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R Recensione

7/10

Il Cattivo Tenente regia di Abel Ferrara

Drammatico
recensione di Dmitrij Palagi

Una suora viene stuprata all'interno di una chiesa cattolica. Il caso viene affidato ad un tenente di polizia cinico e dedito ad ogni forma di depravazione. Al fatto di cronaca si mescola una vita segnata dalla droga e dalle scommesse, con una serie di sfortunate puntate che mette in difficoltà economiche il tenente.

 

L'oscurità della depravazione incontra la redenzione. Una parabola priva di speranza, legata al mondo cristiano ma lontana dalla liberazione del Nuovo Testamento.

Il crepuscolo del peccato veste i panni gotici di un maestoso antieroe, rinchiuso in un limbo fra bene e male, incapace di uscire dal cerchio dell'autodistruzione. Primo anello della Trilogia del Peccato di Abel Ferrara, riesce a superare la sterile provocazione grazie alla recitazione impeccabile di Harvey Keitel, ipnotico e fatale, capace di incarnare la sofferenza di un cattolico privo di fede, buono solo a drogarsi. La redenzione è impossibile ma la strada deve comunque essere intrapresa, dilaniando il proprio essere tra la rassegnazione e il riscatto.

L'unica cosa in cui vale la pena credere è la squadra dei Dodgers, perché in fondo neanche i soldi avrebbero alcun valore senza le scommesse di baseball. Una spirale di sesso, droga e corruzione resa perfettamente dal montaggio e dalle riprese (con la macchina spesso portata a mano), che rendono impercettibili gli scarsi mezzi economici a disposizione del regista. Il male è banale e quotidiano, agli occhi di qualcuno pacchiano. L'equilibrio tra desiderio e peccato sparisce, mescolando inferno e paradiso in un unico paradigma. Esiste un punto in cui l'unico modo per recuperare il senso della propria vita è comprendere come essa non abbia più alcun valore. Scorsese e Cimino sono richiami costanti lungo tutta la pellicola, con un ritmo ossessivo che vela l'autocompiacimento del regista.

L'insistente colonna sonora e la fotografia, esasperata nel suo realismo, concorrono a esprimere in modo efficace il senso della sceneggiatura, scritta dallo stesso regista assieme all'attrice Zoë Lund (per una volta Ferrara fa a meno di Nicholas St. John).

Keitel, già Giuda nel 1988 con L'ultima tentazione di Cristo, sbanda senza meta nella realtà, piegando la superficie del noir in una notturna riflessione sull'esistenza. Lo spettatore viene portato fino al limite della sopportazione, evidenziando il punto di rottura (che comunque non viene mai superato). L'attore protagonista rende affascinanti persino le scene più estreme, come quella della masturbazione in pubblico e il tragico (in senso teatrale) incontro con Gesù. Gli eccessi si rivelano solo in un secondo momento, a film concluso. Le riflessioni non trovano spazio durante la pellicola, limitandosi a violare la mente dello spettatore, schiacciandolo con il peso della realtà, senza lasciare vie di fuga alla speranza.

Il lato oscuro dell'uomo si mostra con atteggiamenti decadenti, gemendo di dolore come un animale, capace di provare amore e dimostrando la sua innocenza con l'esposizione del meccanismo di autodistruzione che l'essere umano è incapace di spezzare.

Non è una riflessione sulla società contemporanea, bensì sull'uomo che in essa vive, su come egli abbia sviluppato il suo rapporto con il peccato e la redenzione. Il mito del poliziotto sprofondato negli inferi, simile al Lucifero appena caduto nel Paradiso Perduto di Milton. Una sacralità del male che affascina.

L'eccessiva lunghezza di alcune riprese non ledono nella sostanza lo splendido lavoro del duo Ferrara-Keitel, regalando una pagina cinematografica che merita di restare nella memoria del cinema occidentale.

Uscire dal vuoto e dal nulla attraverso la morte. L'alienazione mostrata senza veli.

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diego84 alle 5:53 del 22 gennaio 2010 ha scritto:

Probabilmente il miglior Harvey Keitel mai visto su una pellicola, in un viaggio senza ritorno verso l'inferno, passando attraverso la redenzione prima di terminare la sua caduta. Oltresi un atto di accusa su quello che in molti casi è in America il corpo di polizia , ossia un apparato che fa dell'abuso di potere e dell'illegalità un metodo di lavoro e un espediente per arricchirsi.