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4/10

Kalifornia regia di Dominic Sena

Drammatico
recensione di Dmitrij Palagi

Brian, criminologo alle prese con un libro sui serial killers, intraprende un viaggio verso la California, con l'intenzione di fare tappa in luoghi segnati da alcuni assassini seriali. Assieme a lui la fidanzata Carrie e una coppia con cui divideranno le spese di viaggio (Early ed Adele).

 

La genia dei registi formatisi tra pubblicità e video musicali vanta forti pregiudizi da parte del pubblico colto, al pari di un successo commerciale spesso sorprendente. Non è il caso di Kalifornia, deludente sul piano degli incassi, come tutte le produzioni iniziali della Polygram (casa discografica olandese prestata al mercato cinematografico). L'esordiente Dominic Sena non riesce a rendere efficaci le caratteristiche che commercialmente trovano spesso il sostegno del grande pubblico: l'attenzione alla fotografia (di un ottimo Bojan Bazelli), la cura estetica della violenza, il rendere bello anche ciò che solitamente è ritenuto squallido, l'ammiccamento ambiguo verso il pubblico, coinvolto in una destrutturazione della morale comune.

Una coppia di intellettuali di città - giovani, belli e di ceto medio – incontra due proletari brutalizzati dalla società. I luoghi comuni abbondano in questo conflitto tra ceti sociali, col borghese affascinato dal fare primordiale dei serial killers. Nonostante un Brad Pitt appositamente ingrassato e realmente privo di incontri ravvicinati con il sapone, la ferocia di Early catalizza l'attenzione (e le simpatie) dello spettatore. Se il viaggio si concluderà con un insano equilibrio per l'assassino (la morte unico rifugio di pace), la giovane coppia di città rimarrà turbata e segnata dall'esperienza, incapace di uscire realmente dalla situazione vissuta.

Mancando qualsiasi tentativo di analisi psicologica il meccanismo è eccessivamente lineare. Un'unica domanda fa da base per tutto il film: come si può scrivere di assassini seriali se non si è mai ammazzato nessuno, senza neanche aver mai assistito ad un omicidio?

Il macabro fascino del non conosciuto attrae il giovane scrittore, già prima del fortunato incontro con Early. Si fa fatica a cogliere il messaggio di questi elementi. Il coinvolgimento emotivo rompe gli schemi stabiliti dalla società ma l'alienazione dello spettatore è ottenuta con un eccesso di violenza, spesso inutile e ripetitiva. Sembra che si voglia prendere il pubblico per esasperazione, stancandolo.

Alberto Pezzotta parla di “una commedia molto nera sui rapporti di classe e su quelli tra i sessi”. Una commedia nera poco riuscita, ridondante ed eccessiva, comunque ben lontana da altri road-movies più forti (anche se meno espliciti). L'aggiunta di meccanismi propri del thriller non migliora le cose, evidenziando l'assenza di suspense. Una corsa da un punto A ad un punto B. Nel mezzo alcuni omicidi. Alla fine gli assassini muoiono. Il resto sono solo curiosità estetiche. Il modello della macchina (lo stesso su cui fu assassinato J.F. Kennedy), le località che richiamano i nomi degli attori (Forbes, Tennessee - Michelle Forbes), i riassunti delle gesta di alcuni assassini seriali statunitensi (che ricordano il buffo Museo Criminale & Serial Killer di Firenze).

Non è necessario appartenere al sopra citato pubblico colto per avvertire un fastidioso tentativo di vendita del prodotto. I paesaggi, il sangue, il montaggio e la sceneggiatura: tutto concorre ad un eccesso che si digerisce male, privo di qualsiasi profondità. Il tutto e subito non è un reato, però occorre saperlo gestire, saperlo vendere appunto. Reggono solo i giri di basso (ottima colonna sonora) e la recitazione (amputata dalla superficialità dei personaggi).

In un mercato dove si cercavano risposte europee (occidentali) ai pesi massimi hollywoodiani, Kalifornia appare come un prodotto di scarsa efficacia. A tratti noioso, mai brillante.

Un anno dopo uscirà Natural Born Killers.

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