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4/10

The Sessions regia di Ben Lewin

Drammatico
recensione di Erika Sdravato

Mark O'Brien ha trascorso parte della sua vita all'interno di un polmone d'acciaio a causa della poliomielite. Quando decide di esplorare la propria sessualità ingaggia un professionista del sesso che presto svilupperà con lui una relazione morbosa che cambierà il corso della vita di entrambi.

La disabilità che obbliga a cambiare il normale approccio col mondo e con la naturalità delle sue imprecise forme si esplica attraverso la persona del realmente esistito Mark O'Brien, giornalista e poeta scomparso nel 1999. Il sesso che inevitabilmente incuriosisce ed eccita le fantasie di un uomo trentottenne che soffre per la sua verginità. La domanda è: cosa accade quando disabilità e sesso si guardano, fanno conoscenza e si abbracciano? Qui, la risposta del regista e anch'egli poliomielitico Ben Lewin si appresta a definirsi sulle basi di un documentario premiato con l'Oscar nel 1997 e sull'autobiografia di Cheryl Cohen-Greene, la partner surrogata che inizierà Mark alla sessualità e alla scoperta del proprio corpo. Dal punto di vista cinematografico, ahinoi, The sessions non è niente di che, si sentono fino all'ultimo tutti i presupposti limitanti di una produzione indipendente che punta tutto sulle capacità espressive dei tre attori principali che afferrano con (coraggiosa) bravura le redini di un messaggio attuale, veridico e consistente, ma allo stesso tempo drasticamente impoverito dalla presunta efficacia dei dialoghi. L'unico baluginio di simpatia è affibbiato ad una battuta di un anonimo receptionist dell'hotel in cui hanno luogo gli appuntamenti tra Mark (John Hawkes) e Cheryl (Helen Hunt). I due hanno a disposizione sei sedute (oltre questo numero non si può andare - chiarisce la sex therapist è perchè in questo sta la differenza tra il suo lavoro e quello di una prostituta), ma di fatto si incontreranno solo quattro volte: e queste sembrano bastare affinchè scatti la (inverosimile) scintilla che potrebbe far prendere una piega diversa alla loro relazione insegnante-alunno e potrebbe anche compromettere la condizione di madre e donna sposata di Cheryl, che ricopre il ruolo di amante mediana tra altre due donne, le quali transitano prima e dopo di lei. Già, perchè Mark non può muoversi e non sa essere un focoso latin lover, ma è in grado di avere un'erezione e di innamorarsi (o meglio, è capace di affetto sincero) in modo ripetuto e quanto mai repentino. Alla sua morte, difatti, convoglieranno le tre figure femminili che hanno segnato le tappe dei suoi legami col gentil sesso (l'amor innocente e platonico di Amanda è Annika Marks, l'amor carnale e di scoperta di Cheryl e, infine, l'amor maturo e che assiste di Susan è Robin Weigert). The sessions si caratterizza come un film semplice, spontaneo e senza orpelli, ma purtroppo è privo di quel quid che, anche modesto, avrebbe potuto farlo volare alto: mancano o sono in stato di superficiale abbozzo le complete caratterizzazioni dei personaggi principali (se si esclude quella del parroco Father Brendan, interpretato da William H. Macy), doverose per la finitura di una tematica pregna di sensibilità come questa. Tutto viene lasciato un po' a se stesso, come se bastasse da solo e come se di per sè la materia su cui si sviluppa il film possa sopravvivere autogiovandosi. E non penso che questo sia dovuto a causa di un atteggiamento sbrigativo da parte del regista, quanto piuttosto proprio all'inadeguata convinzione che l'autenticità di una storia del genere - coadiuvata da una facile tendenza alla compassione (intesa come cum-patio) e al tempo stesso dai sinceri fremiti sudombelicali - possa da sola supportare e sorreggere la struttura di un'opera in tutta la sua interezza e complessità. E così risulta comprensibile l'infausto errore dei risultati.

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