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6/10

Il Grande e Potente Oz regia di Sam Raimi

Fantastico
recensione di Erika Sdravato

 

Quando Oscar Diggs, un piccolo mago circense dall'etica dubbia, viene scagliato dal polveroso Kansas al vivace regno di Oz, crede di aver vinto alla lotteria. Fortuna e gloria sembrano essere a portata di mano, finché non incontra tre streghe, Theodora, Evanora e Glinda, non così convinte che sia lui il grande mago che tutti stavano aspettando. Costretto contro la sua volontà ad affrontare i problemi epici del regno di Oz e dei suoi abitanti, Oscar deve capire chi sono i buoni e chi i cattivi, prima che sia troppo tardi. Mettendo a disposizione la sua arte attraverso l'illusionismo, l'ingegnosità e anche un po' di magia, Oscar diventa non solo il grande e potente mago, ma anche un uomo migliore.

 

Questa pellicola è da dividere drasticamente in due tronconi: l’uno degno di nota, l’altro di biasimo. Ed è obbligatorio aggiungere un sospirato “purtroppo”. Già, perché Il grande e potente Oz altro non è che un prodotto confezionato nel migliore dei modi, ma che riserba – sotto una copertina vivida e cangiante – un vuoto prodigio cinematografico, pressoché deludente. Ma il discorso da intraprendere sul film è molto più complesso di un’apparente critica svilente, dunque: iniziamo.

Una volta accomodati, si inforcano gli occhialini 3D (sovrapponendoli ai propri, da vista: la comodità delle doppie lenti è e resterà un miraggio) e si lascia che l’immaginazione inizi a dischiudersi per poter ben accogliere la proposta creativa di Sam Raimi (famoso soprattutto per aver diretto il classico dell’horror La casa e i film della serie Spider-Man). I titoli di testa riescono nel loro intento introduttivo, informativo e performativo ed affascinano quanto basta affinché ci si possa ritenere degnamente incuriositi e soggiogabili di fronte a qualsiasi trucchetto magico di Oz. Ed ecco quindi il protagonista, James Franco (che quest’anno avremo modo di valutare anche in This is the end e Lovelace), che dimostrerà efficaci capacità di immedesimazione ed espressività sin dalla sua apparizione. Apprezzatissimo il passaggio dal lungo e riuscito prologo in bianco e nero 3D girato nel tradizionale formato 1.33, che gradatamente si tramuta nel consuetudinario widescreen a colori, a significare l’ampliamento di orizzonti (paesaggistici e conoscitivi) verso i quali Oz approderà. Nelle sue fattezze e nella sua estetica, quest’ultima trovata prelude all’ingresso del Mago nel nuovo mondo e cancella dalla nostra appercezione critica e fruitiva ogni freno inibitorio della fantasia. Siamo ad Oz, i colori guizzano con fulgide campiture in ogni dove, i fiori si piegano armoniosi al nostro passaggio, tutti sono buoni e la diffusione della dolcezza visiva ci inebria e ci invade. Raimi non risparmia tecnologia e scenografia (del resto è a questo proposito che la Disney ha stanziato un budget di circa 200 milioni), entrambe messe a nobile servizio di vedute e squarci incantevoli e squisitamente disneyani. Il prescelto Franco si cala dal cappello ai piedi in un universo immaginifico e grandioso che diventa sede favorita in cui avviene l’incontro con le streghe Evanora, Theodora e Glinda. Ma dal momento in cui una delle tre si convertirà alla malvagità, inizierà l’inesorabile e lentissimo declino de Il grande e potente Oz. Senza rimedio alcuno. Fino a quel momento la caratterizzazione dei personaggi si era prodigata a favore di ogni buona intenzione registica attraverso la via via sempre più completa delineazione della figura del protagonista e la straordinaria rivisitazione della scimmietta alata Finley e della bambolina di porcellana (in assoluto, una delizia per occhi e orecchie, la migliore esecuzione in digitale del prequel). Fino a quel momento, a stento, ho trattenuto l’impulso di un applauso smodato. Fino a quel momento ho creduto di assistere al capolavoro di Raimi, quando in realtà, ben presto, ho dovuto ricredermi: più che capolavoro sarebbe bene parlare “solo” di lavoro. Difatti, ampio spazio è stato ingiustamente elargito a battute di poco senso ed inconsistenza dei personaggi femminili negativi, a detrazione del lavorio precedentemente costruito intorno alle altre figure. L’unico aspetto che permane agli stessi livelli di qualità iniziale riguarda la solida impalcatura scenica e costumistica. Probabilmente, l’elemento che sancisce la caduta del film è dato dalle banali impersonificazioni delle due streghe cattive: Rachel Weisz e Mila Kunis, qui non esattamente all’apice della loro bravura ed ingabbiate in dialoghi stereotipati. In definitiva, risulta impoverito il contenuto generale del film, che si risolve come appannaggio ideale di un pubblico esclusivamente minorenne.

Se potessimo dividere in due questo prodotto, sarebbe senz’altro più semplice valutarlo. Ma, dovendolo analizzare – com’è giusto – in virtù dell’unità dell’opera, è necessario mediare, trovare una soluzione di continuità tra le due parti così discordanti, cercare i motivi per i quali gli spunti originali ed originari sono stati abbandonati mettendo a repentaglio la gradevolezza generale di un film che tanto facilmente avrebbe potuto risolversi in maniera positiva (dal punto di vista contenutistico e qualitativo) in vista delle soddisfacenti basi su cui reggeva l’insieme. Le esigenze di fondo ci fanno intuire di come si sia voluto giocare andando “sul sicuro”, puntando sui luoghi comuni: il personaggio della scimmietta Finley ci ricorda in maniera evidente il Ciuchino di Shrek con la sua benevola simpatia, ma purtroppo la sua nota di attrattiva viene piantata in asso senza troppe remore a metà film, le streghe cattive disattendono qualsiasi agognata volontà d’innovazione riguardo il loro status, i collaboratori di Oz altro non sono che ben fatti involucri senza personalità alcuna. In sostanza, un film per piccini e piccine con una crepa a metà, che però neanche la “magica” colla di Oz può sistemare. Vero, bambolina di porcellana?

 

V Voti

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