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7/10

I Corpi Estranei regia di Mirko Locatelli

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

Antonio è in viaggio con il figlio Pietro a Milano, per sottoporre quest'ultimo ad un'operazione per l'asportazione di un cancro.

Il soggiorno in ospedale sarà occasione per venire in contatto con un mondo di immigrazione, che metterà alla prova l'atteggiamento di Antonio verso le culture diverse da quelle di appartenenza.

 

L’affidarsi ad un attore professionista come Filippo Timi, ha giovato al cinema di Mirko Locatelli.

Se rimane quel forte contatto con la realtà che avvicina il cinema del regista milanese al filone della docufiction italiana, d’altra parte la volontà di costruire una sceneggiatura che tenda ad universalizzare una storia e la distingua dalle altre, avvicina il cinema di Locatelli al cinema francese di stampo sociale, che tanta fortuna ha avuto negli ultimi vent’anni oltralpe.

Locatelli costruisce un film sui silenzi dei protagonisti, sui loro sguardi e sui loro brevi contatti fisici: corpi estranei, perché pur conoscendosi, rimangono distanti per mentalità e cultura. Il giovane tunisimo Jareb e l’italiano Antonio, padre di famiglia, in soggiorno a Milano per sottoporre il figlio Pietro ad un’operazione per l’asportazione di un cancro.

Locatelli centra il film su questo rapporto: il sospetto, la distanza, ma contemporaneamente  il contatto verbale e visivo che intrattengono questi due personaggi, specchio di una Milano e di un’Italia che vive il cambiamento della globalizzazione e del libero spostamento di persone e merci, che provoca il contatto e lo scambio sempre più frequente tra culture e costumi.

Sarebbe facile cadere in stereotipi, ma l’occhio del regista, inizialmente a sua volta distaccato e nascosto, riesce a rappresentare questa transizione con lucidità e realismo, forse talvolta un po’ troppo esasperato. Come notai già nella recensione del primo film di finzione di Locatelli (Il primo giorno d’inverno) il regista sembra talvolta dimenticarsi della necessità di scindere il reale dalla finzione e fa soffrire lo spettatore appiattendosi nella mera successione di eventi realistici, dimenticando una certa inventiva in fase di soggetto e sceneggiatura.

Talvolta lo stesso montaggio vive di cesure troppo subitanee e di un alternarsi di sequenze  ripetitive che avrebbero potuto essere meglio calibrate e utilizzate, risparmiando minutaggio a favore di una maggiore fantasia.

Nel complesso però l’opera risulta veritiera e gradevole e fuori dai luoghi comuni sugli immigrati in senso negativo o al contrario positivo, rappresentandoceli come delle persone comuni, capaci di condividere le nostre sofferenze e le nostre gioie.

Un messaggio sicuramente positivo che sorge laddove l’immigrazione è capace di integrazione, ma ciò è possibile laddove ci siano un comun sentire sui principi basilari del vivere e dove le regole siano rispettate da tutti.

Filippo Timi ha riportato per questa interpretazione il premio  Jean Carmet come miglior attore al festival Premiers Plans D’Angers,  sicuramente meritato. La sua interpretazione è talvolta fin troppo verace e sanguigna nel ricalcare la figura del padre di famiglia, ma sicuramente di buon livello.

A fare da sottofondo allo scorrere delle immagini le belle musiche dei Baustelle, mai invasive e superflue, bensì capaci di sottolineare con garbo i momenti decisivi del film.

Il film ha partecipato in concorso al Festival del Cinema di Roma 2013.

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