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R Recensione

3/10

Storia d'Inverno regia di Akiva Goldsman

Drammatico
recensione di Erika Sdravato

Basato sul romanzo del 1983 di Mark Helprin, Racconto d'Inverno è ambientato nel 1916, in una moderna Manhattan e racconta la storia di Peter Lake (Colin Farrell). Una notte d'inverno, Peter Lake, orfano ed esperto meccanico, tenta di svaligiare un palazzo-fortezza nell'Upper West Side. Sebbene creda che la residenza sia vuota, la figlia dei proprietari è a casa. Inizia così l'amore tra Peter, uno scassinatore irlandese di mezza età e Beverly Penn (Jessica Brown Findlay), una giovane ragazza che sta morendo. Anthansor, un misterioso cavallo bianco, salverà Peter Lake dal folle gangster Pearly Soames (Russell Crowe) e diventerà il suo angelo custode.

Una giovane dai boccoli rossi sta suonando animosamente un pianoforte, una nota segue all'altra, irriducibile, armoniosa, leggiadra. Un ladro irrompe nella sua casa, la combinazione della cassaforte sarà per lui come un'operazione matematica per Ramanujan. Ma tutto si ferma: il delinquentello sospende la sua illecita attività e si pone in ascolto. La ragazza si accorge di lui e delle sue losche intenzioni, e - anzichè urlare e dimenarsi nella sua vestaglia trasparente - gli offre un pregiatissimo the nero cinese. Del resto, cos'ha da perdere una lattea giovinetta destinata precocemente alla morte? Di cosa può aver paura? Forse del rammarico degli spettatori paganti accorsi in massa a vederla su grande schermo. La prima regia di Akiva Goldsman è un bluff, un'imperdonabile presa in giro, un'occasione sprecata insieme al potenziale attoriale coinvolto. Una scena succede all'altra senza che mai riesca a stupire, emozionare, destare vivo interesse, coinvolgere. Eppure il presupposto di base avrebbe potuto - se diversamente declinato - rubare mille cuori ed altrettanti applausi, soprattutto in vista dell'accattivante trailer del film, montato ad hoc per attirare i trasognanti fans dei romantic movies e di quello zuccheroso palpitare di sentimenti chiamato amore. Ma, ahinoi, questo è Storia d'inverno: inverosimiglianza senza incanto. Amore senza perchè. Cinema senza anima. Nulla più. Se non un'inspiegabile accumulo di grandi attori, chiamati a dare una sonora stoccata alla loro pur dignitosa carriera: Will Smith si cimenta in un personaggio luciferino davvero scarsamente credibile; per non parlare poi della coppia di protagonisti maschili, Colin Farrell e Russell Crowe, l'uno sciatto ed improbabile alter ego dell'altro: il primo tutto bontà, ardore ed ingiustificata sensiblerie, il secondo in preda a continui spasmi d'odio e gratuita violenza. Incredibile come Goldsman sia riuscito a convincere tre professionisti di questo calibro per un filmucolo di così basse motivazioni (commerciali più che artistiche). Nonostante un'impeccabile fotografia (merito tutto di Caleb Deschanel), a tratti onirica e fiabesca, la pellicola non soddisfa sotto nessun punto di vista. Addirittura la sceneggiatura, curata personalmente dal regista (conosciuto principalmente per gli scripts di Batman forever, A beautiful mind, Io, robot, Il codice da Vinci, Io sono Leggenda, Angeli e demoni) risulta essere tanto banale quanto penosamente assurda. Allo spettatore - che quell'aria romantica vorrebbe respirarla ancora, che quella magia che solo il cinema sa regalare vorrebbe subirla sempre e comunque - non resta che fare la stessa fine della protagonista, quella bella fanciulla dai capelli color cremisi che porgeva una tazza di the al suo futuro amante: morire (seppur metaforicamente, nel nostro caso) di consunzione. Sempre che si riesca ad arrivare ai titoli di coda.

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