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R Recensione

7/10

Moana regia di Alfredo Peyretti

Erotico
recensione di Maurizio Pessione

Biografia romanzata della celebre pornostar Moana Pozzi, morta prematuramente all’età di 33 anni a causa di una malattia che non le ha dato scampo quando era nel pieno della popolarità. Il film ripercorre le tappe della sua carriera, da giovane studente presso un istituto di suore con una predisposizione particolare però per la sensualità spontanea e senza inibizioni, all’ingresso nel mondo dei film porno come viatico veloce per arrivare alla celebrità, all’esaltazione di una personalità spiccata priva di volgarità tipica di quell’ambiente, sino alla consacrazione con l’invito a partecipare ad una trasmissione di prima serata, intervistata da Pippo Baudo. Il tentativo di smarcarsi dall’ambiente ‘hard’ viene però stoppato dalla malattia che la colpisce improvvisamente e la consuma in breve tempo.

Diceva in un’intervista Violante Placido che quando interpretò la serie TV Donne Assassine essa andò in onda rigorosamente in prima serata. Nessuno si preoccupò allora di porre bollini rossi o censure ad un’opera nella quale ricopriva, da protagonista, il ruolo di un’infanticida, mentre quando si parla di sesso tutti si sconvolgono e gridano allo scandalo.

In effetti non c’è argomento tuttora così scottante, non sembri un gioco di parole, perlomeno nella testa dei cosiddetti perbenisti, quanto quello del sesso, per giunta trasgressivo, com’è nella natura del settore ‘hard’ o ‘hardcore’ che dir si voglia, pur essendo esso trainante a livello di business nel mondo dello spettacolo d’intrattenimento ed in qualunque forma venga distribuito.

Nonostante il settore sia arrivato a fatturare qualcosa come 1,5 miliardi di euro l’anno in Italia (pare però che la crisi economica non l’abbia risparmiato, colpa anche di Internet che permette di scaricare materiale pornografico gratuitamente o a prezzi stracciati), possa contare su oltre 400 sexy shop sparsi sul territorio e rappresenti sulla Rete, a livello mondiale, addirittura il 25% dell’intero traffico generato, l’argomento continua ad essere apparentemente riservato ad un pubblico di ‘carbonari’ e sono certo che azzardando questo paragone qualcuno storcerà sicuramente il naso.

Sia chiaro, non c’è nulla di edificante nel settore ‘hard’ e come sempre avviene per gli argomenti che toccano corde sensibili della morale e sono perciò inevitabilmente soggetti a critiche e punti di vista contrastanti, anch’esso contiene alcuni aspetti positivi ma anche altri decisamente negativi per i quali c’è ben poco da difendere. È indubbia ad esempio la mercificazione del corpo maschile e femminile, sia per il pubblico etero che gay, unitamente ad una considerazione del sesso come esercizio meccanico e ginnastica corporea, anziché come completamento fisico di un’intesa sentimentale.

Come si diceva, il settore ‘hard’ contiene inevitabili ed evidenti contraddizioni ed al suo interno sono presenti sottogeneri, alcuni dei quali responsabili di veri e propri reati penali e di abominevoli patologie che meritano tutte le persecuzioni del caso. Si pensi alla pedofilia oppure al sesso estremo che in alcuni casi è arrivato persino a causare la morte dei protagonisti. È indubbio però che il settore ‘hard’ svolga anche, per gli spettatori, una funzione di valvola di sfogo per quelle persone le quali, per timidezza o limiti fisici, non hanno alcuna possibilità pratica di fare sesso ed alla stessa stregua ha aiutato molte persone a superare tabù ed inibizioni, svolgendo un ruolo persino di introduzione disinibita alla sessualità che le istituzioni e la stessa famiglia spesso trascurano, per non dire evitano accuratamente e deliberatamente di svolgere. È chiaro che parlando di ‘hardcore’ si rischia di essere fraintesi oppure di effettuare una involontaria esaltazione di quello che resta comunque un ambiente nel quale l’eccesso è la regola, l’affettività è inesistente e che comporta, nel praticare un esasperato sfruttamento degli stessi protagonisti, notevoli rischi non solo riguardo l’etica in sé, quanto per la salute degli stessi interpreti, leggasi AIDS e malattie dovute ad una pratica svolta in maniera non adeguatamente sicura.

D’altronde siamo continuamente bombardati, non solo al cinema, ma nei media in generale, da immagini ed allusioni di natura sessuale. La pubblicità, sia con le fotografie nelle riviste che per gli spot in TV ed al cinema, ad esempio, è uno straordinario veicolo in tal senso ed i primi ad esserne destinatari, con tutti i condizionamenti che ne conseguono, sono inevitabilmente i giovani, cioè la parte più sensibile ed indifesa del pubblico cui è destinata. L’hard quindi, con i dovuti distinguo citati in precedenza, non è altro che l’esplicitazione, senza veli ed ipocrisie, di pulsioni di natura sessuale che la nostra stessa società persegue con cinismo e finto candore, condannando poi con pari bigottismo la proliferazione degli stessi mostri che contribuisce a generare.

Detto questo, se si esclude un precedente sul tema, passato quasi del tutto inosservato e cioè Guardami di Davide Ferrario uscito nel 1999, curiosamente un film così esplicito e specifico sul genere ‘hardcore’, seppure destinato alla fruizione televisiva e non certamente al pubblico affezionato ed abituale consumatore di quel genere di spettacolo, celebrativo per giunta in questo caso di una delle figure più significative della sua recente storia, probabilmente non era ancora stato fatto. Questo film è intitolato Moana e si riferisce alla figura di Moana Pozzi, nel frattempo scomparsa a causa di una malattia terribile, pare non direttamente legata alla sua attività, che non le ha dato scampo all’età di soli 33 anni, quando era nel pieno della popolarità. Moana Pozzi ha sdoganato il cinema cosiddetto pornografico offrendo allo stesso tempo l’immagine di una star completa sotto tutti i punti di vista, capace di presentarsi anche al pubblico più ostile nei suoi confronti con una  spiccata personalità ed abilità imprenditoriale, al pari di Rocco Siffredi, tanto per rimanere agli interpreti nostrani più noti del genere ‘hard’. Non si era mai visto in precedenza un personaggio di quell’ambiente in grado non solo di sostenere con proprietà di linguaggio e ragionamento una conversazione su temi diversi dal suo mestiere specifico, ma anche di togliersi di dosso quella patina di volgarità che inevitabilmente ha relegato questa particolare categoria di attori in un ghetto, per quanto remunerativo in alcuni casi, dal quale è indubbiamente difficile riuscire a smarcarsi una volta entrati nei suoi meandri.

Il film di Alfredo Peyretti, che ha esordito nei contrometraggi ed è stato in precedenza autore di alcune fiction televisive, ripercorre la storia della vita di Moana Pozzi dalla sua infanzia, all’ingresso nel giro del porno, l’immediato strepitoso successo ed il tentativo in seguito di affermarsi anche nello spettacolo estraneo ai canoni erotici e persino in un mondo totalmente differente come la politica (seppure qualche dubbio in tal senso le recenti note di cronaca lo lasciano eccome…). Il punto più alto di questo processo di riabilitazione, agli occhi di chi sino ad allora l’aveva considerata né più né meno alla stregua di una prostituta che ha trovato la via più astuta e veloce per mettersi in mostra, l’ha ottenuto quando è stata invitata come ospite in una trasmissione serale di grande popolarità presentata da Pippo Baudo. Nell’occasione Moana aveva così ben figurato da suscitare, si diceva, persino la simpatia ed il rispetto delle donne davanti allo schermo TV, fidanzate e mogli, che l’avevano considerata sino a quel momento come una rivale, seppure solo virtuale, nei confronti dei loro uomini. Ne era uscita perciò una figura di donna bellissima ma anche intelligente, desiderabile e sensuale ma con  una personalità determinata e sicura, dotata di sensibilità, ironia e lontana dalla volgarità di solito associata agli interpreti di quella professione.

Anche se il suo motto era ‘vivi come se dovessi morire domani e pensa come se non dovessi morire mai’ il male però nel frattempo aveva già compiuto il suo corso ed alcuni mesi più tardi, il 15 settembre 1994, Moana moriva in un hotel di Lione. La sua fine improvvisa, incomprensibile in una donna nel fiore degli anni e simbolo stesso della piena salute, è stata oggetto di varie interpretazioni in seguito, sulle quali il film glissa totalmente: c’è stato chi ha persino messo in dubbio la sua morte, ipotizzando invece un escamotage architettato ad arte da chi voleva semplicemente fuggire da un mondo che non sopportava più o chi ancor peggio ha ricamato sulle dichiarazioni del marito Antonio Di Cesco (il cui ruolo si può definire allo stesso tempo difficile ed ambiguo) che ha confessato in seguito di aver applicato l’eutanasia come atto pietoso nei confronti della moglie, in base a quello che lei stessa e nel corso dello stesso film viene evidenziato, gli aveva chiesto ad un certo punto perché le consentisse di evitare la sofferenza, nella consapevolezza di dover affrontare una lunga e penosa agonia. C’è stato infine chi non ha creduto alla patologia che è stata dichiarata ufficialmente come la causa della sua fine repentina, un carcinoma epatecellulare, adducendone la responsabilità invece all’AIDS che Moana avrebbe contratto nell’ultima parte della sua carriera, durante la quale sembra che sia stata costretta a girare film con attori poco sicuri.

Una cosa è certa: Violante Placido, figlia di Michele e di Simonetta Stefanelli, non poteva meglio rappresentare con la sua bellezza, somiglianza fisica e personalità Moana, anche se la sua interpretazione coraggiosa rischia di rimanerle appiccicata addosso come è capitato in passato ad attori, anche di maggior fama, come Tom Hulce in Amadeus nei panni di Mozart e non sembri stridente anche in questo caso il paragone.

Moana dura complessivamente 210 minuti, essendo stato realizzato come film TV diviso in due parti e contiene inevitabilmente momenti riusciti ed altri meno. La figura di questa icona dell’erotismo, grazie anche alla prorompente sensualità di Violante Placido,  si staglia con tutto il suo carisma e fascino, evidenziando soprattutto un aspetto non secondario della sua scelta professionale: il piacere e la naturalezza di girare le scene erotiche sul set, al di là del fatto che l’abbia utilizzato come mezzo pratico e veloce per fare carriera, prima di rendersi conto che in realtà così facendo finiva dentro una gabbia dorata dalla quale è difficile, se non impossibile, uscirne senza portarsi dietro un marchio indelebile ed un’immagine inevitabilmente compromessa. Ad un certo punto, Riccardo Schicchi, suo controverso ed ambiguo scopritore e manager, vedendola stanca durante una pausa sul set, la invita ad andare a casa e riposarsi e Moana, come fosse un qualunque impiegato che svolge coscienziosamente e professionalmente il suo lavoro gli risponde dicendo che non le piace lasciare le cose a metà. D’altronde in varie dichiarazioni lei ha confermato che il sesso è sempre stato un piacere per lei che casualmente e fortunosamente ha coinciso con il suo lavoro ed a ben vedere è lo stesso ritornello che ripete ora anche Rocco Siffredi, come se ne avesse raccolto il testimone. Quanto siano affermazioni di comodo e d’immagine rispetto ad una realtà che in quel settore particolare è invece tutt’altro che idilliaca, solo gli addetti ai lavori possono testimoniarlo, anche se c’è da supporre che si tratta di eccezioni, pure a volergli dare credito, piuttosto che la regola in un ambiente che, molto più realisticamente, è per la gran parte degradante e spietato.

Significativa da questo punto di vista è la sequenza nella quale Moana viene a contatto di un politico che qualcuno suppone trattarsi di Craxi (anche l’attore che l’interpreta d’altronde gli assomiglia assai) e durante un loro incontro nella camera di un hotel, dopo aver amabilmente chiacchierato un po’, quest’ultimo sarebbe disposto a chiudere la serata senza dar seguito ad alcun rapporto sessuale ed è la stessa Moana invece a proporsi con semplicità e spontaneità, giustificando il fatto che non c’è nulla di male a fare sesso per puro divertimento anche senza il corredo dei sentimenti. Una visione del tutto opposta rispetto agli schemi abituali della nostra cultura. In seguito Moana Pozzi pubblicò un libro-memoriale ‘Filosofia di Moana’ nel quale racconta il suo privato ed i rapporti avuti con noti personaggi come Beppe Grillo, Marco Tardelli, Renzo Arbore, Luciano De Crescenzo e, appunto, Bettino Craxi con tanto di voti riguardo le loro prestazioni.

La prima parte dell’opera in particolare risente di alcuni stereotipi retorici e superficiali, che trovano conferma in una serie di dialoghi banali. Il trafficante di droga al quale Moana stava legandosi che viene ucciso fra le sue braccia è la scena che dà inizio al film ma che, stilisticamente, sembra alludere ad un thriller più che ad una biografia ed appare in seguito completamente slegata dal resto. Il camorrista che perseguita Schicchi, lo ricatta e poi diventa il producer esclusivo di Moana appare insolitamente tollerante con lei, per i canoni di quel genere di personaggio, quando si rifiuta di girare con attori tossici.  La sequenza paradossale delle riprese video nel campo di calcio della parrocchia con il prete che non comprende la natura delle scene ed è disposto ad accettare persino una parte che gli offre Schicchi è un modo scoperto di alleggerire il particolare tema portante del film che però si trasforma in una goliardata più facile da immaginare nella finzione che nella realtà dei fatti. La parte più azzeccata è certamente quella del dramma finale, quando Moana (per la quale le cronache narrano che sia sempre stata una persona autonoma nelle scelte e rispettata nel suo ambiente anche da personaggi ambigui e pericolosi), tenta di uscire dallo stereotipo per proporsi ad un pubblico diverso e più vasto, ma viene frustrata nella sua ambizione e speranza dalla comparsa della malattia. Un tragico finale del quale però ci vengono per fortuna risparmiati i toni melodrammatici. La sequenza onirica nella quale Moana vede allegramente e serenamente riunite attorno alla sua piscina tutte le persone che hanno attraversato la sua vita, contiene persino qualche accenno di lirismo.

Chiaro che rappresentare una così breve ma indubbiamente intensa vita in un’opera pur lunga quasi tre ore è forse impossibile ed ecco quindi che il film sembra sorvolare su personaggi ed episodi che hanno certamente avuto un ruolo importante nella storia di Moana, dai suoi rapporti con Schicchi e Cicciolina alla sua discesa in politica sulle orme di quest’ultima sino a fondare il Partito dell’Amore il quale, pur ottenendo oltre 12.000 preferenze alle elezioni politiche del 1992 non ha comunque aperto le porte del parlamento all’attrice ‘hard’.

Il film di Alfredo Peyretti evidenzia inoltre che nei film ‘hard’, a volte annunciati con titoli evocativi, non c’è alcun intento artistico, ma attraverso una trama pretestuale, l’unico obiettivo è esclusivamente di tipo commerciale, mostrando scene di sesso nelle più svariate posizioni e modi che possano soddisfare gli appassionati del genere. Un esempio per tutti Cicciolina e Moana ai Mondiali del quale l’opera di Peyretti mostra alcune fasi realizzative e che vede le due pornostar nel ruolo di adescatrici per debilitare con le loro prestazioni sessuali i campioni delle squadre avversarie dell’Italia ai mondiali di calcio. Stupisce semmai che una persona intelligente come Moana affrontasse tali progetti con lo stesso entusiasmo di chi stesse girando un film d’autore, ma forse proprio questa sua partecipazione ed adesione priva di qualsiasi prevenzione era la forza trainante della sua professionalità. Lo stesso ambizioso programma elettorale appare quanto mai retorico ed in contrasto con la forza trasgressiva che la figura della protagonista e la sua scelta di vita volevano rappresentare.

Le scene erotiche rappresentate in Moana sono ovviamente castigate rispetto ai film ‘hard’ veri e propri, pur lasciando poco spazio all’immaginazione, sforzandosi comunque di mostrare in maniera attendibile il set ed il dietro le quinte dei film pornografici e come vengono utilizzati gli interpreti durante le riprese. Come è capitato per altri personaggi noti in maniera del tutto contradditoria, Moana Pozzi era figlia di una coppia molto religiosa e lei stessa aveva studiato presso un istituto di suore prima di tentare di bruciare le tappe della notorierà con una scelta così provocatoria e dirompente rispetto alle sue origini. Nonostante avesse rotto con i suoi genitori non appena avevano scoperto la sua attività, colpevole ai loro occhi di aver traviato persino la sorella, nota come ‘Baby Pozzi’ (ma che in realtà Moana aveva tentato in vari modi di tenere lontana dal suo ambiente), la sua morte è stata l’occasione di un tardivo riavvicinamento che è culminato poi nella creazione di un’associazione che porta il suo nome, a testimonianza e difesa dell’immagine di Moana, con un sito curato da Mauro Biuzzi che l’aveva sostenuta durante la campagna elettorale.

Insomma il quadro che esce da quest’opera chiaramente biografica non è quello di una Giovanna d’Arco ma neppure ‘il diario di una donna perduta’, per citare il titolo di un vecchio film del regista tedesco Pabst. Forse anche per Moana Pozzi, tanto per rimanere in linea con la sua indole provocatoria, si può azzardare un altro ardito parallelismo, applicando alla sua figura il componimento poetico di Lorenzo il Magnifico il quale esaltando il concetto del ‘carpe diem’ nei canti carnascialeschi scriveva parecchi secoli fà: ‘Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol essere lieto sia: di doman non v’è certezza’.

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