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5/10

Wolf - La Belva è Fuori regia di Mike Nichols

Fantasy
recensione di Dmitrij Palagi

Will Randall, a capo di una casa editrice di successo, viene morso da un lupo investito con la sua macchina. In seguito a questo evento comincia ad avvertire una serie di strani sintomi, compreso il perfezionamento dei sensi. In contemporanea scopre il tradimento della moglie e di aver perso il lavoro. Mentre il suo corpo pare assomigliare sempre di più a quello di un lupo incontra anche la figlia del propietario della casa editrice, Laura Alden, con la quale nasce una strana storia d'amore segnata da atipica attrazione.

Una fiaba senza profondità, seppure romantica su toni horror-fantasy, diventa racconto poco coinvolgente. Una storia che si limita a raccontare, senza aggiungere niente a ciò che appare, ha lo stesso valore di un meccanismo motorio sterile.

Così la bella e la bestia, con finale invertito, nonostante le pesanti carte messe sul tavolo, rischia persino di annoiare, di indurre a interrogarsi sull'utilità di quelle due ore passate davanti allo schermo.

Le carte succitate sono un insieme di nomi altisonanti, solitamente associati a grandi incassi e buone (se non ottime) prestazioni. Almeno sul grosso circuito.

Il regista, in arte Mike Nichols (vero nome Michael Igor Peschkowsky), ha un passato noto soprattutto grazie a Il laureato (1967), mentre i due primi attori possono vantare l'inutilità delle presentazioni. Così un Jack Nicholson non fuori forma appare quasi ridicolo nella sua espressività animalesca, guidando fra la neve in apertura e, sfortunatamente (poiché ogni paragone non regge), ricordando una delle sequenze di Shining (1980). Di contro Michelle Pfeiffer incanta senza stupire, mentre James Spader (maledetto nel suo ruolo fisso da insopportabile saccente) riesce ad eccellere, superando negli ultimi passaggi il mito di Nicholson.

Il punto è la scarsa omogeneità del film. Nella prima parte il perfezionamento dei sensi è la scusante per illustrare lo sporco ambiente dell'alta borghesia intellettuale statunitense, mentre nella seconda ci si perde nella dimensione dell'immaginario, citando toni horror e rendendo un mostro sacro della recitazione praticamente fuori luogo. Arricciando il naso e correndo su quattro zampe non per forza si assomiglia a lupi.

L'unica cosa che migliora con l'andare avanti del film è la fotografia di Giuseppe Rotunno, noto nel nostro Pese per le collaborazioni con nobili registi (Visconti e Pasolini, fra gli altri). La colonna sonora, anch'essa italiana e affidata a niente di meno che Ennio Morricone, ha una presenza eccessiva. Ottima di per sé ma poco convincente se rapportata con il resto.

Il film scorre senza grosse sorprese, lasciandosi ingoiare senza sofferenza. Difficile accorgersi di qualcosa di più del semplice scorrere. I colpi di scena ci sono ma non colpiscono, se non più di un ah beh sottotono.

Se di metafora si voleva trattasse ci si è persi dopo la parte iniziale. Se un film di genere era nelle intenzioni si è sbagliato la prima metà e la scelta di un po' tutto. Adatto a un pubblico vasto, per riempire qualche momento d'attesa. Anche il coinvolgimento dello spettatore non tiene il ritmo. Fino a che ci si mantiene nell'allegoria del reale, con una foresta (il mercato) piena di lupi (dirigenti e aspiranti tali nelle case editrici), c'è grande interesse a scoprire che l'uomo non ha alcuna etica protestante alla base del suo mercato e della sua libertà. Altrettanto interessante come non servano ragni radioattivi o strani superpoteri per potersi muovere al di sopra dei propri limiti. Una sorta di elogio della natura, che sopravvive all'uomo e su di lui vince definitivamente con un richiamo irresistibile. Che poi tutto questo si perda in un film che riesce ad emergere male, sotto tutti i punti di vista, dai prodotti audiovisivi statunitensi di largo consumo degli anni '90, è uno spreco che rasenta l'insofferenza dello spettatore.

Tant'è. Restano alcune scene memorabili, come ad esempio quella dove si torna a segnare il proprio terreno con i propri fluidi corporei (anziché con sporchi sotterfugi), facendo le scarpe all'avversario.

Peccato. Onestamente c'è poco altro da dire.

 

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