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9/10

The Grey regia di Joe Carnahan

Drammatico
recensione di Marco Aldrighi

Un gruppo di operai di una centrale petrolifera dell’Alaska si ritrova disperso, dopo un tragico incidente aereo, fra le montagna innevate del Nord. Sprovvisti di scorte alimentari e minacciati dal freddo, diventeranno ben presto facili prede di un branco di lupi.

 

Robinson Crusoe incontra Leopardi. Cinema classico mischiato a poesia. 

Dopo la fortunata parentesi action, Liam Neeson ritorna in un film di Joe Carnahan, prodotto dai fratelli Scott e ispirato ad un racconto del noto autore Ian Mackenzie Jeffers.

La trama ricorderà vagamente, ai cultori del genere, film quali Alive (non a caso citato all’interno della pellicola) e Cast Away, prodotti non del tutto riusciti e tranquillamente trascurabili. Ma non ci si lasci trarre in inganno. Per quanto questo The Grey conservi per tutta la sua durata un’impronta survival-thriller, se ne discosta per scelte stilistiche in ben più di un’occasione, preferendo una struttura maggiormente intimista e psicologica.

Neeson interpreta un uomo di nome Ottway, un cacciatore di lupi stipendiato dalla compagnia petrolifera. Già dalle prime scene ci appare chiaro che non si tratta del tipico eroe impavido e pronto a tutto, stile Indiana Jones o Willis, quanto più di un uomo, in tutta la vastità che tale nome lo rappresenta. Un marito, un’anima frammentata, inadatta al vivere comunitario, maledetta e destinata a soccombere sotto il peso del proprio dolore. Si ritroverà inevitabilmente a capeggiare il gruppo, composto per lo più da ex-galeotti e delinquenti, aiutandoli ad affrontare la minaccia con le uniche conoscenze di cui dispone. Ma Ottway non è un leader. La sua è una marcia da dannato, laconica, lenta, spaventata. Appare quindi più come un amico, un compagno, un ombra la cui immagine trova riflesso solo negli occhi minacciosi e affamati delle creature predatrici.

“Ancora una volta nella mischia. Nell’ultima vera battaglia che affronterò. Vivere e morire in questo giorno. Vivere e morire in questo giorno”. Con questi versi si inaugura il punto focale dell’intero film che riporta l’intera vicenda sotto una prospettiva tutta nuova. Se infatti nella prima parte Carnahan indugia maggiormente sui particolari truculenti e orrorifici della vicenda, nella seconda parte offre ampio spazio alle riflessioni del gruppo di fronte all’imminente prova che li aspetta, regalandoci così scene di rara intensità emotiva (vedi il dialogo intorno al fuoco nella foresta) e cruciali per svelare la vera identità del film. I sopravvissuti, ridotti ad uno stadio primitivo, altamente primordiale, si ritrovano inconsapevolmente a ripercorre i passi evolutivi del genere umano. Attraverso la lotta tutta fisica, brutale, con un dominatore, un cacciatore, quale è il lupo, i protagonisti si fanno carichi dei ricordi delle vite a cui si sono sottratti, si interrogano sulla verità della fede e urlano contro un Dio che non può rispondere.                                                                                                                                         

Riascoltando i versi sopra citati appare ancor più chiaro l’elemento predestinatorio che caratterizza il personaggio di Ottway. Il viaggio in Alaska, l’incidente erano tutti eventi necessari affinché il suo passato e il suo futuro potessero compiersi, trovando verità nelle parole scritte dal padre diversi anni prima. È attraverso esse che Ottway risponderà alla terribile assenza obbligata della moglie sperimentando il vivere e il morire come parti inscindibili della stessa strofa, della stessa sinfonia. E per quanto gli spettatori più superficiali insisteranno nel voler individuare una rimarcata componente atea alla base del film, la vera anima di The Grey sta nel domandarsi, nel porsi sotto un interrogativo, senza escludere o aggiungere nulla. Anzi, a voler essere pignoli, i continui riferimenti alla voce della moglie defunta, alla ritualità delle sue parole (“Non aver paura”) e la presenza di certe esortazioni (vedi l’ “aspettami” del primo defunto) sembrano voler riportare il tutto su un discorso di fede, sul piano di un Creatore silenzioso, che ha condiviso con noi il dono più grande, quello della vita, e quello della morte, nella loro infinita complicità e ciclicità. Il nostro essere terminali è parte della nostra naturale pulsione di vita, senza esso non saremmo desiderio, curiosità… amore.

Insomma, alla summa di tutto ciò che è stato detto vi sta il fatto che The Grey sia una delle migliori sorprese del 2012, un film che trova una perfetta coesione poetica e che riprende l’uomo per quello che è, istinto e infinito.

Capolavoro.

 

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 3 voti.
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Alessio Colangelo (ha votato 3 questo film) alle 9:50 del 30 dicembre 2012 ha scritto:

Completamente in disaccordo con la recesione. Per me questo film non vale molto. Noioso, girato assai malaccio con primi piani troppo enfatici. La recitazione di Neeson non all' altezza. Errori di documentazione sul comportamento dei lupi che in questo film sembravano mannari. Io non scommetterei su Carnahan per un film cosi, meglio Werner Herzog (Grizzly Man).