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7/10

Perdona e Dimentica regia di Todd Solondz

Commedia
recensione di Fulvia Massimi

Piccole donne crescono: Joy, Helen e Trish Jordan sono tornate, con il loro carico di fantasmi, angosce, frustrazioni e amori infranti.

Sono passati undici anni da Happiness ma le sorelle Jordan non hanno mai smesso di tormentare Todd Solondz, che attraverso le loro miserie dipinse uno dei ritratti più spietati della società americana contemporanea. Due anni dopo, la sua progenie “edulcorata” (l’American Beauty di Sam Mendes), avrebbe raccolto i frutti di un successo che Solondz non aveva avuto il privilegio di ottenere, conquistando cinque statuette agli Oscar del 2000.

Ma la feroce puntualità nel descrivere con dissacrante sarcasmo l’America di oggi ritorna in Life During Wartime (i distributori italiani preferiscono calcare la mano sul leitmotiv “perdona e dimentica” ma, come in Happiness, il titolo originale si rifà ad una canzone di Trish), ancora inedito negli USA al momento dell’uscita italiana. Alla 66esima Mostra del cinema di Venezia c’era chi l’avrebbe voluto veder trionfare e non è un mistero che la critica ami Todd Solondz (che con Happiness si aggiudicò il FIPRESCI a Cannes ‘98): il suo umorismo corrosivo colpisce nuovamente nel segno, sconvolgendo con la sua disarmante verità.

“Sequel” totalmente improbabile, Life During Wartime, ignora qualunque regola di verosimiglianza, stravolgendo l’intero cast (il personaggio di Allen, che fu di Philip Seymour Hoffman, “diventa” nero) e spostando l’azione in una Florida color caramella, in cui le sfumature pastello di Happiness si intensificano grazie alla caldissima fotografia di Edward Lachman, amplificando fino al parossismo l’impressione di un’esistenza artificiale. Nessun trattamento di riguardo per il pubblico: che conosca o meno gli antecedenti ha ben poca importanza, l’umanissima tragedia del vivere moderno ha portata universale e potrebbe avere il volto di chiunque. Ma per Solondz lo sguardo è costantemente rivolto al passato: i primissimi fotogrammi di Life During Wartime hanno il sapore di un déjà vu (e non solo per Trish). Il cinismo è servito ancor prima d’avere il tempo di ordinare.

Se il ’98 era il tempo delle aberrazioni, il 2009 è quello delle riflessioni: padri pedofili, onanisti compulsivi, donnette frustrate, egotiche o sfigate, restano sullo sfondo di una lotta insanabile tra rimozione e perdono, capace di mettere in crisi un bambino ma di non turbare eccessivamente gli adulti. Come Billy, con il suo desiderio di raggiungere la tanto agognata eiaculazione, si faceva coscienza di Happiness, così il fratello Timmy (Dylan Riley Snyder), prossimo a “diventare uomo”, è  il vero spirito critico della pellicola, unico sguardo innocente corrotto dai discorsi surreali di una madre (Allison Janney al posto di Cynthia Stevenson) pronta a tutto pur di proteggere i figli dai disturbi paterni ma non dal riempirli di psicofarmaci.

Alla cerimonia del bar mitzvah (reminescenze di A Serious Man?) il nerissimo humour “giudaico” trova compimento, tiranneggiando le tradizioni ebraiche come in un cocktail di Woody Allen e fratelli Coen corretto con soda (caustica) ed è difficile credere persino alle più coriacee esibizioni di serietà (il dialogo tra Billy e il padre con coppia di scimmie sodomite sullo sfondo basta a chiarire il concetto).

Grazie all’impiego costante del campo-controcampo, il dramma si esplica nel dialogo, come da miglior tradizione teatrale, ed è nel confronto continuo tra coppie di personaggi reali o presunti tali (abbondano le comparsate post-mortem gravide di collera inespressa) che si gioca la riflessione dominante del “perdonare e dimenticare”. La dialettica trionfa per assurdo, portando all’estremo la fondamentale incomunicabilità tra gli individui, troppo presi da se stessi per ascoltare realmente gli altri (esemplare l’egocentrica Helen Jordan, sceneggiatrice di successo con manie di perdono). Ed è grazie all’apporto di Moni Ovadia ai dialoghi che, nonostante un doppiaggio discutibile (si spera volutamente artificioso), la sceneggiatura di Solondz mantiene intatta tutta la sua virulenza.

 

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