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7/10

I Puffi 2 regia di Raja Gosnell

Animazione
recensione di Antonio Falcone

In quel di Pufflandia tutti i Puffi sono intenti ad organizzare la festa per il compleanno della dolce Puffetta, creata tempo addietro da un grumo d’argilla, con intenti malefici, dal malvagio stregone Gargamella (Hank Azaria). Pur se il Grande Puffo, grazie ad una formula magica, l’ha resa blu come tutti gli altri, unica donna della grande famiglia, la festeggiata è tormentata dai ricordi delle sue origini, col timore di non essere del tutto ben accetta. Intanto a Parigi il perfido fattucchiere, sempre in compagnia del gatto Birba, ogni sera ammalia il numeroso pubblico dell’Opéra con portentose magie, ma il successo non lo ha distolto dall’intento d’impadronirsi dell’essenza puffa per conquistare il mondo. Al riguardo ha elaborato un diabolico piano, che prevede, dopo la creazione dei Monelli Pestifera e Frullo, il rapimento di Puffetta. Sarà l’inizio di una nuova avventura, protagonista una variegata squadra di salvataggio: Grande Puffo, Tontolone, Vanitoso, Brontolone e la famiglia Winslow, papà Patrick (Neil Patrick Harris) e relativo patrigno (Brendan Gleeson), mamma Grace (Jayma Mays), il loro figlio Blu (Jacob Tremblay)…

I Puffi 2  segue al fortunato capostipite del 2011, sempre Raja Gosnell alla regia e quasi identico nutrito pool di sceneggiatori (J. David  Stem, David N.  Weiss, Jay  Scherick, David  Ronn, cui si aggiunge Karey Kirkpatrick): muta la location, da New York a Parigi, ma rimane del tutto simile la linearità della trama, piuttosto elementare e prevedibile ma in fondo funzionalmente in linea con la sua destinazione principe. Siamo infatti di fronte ad un classico film d’intrattenimento per famiglie, capace di ammaliare i più piccoli e convincere gli adulti anche in virtù di un  certo fascino visivo, supportato dall’ottima fotografia (Phil Mèheux ), la quale offre una visione piuttosto suggestiva di molti angoli parigini. L’effetto cartolina è dietro l’angolo, ma viene presto superato grazie alla spettacolarità di molte sequenze (come il decollo dai Giardini della Tuileries dei due Monelli e di Puffetta, a bordo di alcune cicogne,  per poi sfiorare i contrafforti della cattedrale di Notre Dame), dove, fra l’altro, il 3D trova finalmente piena giustificazione.

 Nella sempre pregevole e perfezionata tecnica d’animazione mista all’azione dal vivo, la narrazione riesce nel complesso ad avvincere e  a destare attenzione, in virtù di tutta una serie di trovate rocambolesche, supportate da un umorismo slapstick che richiama tanto le vecchie comiche che cartoni animati d’antan (lo scompiglio in una pasticceria causato da Frullo, dove sembra di rivedere Tom e Jerry in azione, come già evidenziato da altri), con gli attori umani propensi a stare al gioco (solo Gleeson mi è parso vagamente spaesato) o sempre sopra le righe (Azaria, anche se i duetti con Birba sono piacevoli). Vengono poi innestate lungo il percorso tematiche di un certo spessore (la valenza delle proprie origini a confronto con l’ambiente in cui si è cresciuti, l’accettazione di sé e del prossimo) offrendo un parallelo tra le vicende di Puffetta che si ritrova con due papà e quelle di messer Winslow alle prese con l’accettazione del patrigno subentrato al genitore che lo ha abbandonato da piccolo, mai del tutto definitiva nel corso degli anni, offrendo la didascalica conclusione “non è importante da dove vieni ma chi scegli di essere”.

 Per quanto la melassa grondante dallo schermo, fortunatamente non esaltata dalla visione stereoscopica, rischi di minare i buoni propositi degli adulti volontari alla visione, la mia impressione è che rispetto al primo film si sia riusciti a conferire un certo assunto fiabesco, ingenuo quanto si vuole ma capace di farci salpare per un viaggio alla volta del regno della Fantasia. Il tutto a patto di scendere a patti con se stessi, nella consapevolezza di ritornare, tra una risata e un oooh di meraviglia, ad uno stato fanciullesco, così da generare una sorta d’empatia con l’originario bacino d’utenza, d’altronde furbescamente coccolato tanto nel ricorso a più di un product placement (dalla tecnologia al dessert) che nell’adeguare gli Schtroumpfs creati (’58) dal disegnatore Pierre Culliford, in arte Peyo, ai richiami del mondo moderno (ogni omino blu ha un profilo su Facepuff), pur continuando ad abitare nelle loro case-fungo ai margini della foresta. Per i vecchi babbani come lo scrivente non resta altro che prenderne atto e constatare la validità dell’impianto originario delineato dal loro citato papà, passato negli anni dalle tavole a fumetti ai cartoni televisivi ed infine al cinema, riuscendo a conquistare il cuore di più generazioni. Come ho già scritto nella recensione del primo film, a ciascuno i suoi Puffi, puffarbacco!

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