Amabili Resti regia di Peter Jackson
FantasySusie ha 14 anni quando viene brutalmente assassinata. Si ritrova in un limbo alle porte del Paradiso, incapace di mostrarsi al mondo terreno ma intenzionata a smascherare l'assassino ed aiutare la sua famiglia, il cui equlibrio è stato irrimediabilmente rotto dall'omicidio.
Coraggioso ed imperfetto.
Gli equilibri di una famiglia impeccabile rotti da un tragico omicidio, la vita oltre la morte, l'anima che resta legata alla realtà materiale, la necessità di portare a compimento obbiettivi mancati in vita. Sono temi di cui, soprattutto nel cinema statunitense, si è abusato, ottenendo risultati variabili. L'omonimo libro di Alice Sebold, da cui la pellicola è tratta, coniugava – riflesse – una vicenda personale di stupro e la necessità occidentale di superare il trauma dell'11 settembre. Peter Jackson mantiene intatti gli elementi narrativi ma decide di aggiungere tutte le caratteristiche che lo hanno contraddistinto nel corso della sua carriera, apportando una dolcezza ironica che evita l'eccesso di angoscia, ben gestita nelle scene strettamente legate al thriller. Una “favola nera piena di colori” (Boris Sollazzo), capace di slegarsi dalla protagonista e dedicare uguale attenzione ai vari personaggi coinvolti. Si riesce così ad apprezzare l'immensa prova di Stanley Tucci, così come lo splendido trittico femminile, che copre con rara efficacia tre diverse generazioni - Saoirse Ronan, Rachel Weisz, Susan Sarandon
Calibrando l'intimismo delle microcamere digitali alla spettacolarità della terra di mezzo, Jackson si conferma un regista di innegabile dote e inventiva, accompagnata dal gusto per l'esagerazione, con un processo di dilatazione dei tempi che gli ha fatto guadagnare accuse legate alla mancanza di fluidità. Invecchiando non è normale perdere il dono della sintesi? Rispetto alla trilogia del Signore degli Anelli e all'infinito King Kong siamo comunque su un lavoro ben diverso, che recupera l'aspetto intimista, perfetto per quanto riguarda la fotografia e la colonna sonora (da tempo mancava nelle sale un incastro immagini-suono così riuscito).
L'esagerazione di alcuni punti, percettibile anche nella durata di qualche passaggio, è il principale difetto del lungometraggio, assieme all'assenza di profondità psicologica dei personaggi, tutti appena accennati, eccetto il già citato Tucci, perfetto assassino seriale sotto un inquietante parrucchino biondo. Tutto il resto è impeccabile, frutto di scelte impavide. Osare fa sempre bene, soprattutto se si arriva a infrangere su frastagliate scogliere gigantesche bottiglie contenenti vascelli di legno.
La discesa di Susie nella tana del coniglio (che anticipa l'Alice di Tim Burton), alcuni richiami a Fritz Lang, l'iconografia influenzata da pop art e new age, le tematiche non inedite possono invitare a una lunga sequenza di titoli cinematografici. Su tutti però spicca un film ugualmente onirico, anche se sicuramente più riuscito. Così come per Il labirinto del fauno, di Guillermo del Toro, si esce dalla sala (o dalla stanza) senza mettere in dubbio l'esistenza di una doppia realtà. Due film che divergono su molti punti ma si avvicinano nell'efficacia dei risultati.
Un thriller riuscito, declinato su scala policromatica. Consigliato a chi ha amato il primo Jackson e ha voglia di perdersi in un'immensa narrazione onirica, tragicamente legata alla cronaca nera ma sempre distaccata da quello che è la quotidianità. Non c'è spazio per il pessimismo, anche nella tragedia. Non c'è vendetta né odio fuori dal corpo.
Una storia difficile da rappresentare, coraggiosa ed imperfetta.
Come si sente un pinguino chiuso in una sfera natalizia?
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