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6/10

Nightwatch regia di Ole Bornedal

Thriller
recensione di Maurizio Pessione

Martin è uno studente in legge che per guadagnarsi da vivere accetta di fare il guardiano di notte dentro l'obitorio della città. Un serial killer nel frattempo sta uccidendo alcune giovani ragazze alle quali poi toglie gli occhi. L'ispettore Gray sta indagando sotto la pressione dei media che vorrebbero fosse risolto il caso velocemente. Martin si trova a svolgere i suoi compiti completamente solo in un ambiente tetro dove è facile farsi suggestionare. L'amico James gli gioca un brutto scherzo entrando di nascosto nell'obitorio e facendo scattare l'allarme che proviene dalla stanza dove giacciono le vittime e poi spacciandosi per una di esse. Alcune sere dopo durante il solito giro di perlustrazione Martin scopre che una vittima è sparita dal suo lettino e che una scia di sangue scorre lungo i corridoi. Quando giunge il medico di turno chiamato immediatamente dal ragazzo tutto appare invece a posto come sempre. Martin viene considerato inaffidabile ed anche facilmente impressionabile. Ma succede ancora peggio in seguito quando si scopre che il cadavere di una donna presenta chiari segni di necrofilia e Martin diventa a questo punto il primo sospettato. La sua situazione peggiora quando viene uccisa una prostituta con la quale aveva avuto un fugace incontro complice l'amico James a seguito del quale essa è stata costretta a telefonargli ed ha pure incontrato la sua fidanzata alla quale ha fatto credere di avere rapporti con Martin da molto più tempo. L'ispettore Gray che l'ha difeso a lungo sin lì sembra avere trovato l'uomo che cercava, ma la sorpresa arriva poco dopo...

Il genere thriller è talmente sfruttato che c’è persino chi, a corto di fantasia, ricorre ai remake per riproporre opere che hanno riscosso interesse in certi paesi ma che per ragioni di distribuzione e lingua sono rimaste limitate ad un pubblico poco significativo in termini di mercato.

Nightwatch è la versione hollywoodiana di Il Guardiano di Notte, uscito nel 1994 in Danimarca con attori sconosciuti ma che ha ottenuto numerosi consensi ed evidentemente ammiratori anche oltre oceano. Il regista Ole Bornedal, questo sì che è un fatto inconsueto, è stato ingaggiato per girare il rifacimento della sua stessa opera, che nell’occasione ha potuto contare, oltrechè su mezzi economici più elevati, anche su attori di ben altra notorietà come Ewan McGregor, Nick Nolte, Patricia Arquette e Josh Brolin, oltrechè Brad Dourif che molti ricorderanno in Qualcuno volò sul nido del cuculo.

Migliorare l’originale con un remake non è mai cosa semplice; per un thriller lo è ancor di più, perché la storia è già nota e lo è pure il finale che d’abitudine è il momento topico di questo genere di film. In realtà Nightwatch è un thriller solo per due terzi perché il colpevole viene svelato ben prima della  conclusione del racconto e ciò che avviene dopo è molto più tipico di un action movie, in questo caso un po’ trucido e dall’esito scontato.

Nightwatch significa appunto in inglese ‘guardiano di notte’, un lavoro che può essere svolto in ambienti molto differenti fra di loro, più o meno gradevoli. Quello nel quale viene a trovarsi Martin (Ewan McGregor) lo è molto poco, trattandosi dell’obitorio di medicina legale della cittadina qualsiasi dove vive (e che non appare mai durante il corso del film), nel quale va sostituire l’ormai vecchio guardiano che non vede l’ora di andarsene in pensione passando il testimone, non senza un po’ di compatimento per chi lo sostituirà in quel posto angosciante. Oramai lui è talmente logoro e paranoico che insiste nel suggerire al nuovo arrivato di dotarsi di una radio, perché in quell’ambiente, di notte, si resta completamente soli e per quanto si possa essere insensibili alle suggestioni, la pur numerosa compagnia è irrimediabilmente silenziosa e per nulla piacevole a vedersi, dato che è costituita per la gran parte da cadaveri conseguenti da omicidi e violenze spesso di natura perversa e crudele.

Il nostro protagonista però ha bisogno di soldi per mantenersi agli studi e pagare l’affitto della casa nella quale convive con la sua ragazza Katherine (Patricia Arquette, sorella della più celebre Rosanna, il cui nome, per curiosità, ispirò i Toto per intitolare un brano famoso poiché lei era all’epoca fidanzata di Steve Porcaro, tastierista del gruppo).

Non potendo star troppo a sottilizzare ed avendo forse minimizzato l’impatto emotivo di un luogo così particolare prima di ritrovarcisi davvero dentro in solitudine nelle ore più profonde della notte, il ragazzo sin dalla prima sera si barrica nel suo gabbiotto di fronte all’ingresso per uscirne soltanto quando deve compiere il rituale giro di perlustrazione, durante il quale deve infilare alcune chiavi dentro un’apposita cassetta per dimostrare al datore di lavoro di aver compiuto il suo dovere. Alcune fredde luci durante il percorso tremolano ed i corridoi sono lunghi e scarni, quasi annunciassero dietro ogni angolo la più spaventosa delle sorprese. Assieme alla coppia di amici con la quale lui e Katherine trascorrono le serate al pub, James (Josh Brolin, già visto fra l’altro in Non è un Paese per Vecchi) e la sua fidanzata Marie (Lauren Graham) egli però, da buon guascone orgoglioso, minimizza gli aspetti più tetri del suo nuovo lavoro, mostrandosi coraggioso e per nulla condizionato da esso. Qualcuno però nel frattempo l’ha già preso di mira. In città un serial killer sta uccidendo alcune giovani donne, pugnalandole ferocemente e togliendo poi loro gli occhi, come se volesse impedire che pure da morte possano riconoscerlo. Una volta ritrovate, le povere spoglie ovviamente finiscono in quell’obitorio, una di fianco all’altra adagiate su lettighe, coperte dal classico pietoso lenzuolo bianco con un cartellino di riconoscimento infilato in uno dei pollici dei piedi.

L’ispettore Gray (Nick Nolte) che conduce le indagini sembra in difficoltà a risolvere il caso ed a identificare l’omicida, pur essendo convinto che sia l’opera di una sola persona ed i media intanto lo stanno pressando per arrivare a saperne di più. Nell’obitorio intanto Martin viene a conoscenza di strane circostanze: un guardiano di notte in passato è stato allontanato, senza particolari clamori però, con l’accusa di necrofilia. In una stanza attigua inoltre ci sono strani contenitori che contengono piedi umani. Lo stesso edificio visto dall’esterno (ma anche dal suo interno) è particolarmente lugubre con lunghi teli che si muovono con il vento come rami negli alberi, generando ombre e rumori inquietanti. Man mano che passano i giorni Martin si sente sempre più angosciato da quell’ambiente, nonostante tenti in tutti i modi di distrarsi studiando, mettendosi le cuffie per ascoltare la musica a tutto volume, persino mentre effettua il giro obbligatorio nelle varie stanze e corridoi dell’obitorio, giungendo persino, per esorcizzare la paura, a parlare e sbeffeggiare i morti per dimostrare a se stesso innanzitutto che non ha nulla da temere.

Una sera però suona l’allarme posto per segnalare l’eventualità che qualcosa di anomalo possa accadere nella stanza dove sono adagiati i cadaveri e la procedura in tali casi prevede di chiamare telefonicamente il medico di turno perché intervenga e nell’attesa il guardiano di notte deve recarsi ad effettuare le necessarie verifiche. Scopre così che il suo amico James è entrato di soppiatto nell’obitorio e gli ha tirato uno scherzo che più macabro non si può, sottoponendolo a qualche momento di autentico terrore e successivamente ad una figuraccia con il medico che è arrivato nel frattempo. Un’altra sera durante il giro abituale scopre invece terrorizzato che il cadavere di una delle donne uccise dal serial killer non è al suo posto. Le tracce indicano che la ragazza è come se fosse uscita dalla stanza lasciando una scia di sangue lungo il percorso, finendo quindi alla fine di un corridoio addossata ad una porta. Quando arriva nuovamente il medico, lo stesso della volta precedente e Martin lo accompagna sul posto, sorprendentemente tutto appare in ordine, senza alcun riscontro visivo di ciò che Martin è sicuro di aver vissuto solo pochi minuti prima ed il medico comincia allora a considerare il ragazzo inadatto per il ruolo, se non addirittura paranoico.

Martin confida spaventato all’ispettore di sentirsi come certi personaggi dei film che non sono creduti quando raccontano gli eventi straordinari che gli sono accaduti, ma pochi giorni dopo si scopre che il cadavere di una donna è stato abusato durante la notte proprio nell’obitorio ed apparentemente l’unico in grado di accedere alla stanza era proprio il ragazzo, anche Gray comincia a dubitare. Nel frattempo James ha conosciuto per caso una giovane prostituta, Joyce e convince Martin ad invitarla per una uscita ‘estemporanea’ all’insaputa di Katherine. L’incontro avviene in un ristorante di lusso e la ragazza è stata pagata da James per effettuare una prestazione molto particolare all’amico (in una scena che ricorda per certi versi quella famosa di Harry, ti presento Sally) che  suscita immediatamente le rimostranze degli altri commensali. La prostituta in seguito, eseguendo gli ordini di qualcuno che la minaccia, inizia a telefonare a Martin e persino a contattare di persona Katherine lasciandole intendere che lei ed il suo fidanzato si frequentano da tempo ed insinuandole quindi il dubbio che egli abbia una doppia vita, proprio quando lui le aveva appena chiesto di sposarlo. Tutto appare insomma improntato ad incastrare il ragazzo, che diventa difatti il principale sospettato degli omicidi commessi dal serial killer. Le prove d’altronde sembrano schiaccianti nei suoi confronti soprattutto quando anche Joyce viene trovata morta nello stesso modo delle altre ed ha persino scritto con il suo sangue il nome dello stesso Martin sul pavimento.

A questo punto però avviene un colpo di scena inaspettato per lo spettatore perché Ole Bornedal svela l’identità del vero assassino, ben prima della conclusione della storia trasformando quello che è stato sino a quel momento un giallo-thriller in un action-thriller e tutto quello che segue è la sequenza degli avvenimenti sino alla loro logica conclusione del più ovvio lieto fine. In ogni caso quando ci si ritrova a questo punto di un racconto delicatezza vuole che sia meglio lasciare allo spettatore il compito ed il piacere di scoprire da sè come andrà a finire.

L’ambientazione ad hoc di Nightwatch è indubbiamente suggestiva, prestandosi coi giusti tempi a generare tensione ed è anche apprezzabile che l’autore non si affidi ai facili colpi di teatro abbondantemente bagnati di sangue, ma si sforzi di creare un crescente senso di ansia e claustrofobia. Da questo punto di vista nella parte che Bornedal ha girato dentro l’obitorio riesce a far centro ed il rebus regge egregiamente nonostante fornisca ai più smaliziati alcuni indizi per sospettare l’identità del colpevole prima ancora che venga deliberatamente svelata, come si diceva, sovvertendo i classici tempi del genere e consentendo al film di prendere una direzione narrativa e stilistica nettamente diversa. La scelta però non si rivela appropriata perché toglie all’opera quasi tutto il fascino ambiguo ed oscuro faticosamente costruiti sin lì.

Ole Bornedal appartiene a quella cultura nordica dalla quale è uscita quasi in contemporanea all'uscita di questo film una generazione di scrittori specializzati in polizieschi e thriller dei quali i casi più eclatanti sono Henning Mankell (sua la serie del commissario Wallander, del quale è stata realizzata una serie televisiva il cui interprete è il bravo Kenneth Branagh) e soprattutto Stig Larsson con la trilogia ‘Millennium’ che è stata trasposta al cinema di recente. Senza contare John A. Lindqvist ed il suo originale horror Lasciami Entrare portato al cinema con successo da Tomas Alfredson. Come si sarà capito Bornedal non è un caso a sè, seppure danese e non svedese perché lo stile, pur condizionato in questo caso dal pur bravo Steven Soderbergh, poliedrico artista che alla regia conta pure un premio Oscar per il film Traffic, il quale ha partecipato alla sceneggiatura di Nightwatch, pur a quattro mani con lo stesso Bornedal, mettendo però in evidenza più che altro alcuni clichè del cinema americano di genere che contrastano con lo stile più asciutto e mirato del regista nordico. Chiaro che questa è una scelta puramente commerciale, come a voler creare un ponte ideale fra la freddezza tipica del nord Europa e la goliardia e la spavalderia che è peculiare invece della cultura cinematografica americana, in particolare giovanile.

La sequenza dentro il locale nel quale James sfida i due tipacci prepotenti per dimostrare a Martin il suo coraggio è tipica in tal senso, così come la scena, già citata, nella quale la prostituta Joyce fa il ‘servizietto’ a Martin nel ristorante di lusso che a ben vedere non c’entra nulla con il contesto del film neppure a volersi sforzare di trovarvi un aggancio.  Ben più suggestive invece alcune simbologie come, ad esempio, le farfalline che girano rumorose in tondo dentro il vetro della lampada a tetto, prigioniere ed incapaci, come il protagonista, di trovare una via d’uscita. 

Un’opera senza infamia e senza lode con il forte sospetto che tutto sommato la prima versione non solo fosse più originale e scevra da inquinamenti di sorta, ma anche meglio riuscita.

Ewan McGregor se la cava bene nel ruolo del protagonista, mentre Nick Nolte seppure ha di sicuro le ‘fisique du role’ per interpretare il commissario appare troppo rigido e limitato dal punto di vista espressivo, mentre Josh Brolin nei panni del classico ragazzotto americano spaccone e superficiale rappresenta nel bene e nel male il simbolo dell’adattamento di quest’opera ai gusti del pubblico USA. Di maniera invece le interpreti femminili.

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