V Video

R Recensione

7/10

American Pastoral regia di Ewan McGregor

Drammatico
recensione di Irene Coluccia

Ritratto della caduta della middle class americana a fine anni '60.

 

Quando lessi la news della produzione della trasposizione cinematografica del  libro premio Pulitzer American Pastoral, il mio animo si divise in due fazioni contrapposte: da un lato, la gioia e la curiosità tipiche di una fan del libro, felice che l’universo di riferimento non si fosse concluso ancora; dall’altro, il terrore di una trasposizione inesatta, sciatta, quasi blasfema, rischio ingrossato dalla regia esordiente del divo di Hollywood Ewan McGregor. Nulla di inaspettato, dunque. Eppure, quando ho potuto finalmente vedere il film, American Pastoral ha disilluso entrambi gli aspetti.

La motivazione: perché McGregor ha combattuto per quasi dieci anni con le produzioni prima di giungere alla regia di American Pastoral? Per amore della storia,  per il desiderio di confrontarsi con una regia anche se estremamente rischiosa, per un rispecchiamento personale nelle vicende dello Svedese, che peraltro interpreta? Ancora una volta, tutto e nulla: McGregor, difatti, in conferenza stampa precisa che sì, si innamora della storia quasi quindici anni fa, ma non del romanzo di Roth, bensì della sceneggiatura di John Romano. Ai fini dell’analisi di una trasposizione, questo elemento risulta fondante, dal momento che viene saltato un passaggio, quello dal romanzo al testo sceneggiatura.

La narrazione: chi mastica anche poca letteratura americana contemporanea, sa benissimo che gli universi e le modalità narrative di quella nuova leva di scrittori (Roth, DeLillo, Eugenides…) sono tutt’altro che classicheggianti. American Pastoral (il romanzo) è la storia dello Svedese e della cittadina di Rimrock, narrata dallo Svedese  ad un amico, che a sua volta la racconta ai lettori. Il film oltrepassa questa narrazione complessa, introducendo la vicenda a partire direttamente dal fratello del protagonista. Per i puristi del romanzo (un ruolo sempre antipatico, a mio parere), questa modifica potrebbe risultare blasfemia allo stato puro, ma, alla luce dei fatti, e di film trasposti che si sono annodati nella propria narrazione, la semplificazione di McGregor funziona.

I simboli: American Pastoral percorre tre decenni della storia contemporanea americana, dagli sfavillanti anni Sessanta, durante i quali lo Svedese eredita l’azienda di famiglia, alle contestazioni sessantottine e Seventies contro la guerra del Vietnam, alla morte del protagonista, rappresentante il crollo del sogno americano. Il libro e (fortunatamente) anche il film, però, non si fermano all’allegoria politica, seppur in modi completamente diversi: il film di McGregor pende clamorosamente sul versante umano, familiare, del dolore, dell’indifferenza, della distruzione della perdita, senza mai dimenticare che anche questi elementi sono e devono essere politici. Il balbettio di Merry, ad esempio (Dakota Fanning dall’adolescenza all’età adulta), per esempio, è simbolo di ribellione, di rottura dell’equilibrio di quella famiglia così onesta e perfetta, ma anche rabbia e frustrazione verso una rivoluzione che per lei si rivelerà fatale, violenta, dolorosa: la giovane, infatti, smetterà di balbettare solo quando rinuncerà alla violenza e, parzialmente, alla sua vita, volgendosi alla setta gianista.

La purezza dello stile: nonostante la regia di McGregor risulti decisamente scolastica e da manuale (nessuna sperimentazione, inquadratura o movimento di macchina fuorilegge), l’ambientazione, la scenografia e in generale lo “spirito” di American Pastoral sono decisamente fedeli al testo di Roth, che, infatti, lo definisce “l’unico film proveniente dai suoi libri che ho apprezzato”. Inoltre, lo scenografo Daniel B. Clancy ha operato una mutazione nel corso della storia della tavolozza di colori: se le prime scene sono vibranti e tonali (con McGregor, mi hanno ricordato molto l’ottimo Big Fish di Tim Burton), la parte post-trauma dell’attentato di Rimrock risulta scura, spenta, depressa. Clancy, inoltre, si è dichiaratamente ispirato ai quadri di Edward Hopper, raffiguranti un’America borghese, popolare, ma al contempo misteriosa e angosciante.

American Pastoral, in conclusione, è la trasposizione/visione di uno dei mattoni portanti non solo della letteratura, ma della cultura americana contemporanea; McGregor, con estrema lucidità, costruisce il suo primo film non sulla portata magnifica del romanzo, sarebbe stato un passo pomposo e distruttivo, bensì sulla purezza del protagonista; purezza che va a scontrarsi, senza mai scheggiarsi, soffrendo, piegandosi ma senza mai morire, con la storia, la vita di un Paese costruito e cresciuto, ancora una volta, nel sangue.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo film. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.