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R Recensione

7/10

Colonia regia di Florian Gallenberger

Thriller
recensione di Erika Sdravato

Ispirandosi a eventi realmente accaduti, Colonia racconta la storia di Lena e Daniel, una giovane coppia che rimane implicata nel colpo di stato militare avvenuto in Cile nel 1973. Quando Daniel viene rapito dalla polizia segreta di Pinochet, Lena segue i suoi passi fino a un'area inespugnabile che si trova nel Sud del paese, chiamata Colonia Dignidad. La Colonia, apparentemente, è una missione guidata da un predicatore laico di nome Paul Schafer ma, nella realtà è un luogo dal quale nessuno è mai riuscito a fuggire. Lena deciderà di entrare a far parte di questa setta allo scopo di ritrovare Daniel.

L'11 Settembre non è solo una data che rientra tristemente nella memoria collettiva per l'attacco alle Twin Towers, ma segna anche il golpe militare del 1973 attuato da quello spregevole assassino di Pinochet. È da questo avvenimento che prende spunto ed avvio Colonia, ennesimo invito hollywoodiano/occidentaloide a riflettere sulla storia e sulla sopraffazione che, da sempre, essa comprende in sè. Sì, il cinema commerciale vuole dirci qualcosa. E non ce lo sussurra, non prova a rievocarci il passato attraverso criptiche metafore o nascosti simbolismi, quanto piuttosto romanza, ci ricama sopra, seleziona eventi di risonanza ed orrore collettivo per ricavarne racconti ispirati a gente con un vissuto forte e situazioni realmente accadute. E lo scopo è uno solo, dopo quello puramente monetario: istigare alla discussione, (s)muovere le coscienze intorpidite o ignoranti per esortare - talvolta debolmente, e solo sulla carta - al ribaltamento dello status quo. Come farlo? Attraverso volti hollywoodiani noti bianchi giovani e puliti, messaggi condivisibili, soprusi di fronte ai quali anche quel residuo di dignità di ciascuno tenderebbe a risvegliarsi e poi ribellarsi. Colonia è la storia non molto romantica di due amanti che sono costretti a ricercarsi dopo essere stati divisi da un regime che (come tutte le forme di governo dittatoriali) si impone con la forza uccide viola i diritti umani e governa nel modo più facile e imbecille possibile: con armi, istigazione all'odio e repressione continua. Se nella prima parte del film, Lena (Emma Watson) può permettersi di sgambettare con invidiabile dimestichezza su tacchi in tinta con abitini colorati e fare foto al fondoschiena del compagno coperto solo da un grembiule mentre prepara uova strapazzate, nella seconda sezione dovrà abbandonare se stessa e vestire i panni di una timorata aderente alla setta della comunità sud americana presso la quale è confinato il fidanzato tedesco - reo di aver ideato poster propagandistici all'autorità di Allende -, che si finge ritardato per sfuggire al sistema religioso estremista e malato della Colonia, istituito dall'accentratore pedofilo Schafer (il nome con cui è appunto ribattezzato l'esponente della comunità, Pius, tradisce la sua manifesta e terribile natura, così come avviene per il Dignidad che incornicia l'insegna all'ingresso dell'insediamento abitato e apparentemente inespugnabile). L'ormai adulta Hermione Granger, eroina davvero troppo poco credibile per l'aplomb con cui affronta i vilipendi psicologici (e non) cui è costretta per tutti i lunghissimi mesi di detenzione, ribalta sì il tradizionale ed idealistico clichè secondo cui il salvataggio della consorte spetta esclusivamente al baldo giovine di turno. D'altro canto, il suo rapporto amoroso con Daniel altro non è che una parentesi quasi trascurabile all'interno del film, a causa dell'attenzione e la cura cui è dedicata dallo script. Il sempre bravissimo e versatile Daniel Brühl rende perfettamente, a livello espressivo, le sensazioni che dovrebbe comunicare (per quanto in realtà il suo personaggio venga scarsamente indagato dal punto di vista psicologico): furbizia, sgomento, determinazione, smania di lasciare ai posteri una testimonianza fotografica di quando ha subito emergono tangibilmente nella pellicola, ma l'assenza di una costruzione introspettiva adeguata (colpa anche dello sceneggiatore Torsten Wenzel) impedisce a priori l'immersione totale dello spettatore nell'attante - e questo discorso purtroppo vale per tutti i personaggi, ivi compresa la protagonista femminile, a cui tanto tempo filmico è dedicato, e spesso male, nell'economia globale dell'opera. Dunque, l'impianto a metà tra il thriller politico ed il prison movie funziona per quanto riguarda il buon utilizzo di suspance tensione ed happy ending fino all'ultimissimo rimandato. Al contrario, la sceneggiatura non risulta mai definitivamente realistica ed incisiva: questo è indicativo di come la regia firmata dal premio Oscar Gallenberger abbia scelto di spendersi nella descrizione (anche planimetrica) dei luoghi e delle pratiche seviziatrici messe in atto, a pieno discapito di una sufficientemente valida resa dei dialoghi e delle emozioni viscerali dei caratteristi (ad eccezione, forse, del villain Michael Nyqvist). E così anche Colonia, cavalcando l'onda non così anomala e travolgente del filone del contemporaneo cinema sociale mainstream, grida una cosa sola: resistere. Anche quando tutti prendono a sberle la tua dignità la tua faccia e i tuoi ideali. Perchè la libertà è appena dopo il filo spinato e devi fare qualsiasi cosa sia nella tua facoltà per scavalcarlo e scappare via. Gambe in spalla fiato a perdere ma, soprattutto, occhi cuore e se stessi protesi verso un'unica direzione intima e collettiva: la propria Dignidad.

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