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7/10

Un Sapore di Ruggine e Ossa regia di Jacques Audiard

Drammatico
recensione di Fulvia Massimi

In cerca di lavoro, il belga Ali (Matthias Schoenaerts) arriva ad Antibes con il figlio di cinque anni e si ritrova presto introdotto in un giro di scommesse e incontri di boxe clandestini. Sarà il rapporto con l'addestratrice di orche Stephanie (Marion Cotillard), vittima di un terribile incidente, a cambiarlo profondamente.

Aspettarsi di ritrovare in De rouille et d’os (Un sapore di ruggine ed ossa nella traduzione italiana “per eccesso”) il Jacques Audiard de Il Profeta sarebbe una speranza vana in partenza. Con la tragedia carceraria candidata all’Oscar nel 2010, il cineasta parigino non si era infatti limitato a realizzare il proprio capolavoro, bensì a mettere un punto fermo nella propria carriera registica, toccando l’apice di quell’epica della violenza e dell’istinto di sopravvivenza inaugurata nel 1994 da Regarde les hommes tomber.

L’opera ultima di Audiard si rivolge piuttosto al passato, alle atmosfere cariche di tensione erotica e suspense del magnifico Sulle mie labbra, rielaborandone con minor efficacia ma maggior trasporto gli snodi fondamentali. Nella relazione ambigua tra il pugile Ali e la disinvolta Stéphanie sembrano rivivere le dinamiche del desiderio tormentato della segretaria sorda Emmanuelle Devos per l’ex-galeotto Vincent Cassel. L’interesse di Audiard si sposta nuovamente verso la rappresentazione di una disabilità emotiva, prima ancora che fisica, e l’indagine lucida, ma meno distaccata che in passato, di una microcriminalità forzata dalle circostanze ma persuasa da più grandi ambizioni (il piano per il Thomas di Tutti i battiti del mio cuore, la carriera boxeuristica per Ali).

La menomazione del corpo – ostentata senza filtri ma generata fuori campo – interessa meno della mutilazione affettiva auto-inferta dai protagonisti, verso i quali l’empatia matura con lentezza quasi inesorabile, esplodendo sul finale con ferocia melodrammatica. È d’altronde, questa, una caratteristica ricorrente nella scrittura asciutta dell’Audiard sceneggiatore (affiancato per la seconda volta da Thomas Bidegain): la capacità di caratterizzare personaggi apparentemente nichilisti,  devoti solo al proprio interesse e indifferenti verso i richiami dell’affetto (filiale) e dell’amore (non erotico), ma ricchi di una fragilità nascosta, costretta alla luce da una tragedia amplificata fino al parossismo.

È attraverso la disgrazia, a tratti così brutale e assurda da generare momenti di involontario umorismo (pirandelliano), che l’individualismo egoistico dei personaggi viene prima questionato e infine messo in crisi, portando al crollo delle barriere erette a difesa del sé contro la minaccia (emotiva) dell’altro. Il rimando insistito e premonitore al dettaglio del corpo scomposto (le gambe di Stéphanie, le mani di Ali) fa sì da correlativo oggettivo ad un’assenza futura, ma rimanda anche all’incapacità di esprimere a voce ciò che si prova dentro e che si sceglie piuttosto di incidere sulla pelle o di mischiare con lividi e sangue.

Audiard affronta la questione del desiderio femminile e dell’incerta sensibilità maschile secondo modalità analoghe a Sulle mie labbra, arrivando però ad esplicitare con ruvidezza l’elemento carnale allora latente. Nella sua voracità programmatica (l’”operatività” di Ali), il sesso, come la lotta a mani nude, è l’elemento che consente la messa in campo di un discorso più allargato sulla ferinità dell’individuo e su quanto i bisogni primari possano intaccarne l’umanità. L’associazione manifesta, sia a livello visivo che concettuale, dell’essere umano con la bestia (il cane, l’orca), offre un’analogia fin troppo leggibile del comportamento di Ali, che dell’animale non addomesticato ha l’istinto, la propensione alla lotta come dimostrazione di sovranità territoriale e virilità esibita, ma anche l’impeto di improvvisa tenerezza.

La dominanza degli interni e la claustrofobia degli spazi chiusi – acuita al massimo grado ne Il Profeta – vengono curiosamente abbandonate da Audiard, che pure rifugge le atmosfere familiari e suburbane della propria città natale a favore dell’insolita location costiera della Francia meridionale. La scelta, tutt’altro che casuale, si dimostra funzionale a rimuovere la prossimità dei personaggi allo spazio che li contiene (immediata, invece, nelle pellicole precedenti), delineando un contrasto potente tra la serenità degli scorci paesaggistici e il realismo sporco del cinema di Audiard, rispecchiato alla perfezione dalla fotografia di Stéphane Fontaine.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, scriveva de Saint-Exupéry, ma Audiard ha il talento di renderlo visibile, manifestando sullo schermo, così come in sceneggiatura, le potenzialità di una trama fatta di spunti poco sviluppati solo in apparenza, ma in realtà determinanti per il successo dello svolgimento narrativo. L’impasto di crime e romance tipico della filmografia audiardiana – eccezion fatta, comprensibilmente, per Il Profeta  – procede, qui come in precedenza, in modo paradossale: sottraendo informazioni ma accumulando consapevolezza. Personaggi secondari “di contorno” (la sorella di Ali, la “spia” Bouli Lanners) si scoprono decisivi, mentre eventi di portata macroscopica (l’invalidità di Stéphanie) passano tranquillamente in secondo piano, sostituiti da svolte meno prevedibili.

Audiard delinea un abbozzo di critica sociale conciso ma attento, lasciando però al dato emotivo, raffreddato in principio per diventare poi trainante, il compito di rimuovere le incertezze sulla natura dei due protagonisti. Passando attraverso l’esperienza di un dramma dilatato all’inverosimile – al punto da apparire quasi eccessivo – Stéphanie e soprattutto Ali (l’intensa performance di Schoenaerts è in tal senso fondamentale) si liberano dagli impedimenti delle rispettive disabilità per mettere completamente a nudo la propria vulnerabilità.

Un dente insanguinato che rotola sull’asfalto o il rumore sordo di ossa che si rompono (è in fondo questa la sinestesia percettiva che il titolo del film vorrebbe suggerire), sa cogliere in un istante ciò che l’inefficacia delle parole riuscirebbe, forse, a sfiorare soltanto. Il dolore è un concetto prismatico, che Audiard vorrebbe affrontare con ostentato cinismo, senza  però riuscirvi. “Someday my pain, someday my pain, will mark you“, cantano i Bon Iver nel brano che chiude il film – pezzo forte di una soundtrack assolutamente centrata, affiancata dalle musiche del “solito” Alexandre Desplat – e non potrebbero esserci versi più veritieri per descrivere la sensazione che l’opera di Audiard è in grado di provocare.

Il distacco dello sguardo dietro l’obiettivo non è mai totale e, per quanto cruda e spietata possa essere, la rappresentazione del reale non pecca mai di freddezza emotiva. Che sia la rabbia (Tutti i battiti del mio cuore), il desiderio (Sulle mie labbra), o la portata inattesa di un sentimento (Un sapore di ruggine ed ossa) a fare da tramite, l’umanità dei personaggi viene infine denudata e la sofferenza si fa tangibile, concretamente percepibile, generando un’identificazione cui è difficile sottrarsi. Ma non è la compassione che Audiard mira a suscitare, e il suo trattamento dell’invalidità fisica ne è la dimostrazione. Il corpo mutilato non si offre allo sguardo caritatevole ma sfoggia con orgoglio le protesi meccaniche che lo sostengono: esso non è che un involucro, un ammasso di fibre nervose e sangue e muscoli che colpiscono e vengono a loro volta colpiti, ma la cui ferita più dolorosa non è mai quella della carne e, forse, solo nel lieto fine relativamente canonico che Audiard predispone per loro i personaggi ne riescono in qualche modo guariti.

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alexmn 8/10

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tramblogy (ha votato 5 questo film) alle 14:27 del primo dicembre 2012 ha scritto:

Orribile. Di tutto di piu....non si capisce perche si contattino...due perfetti sconosciuti...il tipo che rompe il ghiaccio con le mani, scena ridicola mai vista....film assurdo.

alexmn (ha votato 8 questo film) alle 23:32 del primo dicembre 2012 ha scritto:

non è che si debba capire tutto in una sceneggiatura..non tutte sono scritte all'americana, non è necessario spiegare ogni singolo passaggio. basta non ci siano buchi e qui, sinceramente, non ce ne sono di eclatanti. il fatto che si contattino è perfettamente plausibile, basta aver vissuto un po' per capire che può succedere, nella vita vera...lo stesso per la scena del ghiaccio, la disperazione può spingere una persona a fare qualsiasi cosa, anche una che dall'esterno può sembrare assurda.

tramblogy (ha votato 5 questo film) alle 22:40 del 2 dicembre 2012 ha scritto:

Dipende cosa c'è da spiegare..dato che al cinema in due mi hanno domandato perche la tipa ha chiamato e sopratutto perche lui le ha detto di si....per una scopata?...lui un puttaniere robotico della serie prendo qualsiasi cosa che respiri, lei invece, solo a te capitano ste cose così realistiche , una dello star sistem, molto famosa e pure televisiva, che si ricorda non dei milioni di amici per poterla consolare, ma del prio straccione ignorante che ha conosciuto mesi prima per 5 minuti...ma si, hai ragione il film in fondo doveva pur partire con una storia...Mha!??

alexmn (ha votato 8 questo film) alle 23:41 del 2 dicembre 2012 ha scritto:

sarebbe stato didascalico far vedere che, post incidente, tutti gli pseudo-amici sono gradualmente scomparsi..e poi, come succede in seguito a un evento così traumatico (non sono a dirlo io, ma la psicanalisi moderna), l'individuo cerca di allontanarsi da tutto quello che lo legava alla vita precedente, dagli amici a tutto quello che può far ricordare qualcosa che non può più esserci (o almeno così si può essere portati a pensare). in questo senso il fatto di chiamare qualcuno che praticamente non conosci risulta più-che-plausibile, perchè è una relazione sociale che non ha alcune legame col passato e proprio in virtù di questo non avrebbe conseguenze negative nel caso non dovesse avere un futuro. per dirlo con la teoria dei giochi, un equilibrio di nash. la risposta di lui, come hai detto anche tu, all'inizio è affermativa per il suo spirito 'basta che respiri'..poi le cose in lui cambiano, con un arco narrativo che va ad influenzare anche il personaggio di lei.

tramblogy (ha votato 5 questo film) alle 0:38 del 3 dicembre 2012 ha scritto:

Sarebbe stato fondamentale, non didascalico, dato che ipotizzi ma non sai in realtà se i suoi amici l'hanno abbandonata. Tu lo sai?sei sicuro?io no. Inoltre il pubblico non ha preso lezioni di neuropsichiatria prima di andare al cinema...Alla fine deduco anche che potresti avere una spiegazione plausibile e tecnica e medica su come si puo sopravvivere oltre il minuto sotto l acqua gelata e su come si possa rompere con un pugno una lastra di ghiaccio tanto spessa quanto il peso del corpo che la sostiene. E comunque il film e' brutto in ogni caso.

alexmn (ha votato 8 questo film) alle 11:28 del 3 dicembre 2012 ha scritto:

fondamentale..mah..non direi. come ho scritto nel primo commento, c'è un certo cinema (quello americano mainstream o quello, stupendo, di nolan) cui piace spiegare tutto, c'è altro cinema cui piace lasciare sottintesi o spazi d'interpretazione allo spettatore (che non vanno interpretati come buchi di sceneggiatura). io presumo ci sia una spiegazione (e facendoti una ricerca sul web la troversti anche tu) perchè audiard, da buon sceneggiatore, s'informa su quello di cui scrive..

e comunque audiard non è che stia inventando nulla..sta semplicemente raccontando eventi che nella vita di tutti i giorni accadono a tante persone..

che il film sia 'brutto', classe di giudizio molto infantile, è comunque una tua opinione personale che non condivido. detto questo, passo e chiudo perchè una discussione non costruttiva rischia soltanto di essere una perdita di tempo.

tramblogy (ha votato 5 questo film) alle 13:25 del 3 dicembre 2012 ha scritto:

Mi stai dando dello stupido?cioe se dico che e' brutto e' infantile?e' ovvio che e' un mio giudizio personale, ma tu ti arrampichi sugli specchi e non trovi nessuna giustificazione plausibile....renditi conto....se vuoi passiamo agli insulti. Tocca me?

alexmn (ha votato 8 questo film) alle 14:45 del 3 dicembre 2012 ha scritto:

mai insultato nessuno su internet e mai lo farò. infantile era soltanto per dire che è una categoria molto basica di giudizio, soprattutto se non specificato in modo valido. quello che si sta arrampicando sugli specchi evidentemente non sono io, che ho dato più-che-valide motivazioni...quello che, non sapendo/volendo (non conoscendonti non lo posso sapere) replicare, la sta buttando in caciara sei tu. la mia era una normale discussione di cinema..non capisco e non capirò mai chi non riesce a reggere, su internet, una discussione come si deve senza buttarla sulla rissa o sugli insulti. detto questo, mi fermo qui. pace e bene.

tramblogy (ha votato 5 questo film) alle 15:50 del 3 dicembre 2012 ha scritto:

sono già 2 interventi miei in cui definisci gli stessi non costruttivi, dove riassumi per basica infantile un giudizio fatto dalla parola brutto (lo usano i bambini?), cerco di riflettere su piu punti del film dove potrebbe crollare tutto il soggetto (non vorrei farti perdere tempo, ma li hai letti?) ma trattasi di ciaciara. sei il primo a buttarla diplomaticamente, su rissa e insulti. in realta avrei preferito un vaffanculo sincero piuttosto di tutta questa falsa diplomazia tanto cara che alla fine mi fa passare per stronzo. io di spiegazioni logiche e concrete ne ho date, tu hai solo dettato modi e istruzione d'uso della netiquette facendomi passare per il cattivone. Un ultima considerazione, Conosco i soggetti in cui non si ha bisogno di avere spiegazioni evidenti, purtroppo questo racconto non è il caso specifico. Nella realtà di tutti i giorni e in cui vivo non esistono queste improbabili collisioni, mancava proprio il movente per proseguire con la storia. in piu mette in ballo tanta di quella roba che poteva farci una serie televisiva, dal fightclub al kimkiduk style, e gli ultimi 5 minuti gridano il miracolo, che non avviene, se non quello cinematografico, nel momento in cui lo spettatore, haimè, è già altrove...uff..pant, pant...esci dal cinema!!