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7/10

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato regia di Peter Jackson

Fantasy
recensione di Federica Banfi

Bilbo Baggins (Martin Freeman) è un tranquillo hobbit della Contea, che si ritroverà suo malgrado protagonista di un viaggio inaspettato, in compagnia del mago Gandalf (Ian McKellen) e di una compagnia di tredici nani guidati dal guerriero Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage), alla ricerca di Erebor, il perduto regno dei nani, ora nelle grinfie del drago Smaug. Quest'avventura lo condurrà tra elfi, goblin, troll e altre creature, quali Gollum (Andy Serkis), che cambieranno il corso della sua tranquilla vita.

 Per una generazione come la mia, spesso cresciuta a pane e fantasy, Il signore degli anelli è uno di quei titoli che non può mancare nella propria libreria (o videoteca, che sia); che si trovi accanto alle Cronache di Narnia o piuttosto a quelle Del ghiaccio e del fuoco poco importa, il nome di John Ronald Reuel Tolkien rimane una costante. Che Lo Hobbit portato in scena Peter Jackson fosse un evento atteso dai più è innegabile. E il fatto che sia addirittura il primo film realizzato con la tecnica 3D HFR (quindi con un utilizzo di 48fps) ha reso l’attesa ancora più insostenibile per i fan della trilogia, ma non solo.

Quella dello Hobbit è una storia semplice, che nasce come favola della buonanotte e che Tolkien decide di pubblicare nel 1937: Bilbo Baggins (Martin Freeman) è un pigro hobbit di Hobbiville, che si ritrova, suo malgrado, protagonista di un’avventura inaspettata. In compagnia di tredici nani, guidati dallo stregone Gandalf il Grigio (Ian McKellen), andrà alla ricerca di Erebor, il loro perduto regno, ora governato dal drago Smaug.

Risulta impossibile non confrontare quest’ultima fatica di Peter Jackson con la precedente trilogia de Il Signore degli anelli. E non solamente a causa del ritorno di alcuni dei protagonisti (come non notare la presenza del Frodo di Elijah Wood, che fa quasi da tramite dagli uni all’altro) o perché si tratta, appunto, di un romanzo scritto dallo stesso autore: Peter Jackson, per il suo ritorno nella Terra di Mezzo, si circonda, infatti, dello stesso team che aveva fatto insieme a lui strage di Oscar meno di una decina di anni fa. Fanno, invero, nuovamente la loro comparsa nei crediti gli sceneggiatori Fran Walsh e Philippa Boyens, il costumista Richard Taylor, il direttore della fotografia Andrew Lesnie e, last but not least, il compositore Howard Shore.

Nonostante queste premesse, ciò che ci troviamo davanti è un prodotto per molti versi dissimile da quello che potremmo aspettarci e dai suoi gloriosi predecessori. Innanzitutto Lo Hobbit nasce come libro per ragazzi, quasi per bambini, una fiaba dedicata a grandi avventure e personaggi straordinari, e non dobbiamo perciò stupirci se ci ritroviamo ad assistere a gag più o meno divertenti, o canti nanici che ricordano quasi i cartoni animati. L’epicità della trilogia viene quindi spesso a perdersi per dare spazio a un’atmosfera che, per il momento, nonostante le prime battaglie contro orchi e troll, rimane decisamente più rilassata (come non menzionare la parentesi quasi ridanciana in compagnia dell’Istar Radagast il bruno!) e meno marziale rispetto alla trilogia; in una parola, fiabesca. Non mancano però parentesi eteree ed evocative, come quelle ambientate a Gran Burrone (superba peraltro la sua realizzazione), in compagnia di Elrond e Galadriel. Manca inoltre una vera e propria caratterizzazione della sgangherata compagnia di nani (escluso Thorin Scudodiquercia, interpretato da Richard Armitage, che è in tutto e per tutto un personaggio tolkeniano); quello che era il punto di forza della compagnia dell’anello qui si perde in favore di una scontata volgarità e un (talvolta) grossolano ricalco di alcuni dei personaggi della trilogia. Assolutamente insuperabile è però la sequenza più pregnante e fondamentale dell’intera pellicola: il primo incontro e la conseguente gara di indovinelli tra Gollum e Bilbo, un duello duetto tra professionisti. Il primo, che già ampiamente conosciamo, interpretato da un sempre bravissimo Andy Serkis, ormai veterano della motion capture, e un altrettanto abile Martin Freeman (visto ultimamente nella serie tv britannica Sherlock e già protagonista del film di culto Guida galattica per autostoppisti), perfetto nei panni dell’impacciato e pigro, ma al tempo stesso agile e furbo Bilbo Baggins. Una prova attoriale, da parte di entrambi, dal ritmo perfetto, che unita a un’ambientazione sotterranea più che suggestiva, rimarrà una delle più memorabili della nuova trilogia. La sceneggiatura, frutto di un lavoro a otto mani, che rimaneggeranno non solamente l’omonima versione cartacea della pellicola, ma anche alcune delle appendici appartenenti alla trilogia, prosegue fedelissima all’originale, rielaborata solamente qua e là per rendere più comprensibile ai neofiti la mitopoiesi tolkeniana. Menzione d’onore anche per la colonna sonora, di nuovo opera del compositore Howard Shore, il quale, oltre a proporre nuovi temi che accompagneranno i personaggi anche nei successivi episodi, ha anche musicato alcune delle canzoni scritte da Tolkien stesso e presenti all’interno del libro.

L’ultima fatica di Peter Jackson rimane quindi un’opera discretamente buona, con alti e bassi, questi ultimi dovuti principalmente a limiti tecnici. Innanzitutto la decisione trasporre sul grande schermo un romanzo che conta meno di trecento pagine in tre film dilata largamente i tempi dell’azione; se questo da un lato significa maggior aderenza alla fonte, dall’altro tende a rendere l’azione talvolta monotona e priva di quel ritmo che ci si aspetterebbe dal regista de Il Signore degli Anelli. In secondo luogo l’utilizzo, per la prima volta, della tecnica 3D HFR (ovvero high frame rate), che permette di girare e proiettare a 48fps piuttosto che i 24fps delle pellicole standard, donando maggior fluidità alla messinscena e rendendola più simile alla realtà, evitando i fastidiosi ‘sfarfallii’ che deriverebbero proprio dall’utilizzo, in particolare nel 3D, di un numero di fotogrammi al secondo inferiore rispetto a quelli percepiti normalmente dalla vista umana. Purtroppo però spesso la visione è resa difficoltosa dalla nuova iperrealtà cui ci troviamo di fronte, e molte scene sembrano quasi subire un aumento di velocità che risulta per molti versi fastidioso.

Nonostante alcune pecche Lo Hobbit rimane un degno prequel di una saga senza eguali, mantenendo le promesse fatte e donandoci nuovamente quell’atmosfera famigliare, fiabesca ed accogliente, che al cinema è difficile trovare, se non in una comodissima tana hobbit.

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