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8/10

Jules e Jim regia di François Truffaut

Sentimentale
recensione di Maurizio Pessione

Jules e Jim sono due amici che a Parigi dividono la comune passione per la poesia e l’arte. Jules è austriaco e Jim è francese. Quest’ultimo è molto abile anche con le donne, mentre Jules, meno esperto, spesso ne resta deluso. Quando incontrano Catherine per Jules è un colpo di fulmine e Jim, pur affascinato dalla sua avvenenza, si fa da parte per favorire l’amico. La prima guerra mondiale li vede su opposti fronti, ma senza gravi conseguenze. Alla fine del conflitto si ritrovano in uno chalet in Austria dove Jules e Catherine si sono sposati ed hanno avuto una bambina. Catherine però è una donna contradditoria ed interiormente travagliata. Jim li ritrova come separati in casa e per nulla scoraggiato da Jules non nasconde allora i suoi sentimenti a Catherine. La loro intesa non guasta i rapporti fra i due amici. Jules ancora profondamente innamorato di Catherine si rassegna al ruolo di comprimario preferendo l’amico ad un estraneo. Jim e Catherine desiderano avere un figlio ma le difficoltà di lei a restare incinta consigliano ai due di dividersi  per un periodo di riflessione. Jim al ritorno a Parigi torna fra le braccia di Gilberte, più tranquilla, paziente ed affidabile di Catherine e quando quest’ultima lo tempesta di lettere comunicandogli che è infine rimasta incinta, Jim non è convinto che sia suo il figlio, essendo stata lei nel frattempo tutt’altro che fedele. Per chiarire definitivamente la situazione torna allo chalet in Austria dove Catherine lo minaccia. Uscita un pomeriggio con l’auto assieme a Jules, Catherine approfitta di un momento di distrazione di quest'ultimo per isolarsi con Jim e conduce l’auto su di un ponte interrotto a metà lasciando che precipiti deliberatamente dentro il fiume dove lei e Jim trovano la morte.

M’hai detto ti amo, ti dissi aspetta. Stavo per dirti eccomi, tu m’hai detto vattene…’ È la frase di apertura del film, pronunciata fuori campo, che lascia intendere i tempi asincroni di una coppia. Prima è lui che si dichiara e lei è titubante, poi si convince ma è troppo tardi perché lui nel frattempo ha cambiato idea. C’entra molto ovviamente con l’assunto del film, uno dei più noti di Francois Truffaut, che è diventato in seguito specialista di opere nelle quali l’irrazionalità e l’inarrestabilità dell’amore hanno un ruolo fondamentale nei rapporti di relazione.

Regista di grande sensibilità e romanticismo, Truffaut è uno dei cardini del movimento cosiddetto della ‘Nouvelle Vague’ che in Francia alla fine degli anni ’50 ruppe il conformismo e conservazionismo imperante della cinematografia nazionale per intraprendere una nuova creatività artistica, spesso povera di mezzi ma ricca di ispirazione, fondata su una rappresentazione realistica della società, se necessario trasgressiva anche nei costumi. Massimi rappresentanti di questo movimento furono Jean-Luc Godard, Eric Rohmer, Claude Chabrol, Jacques Rivette e, appunto, Francois Truffaut. I ‘Cahiers du Cinema’ fu la scuola presso la quale questi autori si formarono, dapprima come brillanti recensori di film altrui, quindi come partecipanti appassionati di tavole rotonde attorno alle quali lanciare nuove idee e discussioni sul ruolo del cinema, infine come autori e registi in prima persona. Una sorta di apprendistato estroso e fecondo grazie al quale quella rivista divenne per gli addetti ai lavori ed i cinefili di allora, e poi per molto tempo a seguire, un punto di riferimento.

Si diceva della trasgressione. La frase citata all’inizio non è che poi contenga tratti di particolare anticonformistico, se non fosse che già il titolo dell’opera contiene una contraddizione in termini: Jules e Jim non sono un uomo e una donna come si potrebbe forse erroneamente supporre equivocando due nomi per noi stranieri, bensì due uomini, amici per giunta. La donna che appare in locandina è invece Catherine, la quale sposa Jules e in seguito diventa l’amante di Jim. Siamo di fronte ad un altro classico triangolo che prelude ad una conclusione violenta per placare l’orgoglio ferito di qualcuno dei protagonisti? Macchè, la differenza sostanziale in questo caso sta nel fatto che quando Catherine diventa l’amante di Jim, il suo amico Jules, pur profondamente innamorato di lei e dalla quale ha avuto anche una splendida bambina, per non perderla accetta l’anomala situazione e persino il fatto che i due cerchino di completare la loro unione con il proposito di avere a loro volta un figlio. I suoi rapporti con Jim non vengono infatti intaccati dalla nuova realtà ma restano improntati alla più sincera amicizia. Siamo nell’anno di grazia 1962 ed una storia del genere, anche ai nostri giorni non passerebbe di certo inosservata, provocando come minimo ironia in qualcuno, se non scandalo e critiche a non finire da parte dei tradizionalisti, figurarsi a quel tempo.

Aggiungiamo infine, per completare il quadro narrativo, che la vicenda non è di fantasia ma è tratta da un romanzo autobiografico dello scrittore francese Henri-Pierre Rochè che si discosta dal film solo nella parte conclusiva.

Niente è banale e convenzionale in questa vicenda, come si sarà inteso e nulla è facile anche se apparentemente sembra il contrario. Jules è austriaco e Jim è francese ma vivono entrambi a Parigi. Essi diventano amici per… affinità elettive, parafrasando un celebre libro di Goethe, grazie a lunghe discussioni riguardo la poesia e l’arte. Essendo giovani e piacenti le donne rappresentano il loro terzo polo aggregativo, ma mentre Jim è spigliato e concreto con esse, Jules invece è timido, imbranato ed anche un po’ ingenuo e quindi non di rado resta deluso e scottato. Un giorno appare Catherine, giovane, bella e con lo stesso sorriso di una dea dell’antica Grecia che si trova in un’isola dell’Adriatico e per Jules è il classico colpo di fulmine. Jim non è da meno affascinato, ma generosamente si fa da parte quando capisce che l’amico ha intenzioni serie con lei ed ha addirittura l’intenzione di sposarla.

La Prima Guerra Mondiale pone i due amici in campi contrapposti. Jules e Catherine si trasferiscono in Austria e mentre i due uomini sono al fronte temono reciprocamente l’eventualità remota, ma non escludibile a priori, di spararsi contro ed uccidersi in trincea. Al termine della guerra, dopo il lungo silenzio obbligato, i tre si ricongiungono nello chalet in Austria, ma il quadro che Jim trova davanti a sé non è quello che si aspettava. I rapporti fra Jules e Catherine si sono guastati nel frattempo, lei è già fuggita una volta per seguire Albert, un amante conosciuto nella locanda lì vicino, ma quando è tornata Jules l’ha perdonata, essendo ancora profondamente innamorato di lei. Catherine è una donna incostante ed incoerente che mal s’adatta alla vita ordinaria ed essendo dotata di appeal non comune senza che si preoccupi di nasconderlo è inevitabile che sia corteggiata. Jim rivedendola capisce di non essere rimasto insensibile al suo fascino e, considerata la situazione, ritiene sia arrivato il momento di rivelarle i suoi sentimenti. Jules anziché reagire malamente accetta di buon grado questo ribaltamento di posizioni, avendo come obiettivo quello di non perdere Catherine e preferendo saperla fra le braccia dell’amico piuttosto che lontana con un estraneo. Dopo un iniziale imbarazzo reciproco il rapporto fra Jules e Jim si rinsalda addirittura, proprio alla luce delle circostanze. La nuova coppia, come si diceva, decide allora di coronare la sua intesa con un figlio ma le sopraggiunte difficoltà di Catherine a restare incinta frustrano il loro rapporto al punto che decidono di separarsi per un periodo di riflessione.

Jim a Parigi da tempo ha una relazione saltuaria ma intensa con Gilberte (Vanna Urbino), molto tollerante nei suoi confronti e sicuramente più paziente ed affidabile di Catherine. Nei numerosi scambi epistolari con quest’ultima egli viene a sapere che è infine rimasta incinta ma essendo venuto a conoscenza dei rapporti occasionali con altri uomini avuti da lei nel frattempo, Jim dubita di essere veramente lui il padre. Anche Jules, schierato come sempre dalla parte di Catherine, lo riprende duramente perché si faccia carico delle sue responsabilità. Jim allora decide di affrontare la situazione direttamente e raggiunge ancora la coppia nello chalet in Austria, giusto per comunicare a Catherine che ha preso la definitiva decisione di sposare Gilberte. La reazione della donna a quel punto è violenta: dapprima lo minaccia con una pistola e poi con la scusa di una gita in auto insieme a Jules, riesce a convincere Jim a rimanere soli. Quando Jules capisce cosa sta per accadere è troppo tardi: Catherine lancia l’auto su di un ponte interrotto a metà e finisce dentro il fiume con Jim chiudendo definitivamente la querelle esistenziale e sentimentale.

Il regista francese ha messo in scena una commedia allegra e brillante che ricorda nello stile asciutto, colloquiale ed ottimistico alcune opere di Renè Clair, anticipando alcuni dei temi più cari della filmografia seguente dello stesso Truffaut. I quali, da un lato sono caratterizzati da un taglio semplice, disinibito e contradditorio dei rapporti sentimentali che vedono spesso a protagonista il suo alter ego cinematografico Antoine Doinel (Jean-Pierre Lèaud) come in Baci Rubati, Domicile Conjiugal (insopportabile il titolo italiano di questo film Non drammatizziamo… è solo questione di corna) ed Effetto Notte; dall’altro il versante drammatico e disincantato dell’amore come causa ed effetto di grande complicità ma spesso anche di disperazione e tragedia, come in Adele H, una Storia d’Amore, Le Due Inglesi e La Signora della Porta Accanto. In mezzo a questi due filoni concettuali, un terzo che è imprescindibile dalla stessa travagliata storia giovanile personale del regista francese (abbandonato dal padre e dopo un’infanzia travagliata salvato dalla galera e da un futuro molto incerto da Andrè Bazin, critico cinematografico, il quale diventa il suo padre spirituale e adottivo sino ad avviarlo alla carriera cinematografica), a partire da I 400 Colpi, per proseguire con Il Ragazzo Selvaggio, quindi Gli Anni in Tasca per giungere infine al tetro e pessimistico La Camera Verde.

Jules e Jim  è una storia di forti contrasti sentimentali che si fondono armoniosamente e contraddittoriamente fra di loro, di amicizia leale ed incrollabile, di amore libero da condizionamenti, ma anche di fallimento di questa filosofia di vita, testimoniato dalla tragica conclusione del film. Un esito inaspettato, come lo era stato, anticipandolo in un certo senso, il tuffo improvviso di Catherine nella Senna, mentre era a passeggio con Jules e Jim all’inizio del loro rapporto, sotto lo sguardo stupito dei due amici. In un certo senso quest’opera anticipa quelle seguenti di Truffaut contenendo una piccola parte di alcune di esse e mette in risalto la facilità affabulatoria dell’autore che si distingue per uno stile snello, discorsivo e letterario allo stesso tempo, provocatorio nei temi ma non nel linguaggio cinematografico che utilizza nel proporli. Colpisce ad esempio il candore e la sfrontatezza con le quali viene rappresentata una figura gioiosa ed irresponsabile come quella di Thérèse (Marie Dubois): una donna libera, astuta ed incosciente che non esita a cercare alloggio dove e con chi capita come se nel suo mondo ed in quello di Truffaut non esistessero le brutte sorprese e la violenza che ben conosciamo dalla cronaca nera. Eppure lei sa cosa vuole e persino Jules resta vittima della sua iniziativa, illudendosi che possa durare oltre una fugace notte.

Non era certamente semplice raccontare una vicenda così anticonformista senza cadere nel ridicolo oppure indirizzandola verso facili conclusioni. Il sesso, a ben vedere, ricopre un ruolo fondamentale nel contesto della storia narrata, ma pur essendo ben presente come elemento fondamentale del triangolo sentimentale e non solo, non c’è una sola sequenza di esplicito erotismo. Ciò in qualche modo intellettualizza ed interiorizza quest’opera, come testimoniano alcuni dialoghi fra i protagonisti, soprattutto fra Jules e Jim, che vivono la loro condizione di amici-rivali con grande maturità, serenità e complicità, forse persino eccessiva. I rapporti fra Catherine e Jules, poi Albert ed infine Jim sono così schietti e spontanei da apparire scontati, pur essendo fondati su principi contrari alla logica ed alle abitudini tradizionali, non appaiono mai finalizzati a provocare lo spettatore, bensì solamente a proporgli un punto di vista diverso su un argomento delicato.

Catherine è la vera motrice della storia, anche se nel titolo, curiosamente, non appare il suo nome e la sua carica sensuale, magistralmente resa da Jeanne Moreau, è talmente evidente che non c’è bisogno che la espliciti mettendo a nudo il suo corpo. L’impianto dell’opera è di stampo teatrale, gli esterni sono ridotti all’osso, i primi piani sono frequenti per meglio evidenziare le sfumature dei sentimenti ed i dialoghi spesso sono caratterizzati da un’enfasi che è tipica semmai di una pièce recitata su di un palcoscenico piuttosto che davanti alla macchina da presa e che appare al giorno d’oggi un pò datata. Dice Jules, citando Catherine ad un certo punto come si trattasse di una illuminante e banale intuizione, che ‘...in una coppia basta che uno dei due sia fedele...’. Una frase del genere, accettata di buon grado da Jules che la interpreta semmai come la prova della lealtà di Catherine, anche se è proprio lui a subirla, in un contesto diverso avrebbe generato conclusioni completamente diverse e contrastanti, visto oltretutto che a pronunciarla è una donna d’inizio secolo scorso.

Il tempo passa ed anche Jules e Jim ne risente inevitabilmente, pur risultando ancora affascinante il bianco e nero di Raoul Coutard, eppure le tematiche che rappresenta sono tutt’altro che obsolete, tant’è che il regista americano Paul Mazursky nel 1979 ne ha fatto un remake intitolato Io, Willy e Phil e se qualcuno le riproponesse ancora oggi non risulterebbero di certo superate, a parte il riuscire ad emulare interpreti ed atmosfere con la stessa efficacia dimostrata da Truffaut. Bisogna infatti aggiungere, a concludere, che Jules e Jim, pur essendo ottimamente ritratti da Oskar Werner ed Henri Serre, non può prescindere dalla figura e dall’interpretazione di Jeanne Moreau che li sovrasta di una spanna ed è sicuramente il personaggio simbolo di quest’opera.

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alexmn 9/10

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lorenzof.berra alle 21:41 del 19 dicembre 2013 ha scritto:

Bellissima recensione.Un film molto interessante,l'intreccio sentimentale dei tre protagonisti è fortemente "empatico",oserei dire unipatico,cio' che determina lo sviluppo narratologico,è dato,non solo dalla componente spazio-temporale,ma dall'agire dei personaggi,dai loro sentimenti empatici,che si evincono dai loro sguardi,e dalle loro parole,la componente dialogica,è la chiave per comprendere un tale affresco Truffautiano, la ritmicita' memonica è il punto nevralgico,attraverso la quale il protagonista rivive l'amicizia a tre,il tutto è incorniciato da quel famoso motivetto,che è passato agli occhi della storia del cinema mondiale come una sinfonia caratterizzante quella ritmicita' interiore che è ,per l'appunto,una frazione stessa della memoria come conforto dell'io.