotografate da uno spettacolare Jeffrey L. Kimball. Ancora una volta si impone come un film amato e odiato da molti con la stessa intensità. Personalmente, sono dell’opinione che andrebbe visto un sabato notte, seduti su una comoda poltrona, con una Peroni in mano e un pacco di patatine tra le gambe. Perché se siete alla ricerca di una scrittura intelligente o di un film che provocherà la vostra attività di pensiero, sappiate che non è per voi. È un film che ha come unico obiettivo quello di intrattenere ed è adatto a tutti coloro che desiderano spegnere il cervello e godere di un caro vecchio buon film di una volta.

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