Alice in Wonderland regia di Tim Burton
FantasyAlice Kingsley, fu Charles, sta per essere promessa ad un goffo e noioso damerino di corte. Durante la cerimonia di fidanzamento, però, Alice vede un coniglio bianco con un panciotto e un orologio che le ricorda un incubo che faceva sempre da piccola. Seguendolo finirà in una terra fantastica popolata da una serie di esseri incredibili, un gatto che sorride, un bruco che fuma e molti altri, nonostante l'atmosfera del regno sembra grigia e cupa, almeno rispetto a come lo spettatore la ricordava...
Il cast di Tim Burton ormai somiglia più ad una compagnia teatrale, dove ogni tanto qualcuno resta fuori e qualcun altro entra, ma i solidi protagonisti regnano indisturbati sul proscenio: Johnny Depp è il solito affascinante punto di riferimento, un Cappellaio Matto istrionico e 'deliranzante', bravo anche quando deve stare fermo immobile; Helena Bonham Carter è, invece, l'ottima Regina di Cuori, forse un po' costretta dagli effetti e dal trucco, ma innovativa e conservatrice allo stesso tempo. Le novità sono l'Alice 19-enne e qualche innesto alla storia originale: il Fante di cuori e la Regina Bianca. Quest'ultima è una presenza ridondante che richiama maggiormente il Mago di Oz che Alice, una sovrana a capo di un esercito di pezzi da scacchiera di cui, sinceramente, avremmo fatto a meno; il Fante, invece, rappresenta al contempo un classico delle fiabe, un cacciatore di Biancaneve senza redenzione, ma anche il carburante delle idee di Tim Burton, anche grazie alla faccia da schiaffi di Crispin Glover (ehi, ma quello è George Mc Fly!!!) che aveva già scimmiottato in Epic Movie la figura di Willy Wonka che fu proprio di Johnny Depp. Irriconoscibili, invece, sono Alan Rickman nei panni del Brucaliffo e la voce (purtrppo per noi italiani perduta) di Cristopher Lee del Ciciarampa. Come si capisce, le fiabe si inseguono tra loro, cosa buona e giusta, anche nella testa del regista, combattuto tra la voglia di innovazione e il desiderio di dare alla storia la dignità cinematografica che, a suo dire, non aveva mai ricevuto appieno. Ma questa lotta finisce senza vincitori, pur con molti sconfitti. Chiarendo subito che il film è visivamente splendido, con un 3D mai forzato, delicato e accattivante, e scenografie bellissime, è ovvio che accontenterà molti ammiratori di Burton e molti fan sfegatati di Carroll; però, allo stesso tempo, i cineasti incalliti o gli spettatori neutrali si domanderanno, con molta probabilità, se qualcosa di meglio si potesse fare. E, conoscendo il background del regista, la domanda è puramente retorica.
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