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5/10

Riparare i Viventi regia di Katell Quillevere

Drammatico
recensione di Claudia Mastro

A seguito di un gravissimo incidente, Simon, surfista amatoriale, rimane in coma. Non c'è più niente da fare ed i dottori spingono per un trapianto degli organi del giovane. Intanto Claire, dall'altra parte della Francia, aspetta un cuore. Consigliare i genitori di Simon è l'unico passo che divide i due, e che può dare speranza a entrambi: per uno di vita, per l'altro di continuare a vivere (anche se lontano dal suo corpo).

Un tema non facile, per due motivi: la materia importante, e la difficoltà che si scada nella soap nonostante la tristezza dell'argomento visti i riverberi tipici da romanzo rosa che crea il classico tema "trapiantato vive grazie al sacrificio di qualcun'altro, erditandone anche i tratti" (una verità, quest'ultima, mai supportata da prove scientifiche ma talmente usata ed abusata da film che ormai è diventata verità).

Non bastasse il difficilissimo confronto genitori-morte del figlio, per quanto riguarda l'ambito "accelleratore spinto sul dramma", c'è anche una sequenza davvero lunga in sala operatoria, a cui vanno aggiunti i dettagli pseudo-gore dell'incidente di Simon. Perchè tutto in Riparare i Viventi, ma proprio tutto, è tratteggiato con mano pesante. Dal momento che in alcuni punti (soprattutto nel desiderio di finire in qualche cinquina a qualche premiazione) il film sembra ricordare Mare Dentro, sarebbe bene che l'ispirazione fosse stata ancora più diretta, nel positivo più che in negativo: per continuare il paragone, è come se nel noto film con Bardem oltre che la sua tragica situazione finale, ci avessero mostrato anche il tremendo incidente, nonchè i il dottore che gli annuncia la sua condizione imperitura da tetrapalegico.La scuola parigina da sempre non si tira indietro di fronte ai racconti di male-malattia e morte estremi (Un sapore di Rugine e Ossa, Piccole Bugie Tra Amici) ma in Riparare i viventi la continua marea di dettagli pesanti e truci diventa quasi pornografia del dolore. Non si capisce bene chi possa vedere un film del genere assaporandone il messaggio di speranza (il trapianto è sempre e solo bene) senza cadere sotto l'ecatombe di pesantissima tristezza che si attraversa prima di arrivare ad un tunnel di luce finale, molto finale. E' come se qualcuno, tra la sceneggiatura e la regia, non pensi che il sacrificio di Simon sia abbastanza per spiegare che tortura abnorme passino tutti (i genitori, la ragazza in attesa, ma anche l'infermiera Jeanne, per altri motivi addolorata) quando a  contatto con un trapianto, e che quindi esasperi tutto rendendo il film una farsa grottesca, dove tutti diventano più che protagonisti con delle vite vere e proprie, solo protagonista 1, protagonista 2 etc, come in una pubblicità progresso.

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